La Comunicazione

LA COMUNICAZIONE

Semplice e Complessa
come i sogni più nascosti
Confusa e Chiara
come il ricordo più lontano
Piacevole e Imbarazzante
come una dichiarazione d’affetto
Sincera e Diplomatica
come un accordo di pace
Impulsiva e Ragionata
come una giovane poesia
Colorata e Spenta
come il ritratto della vita

Miliardi di farfalle variopinte
che svolazzano
sembrano perse
ma stanno solo aspettando
la brezza giusta
che le aiuti a raggiungere
la loro meta
Miliardi di farfalle variopinte
che uscite
in fretta
da una bocca sfrenata
arrivano in un orecchio
poco attento
che le muta in serpenti
e le caccia via.

Beatrice Pini
Urbino 07/06/05 ( Corso di Laurea in Scienze della Comunicazione. Esame di Tecniche relazionali e comunicative. Prof. Giuseppe RAGNETTI Voto: Trenta e lode)

 

L’opinione pubblica di Ragnetti

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20150619125624419_0001L’opinione pubblica di Ragnetti – articolo tratto da “L’Opinione del demodoxalogo”

Sull’agenzia online Informatore Economico-Sociale, diretta dal demodoxalogo Francesco Bergamo,  il 24 scorso è apparsa un’articolata intervista a Giuseppe Ragnetti, discepolo e continuatore degli studi sull’opinione pubblica di uno dei quattro docenti italiani del Novecento (Francesco Fattorello), a loro volta eredi del rettore dell’università statale di Perugia Paolo Orano, il primo che indicò la strada dello studio scientifico dell’opinione pubblica.

Pubblichiamo qualche stralcio dell’intervista rimandando i lettori al testo integrale su www.demodossalogia.it segnalando la concomitanza di pensiero (e non poteva essere altrimenti stante la comune eredità della disciplina) con il metodo in.de (indagine demodoxalogica).

“[…] Penso che sia la vita a regolare l’opinione pubblica prima a livello individuale e poi a livello dei gruppi sociali di dimensioni sempre maggiori fino ad arrivare al comune sentire di un intero paese o di una comunità in senso lato […] Nella comunicazione politica il malvezzo di fare riferimento alla opinione pubblica rappresenta la più diffusa forma di disonestà intellettuale [N.d.R:  si confronti la tesi sull’opinione sociale di Mascia Ferri]

[…] il suo approccio prettamente sociologico ci aiuta a capire l’individuo all’interno dei gruppi sociali, ci spiega come possa nascere un’opinione condivisa e quindi una pubblica opinione […] Per rilevare l’opinione pubblica il metodo più comune è quello delle ben note indagini demoscopiche che […] L’unica garanzia offerta è quella dell’attendibilità del campione, in quanto qualitativamente e quantitamente rappresentativo dell’universo da indagare.

[…] E allora non posso, sommessamente, ricordare a questi grandi esperti che non basta essere laureati in Scienze statistiche (quando lo sono) per poter conoscere e rappresentare correttamente un fenomeno di tale complessità. […] capire qual’è l’opinione condivisa dai più su un determinato problema contingente. Si tratta di ascoltare le persone nei contesti più diversi (la fila alla cassa del supermercato, il viaggio in treno Roma-Milano, la sala d’attesa dello studio medico, le ore sotto l’ombrellone, lo spostamento in taxi, la serata conviviale …) non dimenticando, ovviamente, l’importanza dei diversi contesti. […] la mamma della credibilità è la coerenza, mentre la figlia è l’affidabilità, qualità ormai sempre più rara e per questo più apprezzata […]

Quel che funziona negli Stati Uniti non è detto che funzioni anche da noi. […] permettetemi di dubitare del presunto potere, più o meno occulto, dei mezzi d’informazione di condizionare il pubblico. Basti pensare alla fine ingloriosa di regimi e dittatori che disponevano, in assoluto, di tutti i mezzi d’informazione. […] i mezzi d’informazione certamente agiscono sulle opinioni ma non sono in grado di condizionare i comportamenti degli uomini: sono altri i motivi, alcuni noti altri meno, che stanno alla base delle nostre azioni. […] debbo ribadire la complessità del fenomeno opinione pubblica fatto di mille sfaccettature perchè di mille sfaccettature è fatta la mente umana.”

Chomsky e Fattorello a confronto: tra manipolazione e libertà

 

CORSO DI METODOLOGIA DELL’INFORMAZIONE E TECNICHE DELLA COMUNICAZIONE

Prof. Giuseppe Ragnetti – Anno 2011

Lavoro finale di Marta Minotti

 

CHOMSKY E FATTORELLO A CONFRONTO: TRA MANIPOLAZIONE E LIBERTA’

Abstract

Il presente lavoro si propone di mettere a confronto le teorie elaborate rispettivamente da Noam Chomsky e da Francesco Fattorello riguardanti l’ambito della sociologia della comunicazione.

All’affermazione pessimistica di Chomsky secondo cui “i cittadini delle società democratiche dovrebbero seguire un corso di autodifesa intellettuale per evitare la manipolazione e il controllo”, Fattorello risponde tramite la sua tecnica sociale dell’informazione, che attribuisce pari dignità ai soggetti del processo comunicativo. Il soggetto recettore giudica liberamente e autonomamente le opinioni formulate dal soggetto promotore, il quale non è in grado di influire sulle scelte del soggetto recettore. Quest’ultimo agirà in base ai proprio bisogni e in base a degli schemi che sono frutto della sua acculturazione.

Si concluderà affermando che, contrariamente a ciò che viene sostenuto da Chomsky, non esiste alcuna forma di controllo ideologico sulla popolazione; piuttosto, sarà quest’ultima a dettare le leggi che sono alla base del processo di comunicazione, indicando agli “addetti ai lavori” le proprie aspettative e, soprattutto, i propri bisogni.

Sei al bar, sei uscito con i tuoi amici, per divagarti, per prendere un caffè, per stare un po’ in allegria. Si affrontano vari argomenti, si parla del più e del meno, si menziona un programma televisivo, un servizio del telegiornale, una pubblicità che ci ha particolarmente colpito e si finisce inevitabilmente per condire i nostri discorsi con “ingredienti lessicali” dal gusto amaro: condizionamento, persuasione occulta, messaggi subliminali, strapotere dei mezzi di comunicazione. Al bar eri entrato come libero cittadino, come libero pensatore, credendo di aver arbitrariamente deciso di condividere con i tuoi amici un sabato pomeriggio, davanti ad un caffè gustoso e ad una brioche deliziosa.

Alla fine, torni a casa con la convinzione che quell’uscita non possa più essere definita come “libera”, bensì come “condizionata” da una serie di fattori a noi ignoti, da una forza suprema che si è insinuata in maniera subdola nella nostra psiche al punto da obbligarci a frequentare quegli amici, quel bar, a bere quel caffè e a mangiare quella brioche.

Ma cosa ci spinge a pensare che qualcuno o qualcosa complotti contro di noi? Che qualsiasi cosa facciamo sia il frutto di una manipolazione da parte di cospiratori che controllano le nostre menti affinché tramite le nostre azioni possano raggiungere i loro scopi economici e politici?

L’esempio citato potrebbe sembrare un’esagerazione; si pensi, tuttavia, a quante volte si finisce per attribuire la scelta di un prodotto, nel nostro caso un caffè o una brioche, a un condizionamento che l’ambiente o la pubblicità ha operato su di noi.

Ma a cosa si può imputare la causa di questo senso di oppressione e di persecuzione che genera inevitabilmente pessimismo? La risposta si trova nei manuali di sociologia della comunicazione: a cavallo tra fine Ottocento e inizi Novecento, prendono piede in Europa nuove teorie riguardanti la società, come il concetto di “uomo-massa”, che ha particolare risonanza all’interno della Scuola di Francoforte.

Quest’ultima afferma che la legittimazione dell’ideologia dominante avviene attraverso un consumo quasi esclusivamente passivo che impedisce ogni forma di ribellione. La massa indistinta accetta in modo passivo e acritico le strutture di dominio esistenti. Attraverso le merci, e in particolar modo tramite i prodotti dell’industria culturale, la logica del capitalismo si impone al punto da non consentire più sguardi critici.

Anche oltreoceano si avverte l’eco di tali teorie: si sviluppano delle scuole di pensiero che definiscono il consumatore come target, ossia come bersaglio che gli strumenti del potere possono colpire a loro piacimento in modo da costringerlo a compiere involontariamente azioni finalizzate ai loro scopi utilitaristici.

Nell’ambito di tali teorie, si impone in particolar modo, a partire dalla fine degli anni ’60, quella di Noam Chomsky, linguista, filosofo e teorico della comunicazione statunitense, il cui intento è quello di spiegare come avvenga la disinformazione e quindi la manipolazione intellettuale dell’opinione pubblica attraverso i mass media.

Egli parte dal presupposto che chi detiene lo strumento dell’informazione/comunicazione ha il mezzo indispensabile per poter “comandare” tutto, in ogni settore della vita pubblica e privata. Chomsky è famoso per aver elaborato un decalogo che indica le diverse strategie utilizzate dai mass media per manipolare tutta l’opinione pubblica interessata.

Il primo punto riguarda la strategia della distrazione, secondo cui le élite politiche ed economiche distolgono l’attenzione del pubblico dai problemi importanti, inondandoli di informazioni insignificanti. “Sviare l’attenzione del pubblico dai veri problemi sociali, tenerla imprigionata da temi senza vera importanza. Tenere il pubblico occupato, occupato, occupato, senza dargli tempo per pensare, sempre di ritorno verso la fattoria come gli altri animali”.

Il secondo punto analizza il metodo del “problema – reazione – soluzione”: ad esempio, creare una crisi economica per far accettare come male necessario la diminuzione dei diritti sociali e lo smantellamento dei servizi pubblici. Il terzo punto riguarda la strategia della gradualità: per far accettare una misura impopolare, basta applicarla gradualmente, col contagocce, per un po’ di anni consecutivi.

Inoltre, aggiunge Chomsky, una strategia per far accettare una decisione impopolare è presentarla come “dolorosa e necessaria” guadagnando in quel momento il consenso della gente per un’applicazione futura. In questo modo si dà più tempo alla gente di abituarsi all’idea del cambiamento e di accettarlo con rassegnazione quando arriverà il momento. Il quinto punto spiega come la maggior parte della pubblicità diretta al grande pubblico usi discorsi, argomenti, personaggi e una intonazione particolarmente infantile, come se lo spettatore fosse una creatura di pochi anni.

Inoltre, la pubblicità sfrutta l’aspetto emozionale molto più della riflessione, in quanto il tono emotivo permette di influire sull’inconscio in modo da iniettare idee, desideri, paure, timori o da provocare determinati comportamenti. Le élite del potere devono mantenere la gente nell’ignoranza e nella mediocrità, spingendo il pubblico a ritenere che sia di moda essere stupidi, volgari e ignoranti.

Bisogna far credere all’individuo di essere esclusivamente lui il responsabile delle proprie disgrazie a causa di insufficiente intelligenza, capacità o sforzo. In tal modo, anziché ribellarsi contro il sistema economico, l’individuo si sente in colpa, cosa che crea a sua volta uno stato di depressione di cui uno degli effetti è l’inibizione ad agire. In ultimo, comandamento fondamentale, è conoscere la gente meglio di quanto essa si conosca, in modo che il sistema possa esercitare un maggior potere sulla gente, ben maggiore di quello che la gente esercita su sé stessa.

Il decalogo citato è frutto di un attento studio sul sistema dei mass media, i quali, afferma Chomsky,
assolvono la funzione di comunicare messaggi e simboli alla popolazione. Il loro compito è di divertire, intrattenere e informare, ma allo stesso tempo di inculcare negli individui, tramite una propaganda sistematica, valori, credenze e codici di comportamento.

Tuttavia, i mass media sono a loro volta nelle mani di un’élite dominante che svolge nei loro confronti un controllo monopolistico affinché essi servano i loro fini. La parte dei media in grado di raggiungere un pubblico sostanzioso è legata a grandi imprese, a loro volta controllate da gruppi ancora più grandi. Le notizie devono passare attraverso dei “filtri” messi a punto dalle élite dominanti affinché esse possano arrivare alla stampa prive di tutti quegli elementi che non siano meritevoli di pubblicazione.

Tali filtri agiscono in modo talmente subdolo da ingannare anche i giornalisti: questi ultimi sono convinti di agire con assoluta onestà e in perfetta buona fede e di scegliere e interpretare le notizie in modo oggettivo e nel rispetto dei valori professionali. È anche vero che i giornalisti che entrano nel sistema non possono farsi strada se non si adeguano alla pressione ideologica ad opera degli inserzionisti pubblicitari.

L’obiettivo di Chomsky è spiegare il funzionamento dei più avanzati sistemi democratici dell’era moderna, i quali, pur dovendo in linea di principio erigere il popolo a sovrano di tutte le decisioni, vedono il potere concentrasi nelle mani della classe privilegiata, che modella il modo di pensare della popolazione in base ai suoi interessi.

“La mia personale opinione”, afferma Chomsky, “è che i cittadini delle società democratiche dovrebbero impegnarsi in un lavoro di autodifesa intellettuale per proteggersi dalla manipolazione e dal controllo e per gettare le basi d’una democrazia più significativa”.

Pertanto, egli propone una “democratizzazione” dei media, ossia il loro affrancamento dai vincoli del potere privato o statale e auspica che emergano delle forze popolari in grado di opporsi alle strutture del dominio e dell’autorità che governano le vite degli uomini attraverso un sistema di illusioni e inganni adottato per mantenere passiva e marginalizzata “la plebe”.

Con particolare riferimento agli Stati Uniti, Chomsky afferma che dal 1917 fino alla fine degli anni ’80, la “belva bolscevica” ha fornito una pronta giustificazione per accettare ogni violenza legata agli interventi statunitensi nel Terzo Mondo. Il potere e la brutalità della tirannia sovietica erano usati per impaurire la popolazione e quindi per indurla ad accettare sacrifici e disciplina.

La scomparsa dell’URSS ha imposto uno spostamento dell’orientamento propagandistico verso il terrorismo internazionale, i narcotrafficanti latinoamericani, gli arabi, ecc.
I giornalisti scoprono che conformarsi al sistema ideologico architettato dal potere statale e dalla grande industria è più semplice e permette di ottenere privilegi e prestigio. Mettere in questione l’ideologia dominante significherebbe essere tacciati di fanatismo ideologico e essere espulsi dal sistema.

In questo modo, i media principali e le altre istituzioni ideologiche non fanno che riflettere le prospettive e gli interessi del potere costituito. Chomsky afferma che, nelle società democratiche più avanzate, si riscontra il declino progressivo delle istituzioni culturali che appoggiano valori e interessi diversi da quelli dominanti, così da privare i singoli dei mezzi necessari per pensare e agire in maniera autonoma al di fuori dell’assetto imposto dal potere economico.

Chomsky emana una sentenza molto pessimistica, ritenendo necessario assicurare che coloro che governano il Paese e che controllano gli investimenti siano contenti, altrimenti tutti saranno costretti a soffrire: “per i senzatetto che stanno nelle strade, quindi, è prioritario far sì che gli abitanti delle ville siano ragionevolmente soddisfatti; […] l’unica cosa razionale da fare appare la massimizzazione dei vantaggi individuali a breve termine, insieme alla sottomissione, all’obbedienza, nonché all’abbandono dell’arena pubblica”.

Nella nostra democrazia, afferma Chomsky, “il cittadino è un consumatore, un osservatore, non un partecipante”. Sono coloro che detengono il potere economico ad assumersi l’onere di controllare la pubblica opinione, costruendo il consenso attraverso i media e sopprimendo le forze contrarie al loro potere. Per dimostrare la modalità con cui si esplica l’operazione di controllo ideologico interno, Chomsky ha analizzato in particolar modo il periodo storico della Guerra del Vietnam e dei movimenti popolari degli anni ’60 che dovevano essere controllati e neutralizzati, avendo messo in pericolo le capacità concorrenziali delle grandi imprese americane sul mercato mondiale.

Dunque, è stato necessario svolgere un’intensa operazione di fabbricazione del consenso nei confronti dell’élite culturale per costituire “l’illusione necessaria” degli Stati Uniti come parte offesa e dei vietnamiti come aggressori. Infatti, il bersaglio principale della propaganda è di regola costituito da quelli che sono ritenuti “i membri più saggi della comunità”, gli “intellettuali”, gli “opinion leader”, che servono ad arginare possibili sommosse popolari e a controllare il consenso.

Chomsky afferma che nel sistema democratico le illusioni necessarie non possono essere imposte con la forza, ma devono essere istillate nella mente delle persone con mezzi più raffinati. In democrazia c’è sempre il pericolo che il pensiero indipendente dia origine ad un atto sovversivo, quindi è indispensabile eliminare tale pericolo.

Tuttavia, il dibattito non può essere messo a tacere, né sarebbe opportuno farlo, perché in un sistema propagandistico ben organizzato esso può avere una funzione di appoggio alle istituzioni se incanalato entro limiti adeguati e ben precisi. Sempre rimanendo entro confini adeguati, il dibattito va addirittura incoraggiato, perché contribuisce all’affermazione delle dottrine dell’élite dominante e contemporaneamente consolida l’impressione che la libertà imperi. Ai media è data la possibilità di contestare la politica governativa soltanto all’interno della griglia di problemi determinata dagli interessi dello Stato e del potere economico.

I media, dice Chomsky, sono agenzie di manipolazione, indottrinamento e controllo al servizio dei potenti e dei privilegiati.
Nell’assetto sociale attuale, la gente comune deve continuare ad essere oggetto da manipolare, non un soggetto in grado di pensare, di partecipare al dibattito, alle decisioni. Tutto ciò può dare l’impressione che il sistema sia onnipotente, ma è bel lungi dall’esserlo: la gente può resistere e a volte lo fa con grande efficacia.

L’esistenza di limitazioni interne, anche in uno Stato potente, consente alle sue vittime un margine di sopravvivenza e ciò non dovrebbe mai essere dimenticato.

Chomsky si fa portavoce di una “politica democratica della comunicazione” che dovrebbe cercare di sviluppare mezzi d’espressione e d’interazione che favoriscano l’azione individuale e collettiva. Tuttavia, Chomsky afferma che le prospettive di successo d’una tale politica sono inevitabilmente limitate dal potere delle élite, che determina il funzionamento delle principali istituzioni sociali.

La risposta risiederebbe nelle prospettive di successo di quei movimenti popolari, che hanno a cuore i valori repressi o marginalizzati nell’attuale ordine sociale e politico.

Chomsky, nel suo libro “La Fabbrica del Consenso”, afferma che le critiche istituzionali che lui e il coautore del libro hanno presentato vengono comunemente liquidate dai commentatori dell’establishement come “teorie cospiratorie”, ma questo è solo un modo per sbarazzarsi del problema. Il loro studio, al contrario, è legato ad una profonda analisi di mercato, che ha smascherato la modalità con cui le élite del potere, supportate dalle élite intellettuali, riescono ad imporsi e a far valere il loro operato, attraverso un annientamento progressivo dell’opinione pubblica, che resta passiva e dunque incapace di far valere la sua opinione.

Tali considerazioni, seppur convalidate da un’attenta analisi, sono ormai completamente inaccettabili per chi, pur per un breve periodo, si è abbeverato alla sorgente “Fattorello”, fonte di teorie e pensieri positivi che liberano il soggetto dalla paura e dalla gabbia della manipolazione.

Il significato profondo degli studi fattorelliani sta nell’aver rivalutato il soggetto recettore rispetto al soggetto promotore: l’opinione proposta da una minoranza ottiene l’adesione dei recettori che non la accettano passivamente, ma soltanto dopo una valutazione di coerenza con la propria scala di valori. Solo una volta concessa l’adesione il recettore farà sua l’opinione proposta e la sosterrà presso altri recettori.

Nel caso specifico della propaganda, fenomeno preso in esame da Chomsky, Fattorello dice che
è semplice agire sulle opinioni, ma i comportamenti umani restano difficili da prevedere. Quando si parla di propaganda ci si riferisce sempre all’ambito dell’informazione, intesa come tecnica sociale, che giunge all’adesione d’opinione attraverso lo studio delle attitudini sociali che scaturiscono dall’acculturazione dell’individuo.

Per cui l’informazione non ha nulla a che vedere né con la psicologia dell’individuo né con il suo inconscio; di conseguenza non sono psicologiche le tecniche da adottare per agire sull’opinione degli uomini. La tecnica è stata definita “sociale” perché non ha nulla a che fare con i meccanismi della psiche umana che verrebbe, secondo Chomsky, manipolata da seducenti imbonitori dotati di poteri magici in grado di irretire dei “poveri” recettori (lettori, spettatori, consumatori) che quindi non avrebbero alcun scampo.

I parametri di cui il tecnico dell’informazione deve tener conto sono l’acculturazione e la socializzazione dell’individuo. La comunicazione avrà luogo solo quando le opinioni del promotore e del recettore convergeranno in un’unica interpretazione.
Non esiste dunque ciò che viene definito “strapotere” dei mezzi della comunicazione. Sono solo un’illusione gli uomini che hanno superpoteri che condizionano gli esseri umani.

Basta parlare di persuasione occulta e evitiamo di ascoltare coloro che parlano con superficialità di informazione e di comunicazione. Il recettore non è più da considerare oggetto passivo della comunicazione, ma soggetto opinante di pari dignità che interagisce sempre con il promotore, all’interno di una complessa dinamica sociale. Come è stato dimostrato, la Teoria della Tecnica Sociale si pone in antitesi con l’impostazione teorica di Chomsky e dei suoi seguaci, nonché con l’impostazione anglosassone che per decenni ha fatto leva sulla psiche dell’individuo attribuendo alla comunicazione la capacità di “persuasione occulta”.

Non è facile per Fattorello affermare a gran voce la sua teoria, in quanto il periodo in cui si manifesta la sua visione è totalmente influenzato dall’impostazione teorica anglosassone che, come detto in precedenza, vede la comunicazione come un processo subito da un ricevente passivo. Superare l’idea del recettore come target e come altamente condizionabile è stata la sfida dei fattorelliani che hanno di tutta risposta proposto un soggetto recettore dotato delle stesse facoltà opinanti del soggetto promotore.

L’informazione del giornalista, come informazione contingente, potrà “manipolare” positivamente il fatto, per rivestirlo di quell’abito lucente e attraente che lo rende appetibile al consumatore, riconfermando le opinioni cristallizzate e i valori su cui si basa il pubblico. L’individuo, infatti, si conforma automaticamente con quei valori che egli identifica con la verità, col bene, mentre tutto ciò che non riconosce come parte del suo bagaglio culturale rappresenta l’errore e il male.

Le opinioni cristallizzate oppongono resistenza ad ogni trasformazione e concorrono a creare nell’individuo una barriera che contrasta l’entrata di opinioni che non riconosce.

La Tecnica di Francesco Fattorello rappresenta quindi il superamento delle teorie di Chomsky in quanto stabilisce che è possibile influenzare l’opinione di un individuo e non i suoi comportamenti. Tutto ciò che si può ottenere è un’adesione di opinione, ma non si può fare nulla per condizionare i comportamenti degli uomini, che posseggono un sistema di valori determinato dalla loro dimensione culturale e sociale.

BIBLIOGRAFIA

Chomsky N., Illusioni necessarie. Mass media e democrazia, Elèuthera editrice, 1991.
Ragnetti G., Opinioni sull’opinione, Edizioni Quattro Venti, Urbino, 2006.
Fattorello, F., Teoria della tecnica sociale dell’informazione, Edizioni Quattro Venti, Urbino, 2005.
Abbruzzese A e Mancini P., Sociologie della comunicazione, Gius. Laterza & Figli, 2007.

Il 2013 al Fattorello

Istituto“Francesco Fattorello”
Dal 1947 “La via italiana alla comunicazione”
Direttore: prof. Giuseppe Ragnetti

L’APPUNTAMENTO PIU’ ATTESO DELLA SETTIMANA
I VENERDI DELLA COMUNICAZIONE AL “SERAFICO”
Il piacere di ascoltare, conoscere, capire per comunicare

L’Istituto Francesco Fattorello in Roma, la prima Scuola di comunicazione in Italia,
propone ogni settimana una “full immersion relazionale e comunicativa”
A partire dal 1°febbraio 2013, tutti i venerdi dalle 17.30 alle 21.00, ti aspetta il Corso di
“SCIENZE E METODOLOGIA DELL’INFORMAZIONE E TECNICHE DELLA COMUNICAZIONE”

Il nostro 67° Corso annuale dà continuità all’insegnamento della Tecnica Sociale dell’Informazione, già impartito dal prof. Francesco Fattorello presso la Facoltà di Scienze Statistiche dell’Università degli Studi di Roma “La Sapienza”, sin dal 1947.

La validità scientifica della nostra proposta formativa è garantita dalle originali metodologie dell’Istituto, unica Scuola regolarmente autorizzata e legittimata ad approfondire e diffondere l’impostazione teorica fattorelliana, anche attraverso l’attivazione di regolari Corsi didattici.

L’Istituto è diretto dal prof. Giuseppe Ragnetti che ha contribuito alla diffusione del- la “Teoria della Tecnica sociale dell’informazione” in ambito universitario, attraverso il suo insegnamento presso il Corso di Laurea in Scienze della Comunicazione e presso la Laurea Specialistica in Editoria Media e Giornalismo dell’Università degli Studi “Carlo Bo” di Urbino e presso altre Università italiane nonchè in prestigiosi contesti quali SSAI –Scuola Superiore dell’Amministrazione dell’Interno, Questure, Prefetture, Scuola di Polizia Giudiziaria, Scuole di Formazione politica, Corsi di Comunicazione per le Forze dell’Ordine,Enti pubblici e Organizzazioni private.

Il prof. Ragnetti, garante della coerenza e correttezza delle diverse discipline nei confronti dell’impostazione teorica originale dell’Istituto, è coadiuvato da un èquipe di Docenti, tutti ex allievi dell’Istituto stesso.

Con quasi 70 anni di tradizione scientifica alle spalle e con tutta la responsabilità che ne deriva, adeguando tuttavia costantemente gli strumenti didattici e gli obiettivi della ricerca alle esigenze dei tempi e, talvolta, anticipandone l’evoluzione, l’Istituto si propone di fornire ancora oggi il bagaglio culturale indispensabile ai “maestri della comunicazione” e a tutte le attività che si avvalgono delle migliori abilità relazionali e comunicative.

Una corretta comunicazione , comprendere e farci comprendere, ci dà forza, coraggio, voglia di fare, ci rende attori-protagonisti della nostra vita, ci permette di aiutare gli altri e noi stessi.

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La Sede didattica del Corso è:

Pontificia Facoltà Teologica San Bonaventura
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Per informazioni: 06-9524188 (indicare nome e telefono alla segreteria tel.) cell. 335-8334251(prof.Giuseppe Ragnetti) – 329-6322430(prof. Alessandra Romano)

Il Cibo e la Comunicazione

Istituto“Francesco Fattorello” – dal 1947 “La via italiana alla comunicazione” – Direttore: prof. Giuseppe Ragnetti

CORSO ISTITUZIONALE DI COMUNICAZIONE – ANNO 2013 – “SCIENZE E METODOLOGIA DELL’INFORMAZIONE E TECNICHE DELLA COMUNICAZIONE

Tesina a cura di Carmen Andreea Silter 

“Il Cibo e la Comunicazione”

“Una corretta comunicazione ,  comprendere e farci comprendere, ci dà forza, coraggio, voglia di fare, ci rende attori-protagonisti della nostra vita, ci permette di aiutare gli altri e noi stessi”

INDICE

  1. La teoria fattoreliana
  2. L’alimentazione è…comunicazione
  3. Il cibo come linguaggio
  4. Bibliografia

LA TEORIA FATTORELIANA

Se dagli anni successivi alla Seconda Guerra Mondiale cominciarono a fiorire negli Stati Uniti gli studi sulle “mass comunication” e in Europa ci si interrogava sul ruolo di giornalisti e scrittori, in Italia, Francesco Fattorello promuoveva la costituzione dell’Istituto Italiano di Pubblicismo  e, nell’anno accademico 1947-48, iniziava Il Corso propedeutico alle professioni pubblicistiche, presso la Facoltà di Scienze statistiche dell’Università La Sapienza di Roma.

Fattorello riassunse i suoi insegnamenti nella “Tecnica sociale dell’informazione” , che fu base scientifica e metodologica di detta Scuola e assunse nel tempo il valore di “Teoria fattorelliana”, in quanto assoluto metodo di analisi di qualsivoglia forma di informazione e di comunicazione, che a tutt’oggi sia utilizzata.

Partendo dalla considerazione che gli uomini sono inclini ad associarsi per migliorare la loro esistenza, Fattorello considerò l’informazione come uno dei fenomeni sociali più rilevanti, in quanto espressione di un processo, al quale concorrono due o più soggetti appartenenti ad un gruppo sociale. 

I termini principali di tale fenomeno sociale sono l’informatore e il suo recettore: il maestro e il suo alunno; il giornalista e il suo lettore. Occorre inoltre la conoscenza del mezzo usato per concretare il rapporto stesso e, infine, è necessaria la conoscenza della forma che sia stata data all’oggetto dell’informazione.

Fattorello sintetizzò questi termini nella seguente formula ideografica.

X )                                

                               M

Sp                                                             Sr

                               O

Dove:

  • Sp è il soggetto promotore, che ha l’iniziativa della informazione;
  • Sr è il soggetto recettore;
  • M sono i mezzi o strumenti tramite i quali si può saldare il rapporto;
  • O indica la forma dell’oggetto dell’informazione.
  • La lettera X) è ciò di cui si parla, il motivo dell’informazione.

Molte sono le novità essenziali della “Teoria fattorelliana”. In primo luogo, Fattorello fu il primo studioso a comprendere che l’oggetto dell’informazione  X) è “fuori” dal rapporto stesso. Pur essendone il presupposto, (ma potrebbe anche non esistere o essere un falso), non coincide con il contenuto O del rapporto d’ informazione, poiché la forma, il contenuto è frutto della mediazione culturale del promotore, cioè scaturisce, anche in maniera inconsapevole, dalla sua esperienza.

Nuova è anche la messa in risalto del ruolo svolto dal soggetto recettore Sr, non più considerato mero soggettopassivo nei fenomeni  dell’informazione, ma soggetto che interagisce con tutti gli elementi del rapporto.

I moderni strumenti di comunicazione, radio, televisione, web, hanno sviluppato in larga misura l’interattività con il proprio pubblico, al fine di migliorare sempre più le possibilità di dialogo tra promotore e recettore.

Ulteriore grande innovazione contenuta nella Teoria fattorelliana è la duplice classificazione in informazione contingente (o dell’attualità) e informazione non contingente. La prima è quella legata alla novità, alla tempestività, alla periodicità e si avvale di stereotipi e fattori di conformità, per cogliere l’attenzione del maggior pubblico possibile, in un breve lasso di tempo, come avviene per i contenuti della stampa quotidiana e periodica, del cinema, della radio,della televisione e dell’informazione online. La seconda ha contenuti di approfondimento, che si rifanno a principi consolidati, normalmente espressi  nel testo e nelle immagini dei libri, che costituiscono la base di programmi didattici, che si articolano in lezioni e seminari  e si avvalgono di tempi più lunghi. 

Tornando però a noi, nel caso del cibo e dell’umanità abbiamo il seguente schemino:

  • Sp è il soggetto promotore, ossia io che assumo il cibo
  • Sr l’altro o gli altri che mi spingono a mangiare in un determinato modo
  • M il cibo
  • O direi anche il cibo come forma di informazione

Siamo noi quelli che assumiamo il cibo, ma veniamo spinti da emozioni, dal bisogno, dalla voglia.

Attraverso il cibo in modo indiretto riusciamo a trasmettere i nostri pensieri, le nostre gioie, le nostre preoccupazioni.

È questo uno dei motivi per cui mangiamo; esternalizzare i sentimenti più profondi, farci capire dagli altri non con le parole ma attraverso l’arte, attraverso la passione messa nel cucinare un piatto o mangiando in un determinato modo.

Andiamo a vedere più in concreto un esempio che sostiene la teoria su presentata, ed in particolare come influisce il cibo sulla vita di una persona ; come comunichiamo attraverso il cibo.

L’ALIMENTAZIONE è…COMUNICAZIONE

I cibi ed i comportamenti alimentari che si registrano nel tempo, traggono origine dal “significato” che nelle varie fasi della vita viene dato all’azione del mangiare. Il cibo, è ormai riconosciuto, non ha solo un valore nutritivo, ma anche un valore psicologico e sociale.

Quel che si mangia vuol dire non soltanto in modo concreto condizioni materiali ma anche elementi di affettività, di relazione umana. Il modo con cui affrontiamo il problema dell’alimentazione, ed in particolare le paure, sono insite e hanno origine nell’infanzia: il cibo fin dalla nascita assume un notevole significato che va oltre l’azione del mangiare; il neonato e poi il bambino “sente” che le persone che si prendono cura di lui non sono indifferenti al cibo che assume e molto presto scopre che il suo modo di alimentarsi può diventare strumento di potere  nei confronti degli adulti.

La preoccupazione occulta o manifesta degli adulti (mamma, nonna, zia…) perché il bambino mangia poco o troppo, la gioia perché ha mangiato seguendo le regole che loro hanno fissato, sono le premesse per caricare l’alimentazione di un altro “significato”, quello affettivo- relazionale che si aggiunge al valore dietetico- nutrizionale. Il bambino che percepisce che il suo alimentarsi ha effetto sugli adulti utilizza il suo potere quando decide di dichiarare “guerra” a chi gli sta accanto o vuole ottenere qualcosa.

Questa può essere la genesi delle problematiche che investono l’alimentazione in cui essa non ha più il solo significato di nutrire il corpo ma anche quella di stabilire un rapporto, una comunicazione. Questo fenomeno che ha inizio in una età molto precoce continua nell’età evolutiva e se i problemi relazionali, le comunicazioni conflittuali non si risolvono, rimangono sotterranei, occulti, non dichiarati; è possibile che si giunga a comportamenti alimentari scorretti.

Nelle mode alimentari la presenza degli altri e le relative risposte sono molto importanti, basti pensare al significato simbolico del “mangiare insieme” o del “mangiare con qualcuno” nei clubs, nelle associazioni, al contrario dell’espressione linguistica descrive una situazione totalmente opposta ”non ho mai mangiato con te” in cui il messaggio occulto anche se dominante è “non abbiamo nulla da condividere”. Nel rapporto con il cibo oltre  la risposta degli altri vi è qualcosa di più profondo: il rapporto con il proprio sé.

Se una persona ha difficoltà nell’accettarsi, se ha un cattivo rapporto con se stessa è molto difficile che possa sentirsi accettata dagli altri.

La persona che non si accetta mette in atto un dinamismo affettivo singolare: chiede conferme agli altri in modo continuo, ripetitivo e persino eccessivo. Basti pensare all’adolescente, che non si accetta e che mette in discussione il proprio corpo per le trasformazioni rapide ed evidenti, sente il bisogno di essere nutrita affettivamente, di essere accarezzata e per ottenere ciò farà in modo che il proprio fisico abbia quelle dimensioni che sono di moda nella società in cui vive e farà qualsiasi sforzo per omologarsi a quei “modelli”. Il valore estetico è più importante della salute del corpo, poiché il primo che colma l’inadeguatezza, l’insicurezza, la non accettazione di sé e degli altri.

Le mode placano ma non risolvono le inquietudini. Spesso nel non accettare il proprio corpo c’è anche la non accettazione della propria persona, questa difficoltà nei confronti del proprio Io e del mondo può portare a forme patologiche a livello di autopunizione e autodistruzione.

L’arcaica minaccia che il bambino lanciava ai genitori riguardo il cibo per dimostrare il diritto di esistere, di essere riconosciuto, di avere un potere può essere rivolto a se  stesso. L’adolescente si sdoppia in modo doloroso sfidando se stesso. E’ un gioco sottile, pericoloso, è il “tiro alla fune” in cui il protagonista dichiara di “volere” e di non “potere”. Le diete vengono cominciate ma mai finite, ad un prolungato digiuno segue un’assunzione smodata di cibo. L’ansia, la rabbia, l’inquietudine vengono sedate mangiando voracemente.

L’alimentazione segue i conflitti interni della persona che, non riconciliata con se stessa, sente minacciosa le presenze esterne.

L’alimentazione è sempre presente come tutte le altre volte o nelle altre circostanze in cui i problemi personali non sono stati risolti.

Sul piano educativo si possono fare delle considerazioni per trarre alcune conclusioni.

La prima constatazione, la più ovvia, è che l’alimentazione non è solo nutrizione ma riguarda anche la salute relazionale, affettiva, poiché oltre al corpo si alimenta un rapporto che tende a riprodursi nel tempo.

La seconda constatazione riguarda la separazione delle emozioni, dei sentimenti dagli alimenti fisici. In altre parole, il bambino che ha bisogno di essere seguito, accarezzato, riconosciuto non è necessario che faccia ricorso al cibo rifiutandolo ostinatamente.

Dall’altra parte l’adulto per gratificare il bambino non è necessario che ricorra solo al cibo o al momento in cui mangia. Se ciò avviene significa che egli è stato svalutato nella sua identità di persona.

La moda alimentare può, dunque, rappresentare il vertice estremo di una piramide di comportamenti che può rimanere innocua curiosità nella persona che ha una sua forte identità ma può trasformarsi in ossessione, attrazione per chi affida l’accettazione di sé agli altri, all’imitazione di modelli che riscuotono successo. Per concludere, si può affermare che “l’alimentazione sana garantisce salute alla persona” è questa una convinzione comune.

Si può aggiungere un valore educativo a questa frase e affermare che “la salute effettiva, relazionale con l’accettazione di sé e degli altri garantisce una sana alimentazione che restituirà alla persona un ulteriore benessere”.

IL CIBO COME LINGUAGGIO

“Convivio” rimanda etimologicamente a “cum vivere”, vivere insieme. Mangiare insieme (un altro carattere tipico, se non esclusivo, della specie umana) è un altro modo ancora per trasformare il gesto nutrizionale dell’alimentazione in un fatto eminentemente culturale. Ciò che si fa assieme agli altri, infatti, assume per ciò stesso un significato sociale, un valore di comunicazione, che, nel caso del cibo, appare particolarmente forte e complesso, data l’essenzialità dell’oggetto rispetto alla sopravvivenza dell’individuo e della specie.

I messaggi possono essere di varia natura ma, in ogni caso, trasmettono valori di identità.

Identità economica: offrire cibi preziosi significa denotare la propria ricchezza.

Identità sociale: soprattutto in passato, la quantità e la qualità del cibo erano in stretto rapporto con l’appartenenza a un certo gradino della scala gerarchica (il cibo, anzi, era il primo modo per ostentare le differenze di classe).

Identità religiosa: il pane e il vino dei cristiani vanno ben oltre la loro materialità, la dieta dei monaci ha sue regole, la quaresima si segnala con l’astinenza da certi cibi; in altri contesti religiosi, certe esclusioni o tabù alimentari (il maiale e il vino dell’Islam, la complessa casistica di cibi leciti e illeciti dell’ebraismo) hanno il ruolo prevalente di segnalare un’appartenenza.

Identità filosofica: le diete vegetariane legate al rispetto della natura vivente o, in passato, a sistemi più strutturati come la metempsicosi o trasmigrazione delle anime.

Identità etnica: il cibo come segno di solidarietà nazionale (la pasta per gli italiani, soprattutto all’estero, non è solo un alimento ma anche un modo per recuperare e riaffermare la propria identità culturale; lo stesso vale per il cuscus degli arabi e per tutti i cibi che, in ciascuna tradizione, costituiscono un segno particolarmente forte della propria storia e della propria cultura).

Anche le modalità di assunzione del pasto possono, di per sé, risultare significative: il banchetto di festa (battesimi, matrimoni, funerali) non è una “colazione di lavoro”, non solo dal punto di vista tecnico ma anche sul piano simbolico.

Tutte queste situazioni esprimono contenuti diversi, perfettamente comprensibili perché comunicati con un linguaggio codificato all’interno di ciascuna società. E appunto trattandosi di un linguaggio, interculturalità significa non solo disponibilità allo scambio tra culture diverse (come, ad esempio, sta avvenendo nei paesi europei in seguito alla forte immigrazione dai paesi islamici) ma, anche, conoscenza degli altri linguaggi, giacché è evidente che ciascun elemento può assumere, in contesti diversi, diverso significato.

Altrettanto evidente è che il tema centrale dell’interculturalità non consisterà nel proporre un rimescolamento e un’omologazione al minimo denominatore comune di comportamenti strutturalmente differenti, bensì, anche e soprattutto, aprirsi alla comprensione dell’altro e al rispetto delle diversità, nella consapevolezza che le stesse identità non sono date una volta per tutte, ma si modificano, si aggiustano, si rimodellano nel tempo (si pensi solo alla cosiddetta dieta “mediterranea”, costituita da apporti alimentari originariamente tipici non solo dell’area mediterranea, ma dell’Est asiatico, dell’Africa interna, dell’America: il pomodoro, certi cereali, tante verdure ecc.).

Motivi, questi, che trovano applicazione in ogni aspetto della vita quotidiana, ma che proprio nel campo dell’alimentazione trovano un cruciale terreno di prova. Lo stesso vale, del resto, nel modo di affrontare le differenze all’interno di una medesima cultura: accanto alle identità nazionali vi sono quelle regionali, urbane, familiari…

La “cucina della mamma” risulta sempre più gradita e, soprattutto, assicura conforto e preserva un’identità di cui non siamo sempre sicuri.

Rispetto delle diversità sarà, in questo caso, abituarsi a pensare in termini di relatività ed evitare ogni sorta di intolleranza al diverso. Il comportamento alimentare diviene in questo senso un importante “rivelatore”: l’uomo è ciò che mangia, certo, ma è anche vero che mangia ciò che è, ossia alimenti totalmente ripieni della sua cultura.

BIBLIOGRAFIA

  • Paola Cadonici (Cibo, costume e dintorni. Riflessioni su gusti alimentari e disgusti comportamentali dei nostri giorni) Rubbettino, Soveria Mannelli 2005, pp. 64-68
  • B. Severgnini (L’uomo del sabato sera. La salute del congiuntivo. Io Donna) p. 30 cit.
  • S. Moravia (Educazione e Pensiero) vol. I p. 93 cit. 
  • S. Moravia (Educazione e Pensiero) vol. II p. 167 cit. 
  • Spagnol (Enciclopedia delle Citazioni) p. 123 cit. 
  • Omero (Odissea canto IX) vv. 565-567
  • Siti internet come google e diversi blog

In breve i risultati del blog ottenuti nel 2012

Statistiche di WordPress.com nel rapporto annuale 2012 per questo blog.

2012-emailteaser

Ecco un estratto:

600 people reached the top of Mt. Everest in 2012. This blog got about 5.300 views in 2012. If every person who reached the top of Mt. Everest viewed this blog, it would have taken 9 years to get that many views.

600 persone ha raggiunto la cima del monte. Everest nel 2012. Questo blog ottenuto circa 5,300 visite nel 2012. Se ogni persona che ha raggiunto la cima del monte. Everest visto questo blog, ci sarebbero voluti 9 anni per ottenere i pareri che molti.

Clicca qui per visulizzare il Report completo

Natale 2012

avvento_2012

 

 

 

 

 

NATALE 2012

A tutti gli amici, vicini e lontani, che hanno conosciuto e concretamente
applicato la nostra Tecnica Sociale dell’Informazione, a tutti i “Fattorelliani” vecchi e nuovi, a tutti coloro che “non la smetteranno mai di cercare”…….

BUON NATALE! con un sorriso di pace dall’Istituto Francesco Fattorello.

Un sereno augurio dal prof. Ragnetti per un nuovo anno ricco di scoperte.

 

Da Palermo con amore

Ringraziamo Giorgia Butera per il suo validissimo contributo alla conoscenza e diffusione della nostra Tecnica Sociale dell’Informazione.

Giorgia non ha dimenticato la sua formazione al Fattorello e ben volentieri riconosce che i suoi successi professionali nel campo dell’informazione e della comunicazione, sono dovuti anche all’applicazione concreta della nostra impostazione teorica. Siamo grati a Giorgia e le auguriamo ogni successo possibile  nel lavoro da lei svolto con tanta passione, competenza e creatività.

Prof. Giuseppe Ragnetti, direttore dell’Istituto Fattorello.

Pubblicato in data 25/set/2012 da

Ancora oggi molti “teorici della comunicazione” insistono sul fatto che le persone, definite target, assorbono in maniera passiva e in toto, i dettami dello strapotere mediatico. La Teoria della Tecnica Sociale di Francesco Fattorello, nata nel 1947/48 è l’unica Teoria italiana sull’informazione e sulla comunicazione, formulata su rigorose basi scientifiche.

Gli attori del processo comunicativo sono “soggetti” entrambi dotati di facoltà opinanti e, quindi, di pari dignità. Non c’è un tiratore scelto che colpisce un bersaglio -target- ma vi sono due soggetti attivi che reagiscono ai numerosi stimoli ricevuti, sula base delle proprie facoltà opinanti e delle proprie attitudini sociali prodotte dalle diverse e determinanti acculturazioni.

E’ una costruzione, quindi, metodologica profondamente radicata nella tradizione culturale europea proprio perché si basa sul presupposto che non possa esistere una impostazione teorica sulla comunicazione sempre valida ed applicabile a qualunque recettore ma che, una metodologia sui processi di interazione tra chi promuove e chi riceve la comunicazione, debba necessariamente essere tarata sul recettore, in antitesi all’approccio anglosassone, dove si parlava di persuasione occulta dell’informazione.

In Italia, esiste l’Istituto Francesco Fattorello, si trova a Roma ed il direttore, è il Professore Giuseppe Ragnetti. La Tecnica Sociale fattorelliana viene diffusa attraverso Corsi di formazione nei contesti più diversi e in quelli istituzionali regolarmente attivati ormai da 65 anni, su tutto il territorio nazionale.

Filmmaker: Fabio Barberi.

Il perchè di una ristampa

Francesco Fattorello

TEORIA DELLA TECNICA SOCIALE DELL’INFORMAZIONE

a cura di Giuseppe Ragnetti

DEDICATA A …..

A Francesco Fattorello mio maestro.
Mi ha aiutato ed è riuscito a farmi
risalire dal baratro
in cui ero sprofondato.
Il baratro dello “strapotere”
dei mezzi di comunicazione.
Il baratro di superuomini
in grado di condizionare i
comportamenti degli
esseri umani.
Il baratro della persuasione
occulta.
Il baratro di suggestive teorie
anglosassoni capaci di
costruire frecce avvelenate
destinate ad una umanità
incapace di intendere e di volere e
ridotta a semplice bersaglio o meglio
target.
Il baratro della superficialità
e dell’incompetenza di
tutti coloro che si occupano di
informazione e comunicazione
sulla base dei più abusati luoghi comuni.

 

IL PERCHE’ DELLA RISTAMPA …..
A vent’anni dalla scomparsa di Francesco Fattorello e a distanza di diversi decenni dall’ultima edizione, ho sentito il dovere di pubblicare di nuovo la Teoria della Tecnica Sociale dell’Informazione ideata e insegnata per la prima volta da Francesco Fattorello sin dall’anno accademico 1947/ ‘48.

Come direttore dell’Istituto che porta il nome dell’insigne studioso ho avuto la responsabilità di diffondere i suoi insegnamenti attraverso i corsi di formazione nei contesti più diversi e in quelli istituzionali regolarmente attivati ormai da sessanta anni ed ora, attraverso questa nuova edizione della Tecnica Sociale.

L’obiettivo che intendiamo raggiungere è quello di mettere a disposizione degli studenti e degli operatori interessati l’approccio teorico fattorelliano che rappresenta una visione di una incredibile modernità e ci sembra poter fornire una risposta adeguata alle crescenti esigenze di informazione e comunicazione che connotano le società democratiche di oggi.

La Tecnica Sociale dell’Informazione è l’unica teoria italiana del settore, formulata su rigorose basi scientifiche.
E’ una costruzione metodologica profondamente radicata nella tradizione culturale europea proprio perché si basa sul presupposto che non possa esistere una impostazione teorica sulla comunicazione sempre valida ed applicabile a qualunque recettore ma che una metodologia sui processi di interazione tra chi promuove e chi riceve la comunicazione, debba necessariamente essere tarata sul recettore.

Ecco allora il recettore non più oggetto passivo della comunicazione che diviene, a sua volta, un soggetto opinante di pari dignità che interagisce sempre e comunque con il promotore, all’interno di una complessa dinamica sociale. Da qui l’apporto fondamentale di una Tecnica Sociale che ricerca l’adesione e quindi il consenso dei destinatari sulla base delle loro attitudini sociali.

Attitudini sociali intese come disponibilità ad accettare le opinioni proposte, a seconda della propria acculturazione, intendendo per acculturazione tutto ciò che l’ambiente sociale ha, inevitabilmente, trasferito nell’arco di tutta una vita a qualsiasi essere umano. La Teoria della Tecnica Sociale si pone in netta antitesi con l’impostazione teorica anglosassone che per decenni ha inteso far leva sulla psiche dell’individuo attribuendo alla comunicazione in senso lato capacità di “persuasione occulta”.

L’impostazione teorica di Francesco Fattorello, fondatore della “Scuola di Roma”, in tutto il contesto internazionale ha ormai acquisito sempre più valenza di fondamentale utilità pratica e metodologica per tutti coloro che si occupano di informazione e comunicazione.

In altri termini, possiamo tranquillamente affermare che oggi l’approccio mondiale alla comunicazione scaturisce dall’impostazione teorica fattorelliana.

Per concludere mi piace riproporre la prefazione alla terza edizione pubblicata nel 1963 così come Fattorello aveva scritto :
“L’interessamento da più parti dimostrato per la mia tecnica sociale dell’informazione mi ha spinto a pubblicare questo breve saggio per mezzo del quale il lettore viene introdotto alla interpretazione da me data al fenomeno sociale dell’informazione.

Le esperienze fatte nelle scuole dove questa teoria viene insegnata ed applicata già da parecchi anni e più il fatto che in luoghi diversi se ne citano i termini o si fanno illazioni senza indicare la fonte o la paternità della teoria stessa, mi inducono a superare la riservatezza cui mi ero attenuto fin qui proponendomi, caso mai, di apportare a questo testo altri perfezionamenti.
A questa pubblicazione mi hanno indotto segnatamente i miei colleghi e allievi del Centre International d’ Enseignement Superieur du Journalisme dell’Università di Strasburgo che hanno ascoltato le miei lezioni e discusso le miei proposizioni. Ed è appunto confortato segnatamente da queste discussioni fatte in una sede internazionale, con esperti che provenivano da tutte le parti del mondo, che mi sono deciso a pubblicare questa prima esposizione della mia sistematica.

Qualcuno dei capitoli qui pubblicati era già apparso nelle stampe, ma qui viene ripubblicato con modifiche o con varianti intese a rendere in modo più chiaro e completo il mio pensiero.

Per l’esattezza cronologica questa teoria fu esposta per la prima volta al Corso propedeutico alle professioni pubblicistiche, istituito in seno alla Facoltà di Scienze Statistiche della Università degli Studi di Roma, nell’anno accademico 1947/ ’48. Successivamente essa divenne anche uno degli argomenti del programma didattico del Centro Internazionale di Strasburgo.
Questa terza edizione, che appare nel 1963, comprende due capitoli in più delle edizioni precedenti. Con questi ritengo di aver completato la mia esposizione.”