Hippie, utopia di rivoluzione

Università di Urbino – Laurea specialistica in Editoria Media Giornalismo – Esame di Tecniche di relazione – Prof. Giuseppe Ragnetti

“Hippie, utopia di rivoluzione”

di Claudia Dondi

Stati Uniti d’America: siamo agli inizi degli anni Sessanta, anni dell’ “American Dream”, il sogno americano, anni in cui è vincente lo stereotipo della famiglia felice composta da due giovani, belli e puliti, con due bambini, altrettanto belli e puliti, che vivono in una villetta, con cane, gatto e giardino, televisore (sempre acceso) in salotto e macchinona nel garage. Per loro, ovviamente, un roseo futuro all’orizzonte. A svegliare tutti arriva il Vietnam: gli americani vanno in guerra.
Gli “hippie”, o i “flower children”, colgono l’artificiosità del modello proposto dalla società, si rendono conto che la felicità è contrabbandata e mascherata dal comfort, mettono a fuoco la monotonia del vivere quotidiano e svelano il più radicato tabù della società borghese: il sesso.

Si spogliano, non solo fisicamente, di tutti gli stereotipi e fondono la cultura insieme alla politica, insieme alla musica, insieme all’arte.

La loro filosofia si basa semplicemente sul rifiuto della società capitalistica e del benessere, sulla volontà di costruire un mondo fondato su alti valori, che non hanno nulla a che fare con i dollari e gli status symbol. Il movimento hippie,sorge sulla costa occidentale degli Stati Uniti all’ insegna del pacifismo, delle filosofie orientali e dei grandi raduni musicali.

Il nome di questo movimento deriva da un termine gergale nero, “hip” (o nella forma alternativa “hep”) che, apparso per la prima volta nei primi anni del 20° secolo, significa “consapevolezza dei fatti”, in pratica descrive “uno che la sa lunga”, “che ha mangiato la foglia”, che ha capito o pensa di aver compreso le brutture e le nefandezze della società e cerca ora un modo alternativo per non far più parte di questo meccanismo perverso, evitando di unirsi al coro dei più, considerati corrotti e spregiudicati. Hippie, “figli dei fiori”, il flower power contrapposto al potere delle armi, il rifiuto delle logiche economiche e politiche prevalenti.

Protestano contro la divisione del mondo in due parti,quello capitalista e quello comunista, il consumismo, il conformismo, le discriminazioni razziali, le tendenze imperialistiche della politica statunitense. In antitesi a tutto ciò esaltano il corpo e la libertà sessuale, l’unione con la natura, di cui i fiori diventano il simbolo, la libertà e la pace. Fanno uso sia di droghe leggere come Hashish e Marjuana, sia di allucinogeni come l’Lsd, poiché ritengono che gli effetti prodotti da queste sostanze liberino la psiche.

Sono alla ricerca di una soluzione esistenziale alternativa all’integrazione sociale, sfociata nella formazione di comunità basate sulla non violenza, in rapporto con la natura, l’abbandono al flusso delle cose, in base all’ideale dell’io-tutto preso a prestito dallo Zen. Alla ricerca della felicità terrena, in continuo viaggio, col classico furgoncino Volkswagen o in viaggio con la mente in un mondo virtuale, ma finalmente nuovo e puro, scevro da canoni e costrizioni.

La “rivolta” hippie segnò la storia dei nostri tempi, concorrendo ad una rivoluzione culturale che si affermò e si diffuse ben oltre il contesto territoriale e sociale in cui ebbe origine, modificando idee, ordinamenti sociali, costumi di vita ed influendo anche sugli orientamenti politici internazionali.

L’affermazione degli ideali pacifisti, dei metodi non violenti, dei diritti civili, di una concezione meno formalistica della famiglia, di una maggiore tolleranza nei confronti della diversità e delle scelte sessuali individuali, il contributo di creatività arrecato dagli hippies alle arti rappresentative e performative (teatro, cinema e pittura), alla musica, con la riscoperta della folk music, del blues e del jazz (e, soprattutto, con il grande raduno di Woodstock nel 1969, ancora oggi una pietra miliare nella storia del rock) deve far comprendere che hippie è tanto altro oltre a capelli lunghi e spinello…

Hippie, “figli dei fiori”, il flower power contrapposto al potere delle armi, il rifiuto delle logiche economiche e politiche prevalenti. Si diffonde l’amore, inteso come modo di porsi di fronte alle cose, alle persone, al sesso, alla vita. Raccolgono seguaci in tutto il mondo, milioni di giovani restano affascinati dall’approccio liberatorio verso la vita.

I portavoce sono le rockstar, icone di una musica e uno stile di vita immortale, vite bruciate troppo presto dalla droga e dagli eccessi. Da tutto il mondo, coloro che si sentono partecipi a queste idee, si radunano in modo spontaneo e inarrestabile. Sono musicisti, poeti, scrittori, insegnanti, a cui si uniscono pure nullafacenti, imbroglioni e semplici sognatori. La ‘rivoluzione dell’amore’ dilaga. Su questa onda di entusiasmi si approda senza soluzione di continuità al 1967, i cui primi mesi condussero inesorabilmente alla celebre “Summer of Love”, estate dell’amore.

Il 14 gennaio 1967 l’enorme raduno all’aperto di San Francisco rese popolare la cultura hippy in tutti gli Stati Uniti, richiamando 20.000 persone al Golden Gate Park. Il 26 marzo, Lou Reed, Edie Sedgwick e 10.000 hippie si raccolsero a Manhattan per il “Central Park Be-In on Easter Sunday”(invasione pacifica di Central Park durante il giorno di Pasqua). Il Monterey Pop Festival dal 16 al 18 giugno diffuse la musica rock della controcultura ad un vasto pubblico e segnò l’inizio della “Summer of Love”. La versione di Scott Mackenzie della canzone di John Phillips San Francisco, divenne un enorme successo negli Stati Uniti e in Europa.

3.5, Monterey International Pop Festival
June 16-17-18, 1967

Il testo, If you’re going to San Francisco, be sure to wear some flowers in your hair cioè “Se stai andando a San Francisco, assicurati di indossare dei fiori nei tuoi capelli”, convinse migliaia di giovani di tutto il mondo a recarsi a San Francisco, a volte portando fiori tra i capelli e distribuendoli ai passanti, guadagnandosi il nome di “Flower Children”.

Gruppi come i Grateful Dead, la Big Brother and the Holding Company con Janis Joplin e i Jefferson Airplane continuarono a vivere ad Haight, il quartiere dove si stabilì la maggiorparte dei giovani convenuti all’evento. Per quanto riguarda questo periodo della storia, il 7 luglio 1967 la rivista Time si presentò con una copertina intitolata “Gli Hippy: La filosofia di una subcultura”.

L’articolo descriveva le linee guida del codice hippy: “Fai le tue cose, ovunque devi farle e ogni volta che vuoi. Ritirati. Lascia la società esattamente come l’hai conosciuta. Lascia tutto. Fai sballare qualsiasi persona normale con cui vieni in contatto. Fagli scoprire, se non la droga, almeno la bellezza, l’amore, l’onestà, il divertimento”. Si stima che circa 100.000 persone si siano recate a San Francisco nell’estate del 1967. I mezzi di informazione li seguirono, rivolgendo i riflettori sul distretto di Haight-Ashbury e rendendo popolari i costumi hippie.

Con questa maggiore attenzione, gli hippy trovarono sostegno per i loro ideali di amore e di pace, ma furono anche criticati per le loro lotta contro il lavoro e pro-droga, e per la loro etica permissiva. Timori riguardo alla cultura hippy, in particolare per quanto riguarda l’abuso di droga e l’assenza di moralità, alimentarono le ansie morali della fine del decennio. Si verificò una incessante copertura mediatica che portò i Diggers di san Francisco a dichiarare la “morte” degli hippy con una cerimonia-spettacolo. Il 6 ottobre 1967 tutte le comuni hippie situate nel circondario di San Francisco si radunano in città. Una moltitudine di ragazzi e ragazze vestiti a lutto si avvia in un lungo e silenzioso corteo che percorre le vie principali.

Ai bordi delle strade percorse dalla singolare processione altri ragazzi distribuiscono volantini che spiegano ai passanti come tutte le comuni abbiano deciso di celebrare “la morte degli hippie”. Il movimento hippie fa il funerale a se stesso per protestare contro lo sfruttamento commerciale della sua immagine, delle sue idee e della sua stessa esistenza. «Questo mondo non ci piace. Siamo nati per cambiarlo e il consumismo ha scoperto che anche la nostra voglia di cambiamento può diventare merce. Per questo il movimento è morto e oggi lo accompagnamo nel suo ultimo viaggio». Basta guardarsi intorno per capire quali siano i fenomeni cui fanno riferimento i ragazzi delle comuni. Le vetrine di San Francisco, i bar, i ritrovi, tutto è stato colorato da fiori.

La scritta “Peace and love” campeggia su un numero impressionante di oggetti e capi di vestiario in vendita. A partire dall’aprile di quell’anno la Greyhound, la più famosa compagnia statunitense di pullman, ha addirittura inaugurato un singolare giro turistico tra le varie comuni hippie di S. Francisco. «Adesso basta, non si possono vendere le idee». Un movimento culturale ed esistenziale nato dalla ribellione al consumismo sta diventando esso stesso oggetto di consumo. Secondo il poeta epigono Stormi Chambless, l’effige di un hippie venne seppellita nel Golden Gate Park a dimostrazione della fine del suo regno. Al di là del gesto simbolico, il funerale segnerà davvero la fine di una fase nella storia degli hippies. Il Flower Power, come lo definiscono i media, non ce la fa; non conquista il Potere, forse perché non era quello che interessava, non era quello che volevano i “figli dei fiori”.

O, forse, perché parole come Pace e Amore cominciavano ad essere una minaccia per l’America, impegnata nelle guerre contro Vietnam e Cambogia, in rapporti tesi con l’Unione sovietica, con conflitti razziali interni e con presidenti e predicatori assassinati. Il trasgressivo slogan dei Figli dei fiori è stato: Fate l’amore, non fate la guerra. Ma la storia e gli eventi lo capovolsero in Non fate l’amore, fate la guerra. Purtroppo, così fu. Il movimento si spezzerà in due tronconi. Uno, sull’onda del “flower power”, finirà per rifugiarsi sempre più in una sorta di individualismo di massa finalizzato alla felicità interiore e lontano dalle questioni sociali.

L’altra scoprirà la politica e affiancherà l’impegno alle esperienze di vita comunitaria finendo poi per confluire nelle grandi battaglie pacifiste e per i diritti civili che di lì a poco infiammeranno gli States.

Conclusioni

Per dirla con il Professor Fattorello, voglia perdonare il tono confidenziale che uso in quanto condivido appieno la Sua teoria, il movimento hippie si disgrega, anzi, decide spontaneamente di autodisgregarsi, a seguito di un attacco strenuo e feroce da parte dei media.

I soggetti promotori dell’informazione si discostano eccessivamente da quel che costituisce “il punto x)” del processo di informazione. E’ risaputo ovviamente che “il fatto, l’ideologia o il personaggio di cui si parla resta fuori dal processo” ma in questo caso, è mia opinione pensare che la “O” di questo particolare processo informativo si sia scorporata completamente dalla x) portando ad un travisamento della stessa. La “O”, che non è altro che la rappresentazione che il soggetto promotore dell’informazione propone al soggetto recettore della stessa, è stata snaturata delle sue parti essenziali.

Probabilmente a causa dell’opinione pubblica dell’epoca – la quale tendeva a non “guardare di buon occhio” le idee e le innovazioni di una subcultura come quella hippie – i testi e le immagini che sono parse più opportune agli informatori dell’epoca sono state proprio quelle che più contrastavano una delicata filosofia come quella hippie. Delicata in quanto, ponendosi come a – politica, non si basava, rispetto all’opinione comune di quegli anni, su fondamenta logiche e storiche abbastanza solide, in anni in cui qualunque minimo e timido tentativo di emergere dalle idee di massa veniva immediatamente sottoposto a tentativi di classificazione in categorie pre – esistenti.

La cultura hippie dopo essere stata fraintesa è stata travisata al fine di poter essere strumentalizzata in una scontata macchina per fare soldi a causa probabilmente della necessità di catalogare quello che invece non vuole e non può essere catalogato ed opinato, qualcosa che si poneva come rottura dei canoni e delle categorie, qualcosa che rappresentava tutto e il contrario di tutto e che ovviamente ci poneva di fronte alla nostra innata paura dell’ignoto.