“Social Radio” la funzione sociale delle radiocomunicazioni amatoriali in ambito cittadino

“SOCIAL RADIO”
LA FUNZIONE SOCIALE DELLE RADIOCOMUNICAZIONI AMATORIALI IN AMBITO CITTADINO
Progetto sperimentale di comunicazione sociale

PREMESSA

Le città dalle tante isole.

I grandi agglomerati urbani, le città ad alta cifra abitativa, le metropoli, sono contesti nei quali dovrebbero registrarsi ottimi motivi di coesione e di scambio sociale, di adeguata qualità della vita, assicurati grazie ad una fitta rete di servizi commerciali, ricreativi, civici e assistenziali presenti sul territorio.

In realtà le nostre città, presentano notevoli problemi sociali dovuti all’isolamento e alla solitudine delle persone, alle difficoltà relazionali, alle forme di depressione e alienazione dalla partecipazione attiva alla società.

Questi disagi sociali sono stati analizzati attraverso alcune ricerche empiriche, dai risultati spesso tra loro contraddittori ma che hanno evidenziato quanto siano variegati i motivi che tendono a creare e ad alimentare queste forme d’isolamento, oltre alla trasversalità generazionale di chi è ne è affetto.

Negli ultimi anni, la tecnologia è intervenuta a modificare profondamente i tradizionali processi e modalità di comunicazione sociale e se da un lato la “rete” ha consentito la velocizzazione e l’efficienza dei rapporti formali (si pensi all’introduzione delle E-mail e ai Social Network) dall’altro assistiamo anche alla rarefazione dei rapporti sociali, amicali ed empatici tipici vissuti nella realtà quotidiana. (senza contare l’insorgere sempre più frequente di patologie legate all’uso smodato del Personal computer)

Va considerato in ogni caso, che la padronanza delle nuove forme di comunicazione elettronica (se di comunicazione si tratta!) è patrimonio quasi esclusivo delle generazioni più giovani o comunque delle persone con alto grado di scolarizzazione, mentre le persone più anziane e/o di bassa scolarizzazione, anche a causa del senso d’impotenza di fronte all’avanzare prepotente e inarrestabile della tecnologia, vivono un ulteriore motivo d’isolamento.

Una categoria di soggetti potenzialmente non esente da questo tipo di patologie sociali è inoltre, per ovvia ragione, anche quella dei portatori di Handicap motori gravi e le persone non vedenti.

Alle tante iniziative a sostegno di questi soggetti, messe in campo dalle strutture sociali degli enti locali, dagli operatori sanitari, dai professionisti psicologi, sociologi e dalle organizzazioni no-profit che si interessano a questi tipi di disagio sociale e psicologico, si potrebbe aggiungere in via sperimentale un progetto che preveda di utilizzare, quale strumento di coinvolgimento relazionale di gruppo e di inserimento sociale, le potenzialità intrinseche delle radiocomunicazioni amatoriali in ambito cittadino.

1. Le radiocomunicazioni amatoriali: libertà di espressione e circolarità comunicativa

Le radiocomunicazioni amatoriali nascono praticamente insieme alla stessa invenzione della Radio, tanto che già nel 1914 negli stati uniti è presente un’attiva comunità di radioamatori riunita nella ARRL (American Radio Relay League).

Nel 1919 sarà proprio Frank Conrad un ingegnere radioamatore statunitense, a suggerire, dopo aver trasmesso con la sua stazione radio amatoriale alcuni pezzi di musica, lo sviluppo delle emittenti radiofoniche broadcast.

La realtà delle radiocomunicazioni amatoriali hanno influenzato riflessioni culturali notevoli, che le definiranno, forse in modo eccessivo, l’unica forma di comunicazione radiofonica svincolata dai dettami del mercato commerciale. (c.f.r. Adorno, W. Theodor; Horkheimer, Max. 1966. Dialettica dell’Illuminismo; “L’industria culturale” pagg. 131,132 Torino, Einaudi)

Anche in Italia, analogamente agli Stati Uniti, a partire dai primi anni 50 si svilupperà una fitta rete di radiocomunicazioni amatoriali in ambito cittadino, che si differenzieranno nettamente dalle comunicazioni tecnicamente ortodosse dei Radioamatori veri e propri, aprendo a un concetto di libertà espressiva da parte del singolo emittente.

Questa ultima forma di radiocomunicazione amatoriale prende il nome di CB, quale acronimo di Citizen Band (Banda Cittadina) ed è a questa CB che nel presente scritto vogliamo riferirci.

Dopo un lungo periodo di cosiddetta “pirateria”, finalmente nel 1973, anche nel nostro paese, è introdotta una normativa che legalizza le trasmissioni amatoriali CB in questa banda di frequenza (27 MHz), naturalmente con espresso divieto di turpiloquio e propaganda politica.

Adesso l’autorizzazione a trasmettere in CB si ottiene con la presentazione di una semplice domanda alle autorità competenti, le quali rilasciano la concessione governativa previo pagamento di una piccola tassa d’esercizio di stazione.

La particolarità delle radiocomunicazioni amatoriali CB consiste principalmente nella circolarità comunicativa e nel paritario livello d’interlocuzione con il corrispondente.

Se vogliamo, l’assenza della circolarità comunicativa è, dal punto di vista sociale, proprio il limite che invece pesa sulle tradizionali emittenti radiofoniche Broadcasting che sono, ad esclusione di qualche sporadica telefonata da parte degli ascoltatori, totalmente unidirezionali.

Su questo punto può essere storicamente e culturalmente interessante citare Bertolt Brecht nel suo “Discorso sulla funzione della radio” quando afferma: “Adesso cerchiamo di diventare positivi, di scoprire ossia ciò che di positivo c’è nella radio; ecco qui una proposta per modificare il funzionamento della radio: si dovrebbe trasformare la radio da mezzo di distribuzione in mezzo di comunicazione. La radio potrebbe essere per la vita pubblica il più grandioso mezzo di comunicazione che si possa immaginare, uno straordinario sistema di canali, cioè potrebbe esserlo se fosse in grado non solo di trasmettere ma anche di ricevere, non solo di far sentire qualcosa all’ascoltatore ma anche di farlo parlare, non di isolarlo ma di metterlo in relazione con altri.”

Nelle radiocomunicazioni amatoriali i diversi status economici personali, i titoli accademici, professionali, onorifici non hanno alcuna preminenza e non giocano alcun ruolo. Questa condizione fa si che siano attenuati i pregiudizi, anche generazionali e le barriere formali alla comunicazione che insistono nelle relazioni sociali comuni e che spesso possono essere proprio motivo di blocco per i soggetti più sensibili alle differenze sociali sia dal basso verso l’alto sia viceversa.

In pratica, nelle radiocomunicazioni amatoriali si forma una “ruota” ove tutti attendono in sequenza il loro momento d’intervento in trasmissione per intervenire nel discorso corrente in un libero scambio di opinioni.

In questa logica è naturale che emerga un comune senso empatico poiché appartenenti alla stessa “ruota” con effetti positivi di mutua solidarietà e di condivisione delle conoscenze e delle esperienze.

E’ evidente che le dinamiche sopra descritte, che si sviluppano nel gruppo, nella comunità che partecipa alla “ruota”, non si possono ottenere in caso di una conversazione telefonica tra due soli soggetti (servizi telefonici tipo “telefono amico”)

Nelle trasmissioni CB non ci sono stazioni prioritarie, si è a turno tutti ascoltatori e tutti emittenti e il dialogo si svolge liberamente senza schemi definiti.

È pertanto stimolata, nel soggetto che prende parte alla “ruota”, la capacità di ascolto e la capacità di sintesi nel formulare un intervento di senso compiuto.

Nelle radiocomunicazioni amatoriali in ambito cittadino, si ottiene l’annullamento della dimensione spaziale, ogni partecipante alla “ruota “ siede in casa propria e decide quale e quanto tempo dedicare a questa sorta di Agorà delocalizzato.

2. Il progetto: “SOCIAL RADIO” uso sociale del mezzo radio amatoriale

Quello che si vuole proporre è un progetto sperimentale aperto, flessibile, di facile approntamento organizzativo e dal costo contenuto, dove la più ampia partecipazione di soggetti ed enti istituzionali, sia nazionali sia locali, delle università, del mondo delle associazioni no profit e del volontariato, è auspicabile e funzionale alla migliore riuscita della sperimentazione sull’uso per scopi sociali delle radiocomunicazioni amatoriali in ambito cittadino.

Una prima fase sperimentale, da cui trarre un modello esportabile a livello nazionale, potrebbe essere avviato in città di grandi dimensioni, come ad esempio Roma e/o Torino.

In questo caso dovrebbe essere coinvolto l’Assessorato alle Politiche Sociali del Comune, per ottenere il necessario patrocinio del progetto, attraverso una convenzione con le associazioni no profit attive nel settore sociale e le Università aventi indirizzi di laurea in Sociologia, Psicologia e Scienze della comunicazione.

A cura di questi soggetti si devono individuare:

 Le persone sofferenti il disagio relazionale che s’intendono avviare al progetto. (sono di regola le persone sole, chi non si sente in sintonia con l’ambiente che lo circonda e quando si trova insieme agli altri, avverte un distacco emotivo e la difficoltà a comunicare, oppure coloro i quali non riescono a esprimere appieno se stessi, i depressi o le persone che vivono un problema che li fa sentire ancora più soli e diversi, poiché non comunicare aggrava tale disagio.)

 I volontari facenti

parte del gruppo di controllo (riconoscendo loro un gettone di partecipazione e/o auspicabilmente crediti formativi in caso siano studenti universitari) utilizzabili in veste di “facilitatori” previo opportuno breve intervento formativo. (Il facilitatore è il partecipante alla “ruota” via radio, il quale, agevolando i rapporti tra le persone inserite nel gruppo di soggetti prescelti, li aiuta a raggiungere gli obiettivi previsti nel progetto, ossia ne stimola l’apertura comunicativa e relazionale). Nel caso specifico, il facilitatore della comunicazione ha il peculiare compito di riuscire a cogliere e stimolare quegli argomenti che possano interessare i soggetti partecipanti al progetto e avviare un colloquio, uno scambio d’idee, anche semplici racconti esperienziali personali, pur di avviare un rapporto empatico con essi.

 I volontari Radioamatori, provenienti dalle associazioni di
protezione civile o dei radioamatori, i quali intervengono per redigere le necessarie documentazioni necessarie al rilascio della concessione all’uso e detenzione della stazione radio CB, in veste di esperti installatori delle apparecchiature necessarie alla trasmissione e poi come “tutor”, nella fase iniziale del progetto, per istruire adeguatamente sia i soggetti partecipanti sia i facilitatori, sull’uso operativo della piccola stazione radio amatoriale.

3. Benefici attesi dal buon andamento del progetto

Quello che s’intende ricreare con l’ausilio del mezzo radiofonico è in pratica quello che in gergo psicosociale si può definire un gruppo di aiuto-mutuoaiuto, in altre parole un gruppo composto di persone, accomunate dal desiderio di superare lo stesso disagio comunicativo. Questo è elaborato in prima persona attraverso il confronto, la condivisione e lo scambio d’informazioni, emozioni, esperienze e problemi nel corso dei dialoghi radiofonici.

Nella “ruota” si ascolta e si è ascoltati, senza pregiudizi, ci si autogestisce seguendo un sistema condiviso di regole e valori, utili a sviluppare le capacità che si riferiscono alla sfera emotiva, interpersonale e motivazionale.

Si tratta quindi di proporre un’alternativa economica e più accessibile ai servizi sanitari di tipo professionale, per offrire sostegno emotivo attraverso la rottura dell’isolamento e la comunicazione verbale in quanto, con le dinamiche che si sviluppano nella relazione di gruppo, si ha la possibilità di scoprire risorse personali latenti e quindi di attivarle per utilizzarle al meglio nei rapporti con gli altri, favorendo anche la nascita di nuove amicizie.

E’ necessario anche evidenziare che le trasmissioni radioamatoriali sono pubbliche e l’acquisto degli apparati trasmittenti è libero. Ciò significa che è sempre possibile e non evitabile un’estemporanea intromissione da parte di soggetti disturbatori che possono perturbare, anche pesantemente con il turpiloquio, l’andamento sereno di una “ruota” già avviata da un facilitatore.

Questo in fondo è però proprio ciò che rende questo tipo di comunicazione una forma reale di confronto e di esercizio nei momenti di stress e non un “acquario per pesci” dove i soggetti con disagio sono introdotti senza pericolo di perturbazioni, una situazione però artefatta e innaturale.

4. Dotazioni tecniche

Per avviare il progetto “Social Radio” è necessario dotare sia i soggetti partecipanti al progetto, sia i facilitatori, di una piccola stazione radio composta da un ricetrasmettitore omologato (noto anche come baracchino), un alimentatore A.C/C.C. e un’antenna esterna di adeguata dimensione.

La vigente normativa sul diritto d’antenna tutela il Diritto di installazione dell’antenna esterna e quindi l’unico vincolo oggettivo al montaggio può derivare dalla impossibilità tecnica di installazione.

Il costo complessivo delle attrezzature necessarie al funzionamento di ciascuna stazione radio, è di circa Euro 300,00 ma non è difficile, con l’aiuto degli esperti radioamatori, attingere al fiorente mercato dell’usato, con grande risparmio rispetto agli apparati nuovi.

Auspicabile poi che a far parte del progetto possano partecipare sponsor privati che si offrano di fornire tutte o parte delle necessarie attrezzature previste per la partenza del progetto pilota. Sono infine molte le stazioni radioamatoriali gestite dalle associazioni di volontari della protezione civile che possono eventualmente ospitare a turno i facilitatori della comunicazione nella loro sede sociale, evitando con ciò ulteriori installazioni di apparati.

Completata l’installazione delle stazioni radio nelle singole abitazioni, è possibile iniziare immediatamente quanto previsto dal progetto “Social Radio” poiché non si scorgono elementi ostativi all’uso della banda di frequenza CB relativa ai 27 MHz. Per migliorare le radio comunicazioni è possibile destinare un certo canale trasmissivo a un quadrante cittadino, riducendo pertanto la portata necessaria per entrare in comunicazione.

Con il recepimento del progetto “Social Radio” da parte di soggetti
istituzionali, sarebbe opportuno richiedere al competente Ministero di assegnare all’utilizzo CB anche una porzione di banda UHF, analogamente a quanto avviene in U.S.A. e Australia. Questa nuova banda di frequenza sarebbe oltremodo migliorativa rispetto a quanto oggi possibile in banda 27 MHz. (si potrebbe utilizzare con apparati di adeguata potenza RF e antenna esterna, una parte della porzione di banda assegnata oggi agli LPD ossia i Low Power Device oppure la nuova banda di frequenza SRD 869 MHz).Infatti, in banda UHF occorrono antenne nettamente più piccole di quelle CB 27 MHz per avere pari efficienze trasmissive, oltre al fatto che le conversazioni in modulazione di frequenza evitano fastidiosi soffi e ronzii tipici invece della modulazione d’ampiezza, utilizzata dagli attuali baracchini.

CONCLUSIONI

Jeremy Rifkin nel 2009 scriveva il suo ultimo libro di grande successo, un Best sellers intitolato “La civiltà dell’empatia” cogliendo con esso in anticipo, come solo alcuni lucidi osservatori della realtà sociale riescono a fare, la necessità per gli esseri umani di ritornare ad essere soggetti empatici.

Una più stretta relazione con la natura che ci circonda, con gli altri della nostra stessa specie non può prescindere da una comunicazione più stretta, più coinvolgente.

E forse questa ritrovata voglia di comunità, di riscoprirsi soggetto sociale in un contesto socializzante, coincide con la presa d’atto che Internet offre straordinari servizi, se riferiti alla capacità di trarre informazioni dalla rete e una moltitudine di contatti tra utenti, prima impensabili e utili sotto innumerevoli punti di vista ma nello stesso tempo nessun concreto miglioramento della comunicazione umana, se per comunicazione ci riferiamo al concetto di “comunione” tra esseri umani.

Del resto, nello stesso libro di Rifkin, è riportata una citazione della storica Elizabeth Eisenstein che asserisce: “ L’idea che la società può essere considerata un insieme di unità separate o che l’individuo viene prima del gruppo sociale sembra più compatibile con un pubblico di lettori che di ascoltatori”.

Per quanto riguarda il presente progetto infine, può essere utile leggere quanto scrive Andrea Borgnino in un suo recente articolo apparso su Radio Rivista, l’organo ufficiale dell’Associazione Radioamatori Italiani, per apprendere che negli Stati Uniti e seppur in misura minore in Europa, siano in grande crescita le licenze rilasciate ai nuovi radioamatori.

Segno evidente questo che le radiocomunicazioni amatoriali seguono l’evolversi delle tendenze sociali, cosa che dovremmo cogliere anche noi  realizzando al progetto “Social Radio”.

Dott. Marco Cuppoletti
Sociologo della comunicazione e organizzazione
Componente del Consiglio Direttivo Istituto Francesco Fattorello

Radiotelevisione pubblica: la badante elettronica

Il servizio radiotelevisivo pubblico quale ausilio socio sanitario al sistema sussidiario

In Europa e più marcatamente in Italia, a causa della bassa natalità che persiste oramai da molti anni, stiamo assistendo ad un progressivo innalzamento dell’età media della cittadinanza, come testimonia Il recente rapporto ISTAT “Natalità e fecondità della popolazione residente”. Il riflesso più problematico consiste nello squilibrio demografico, ovvero nel rapporto tra nuovi nati/ottantenni (rapporto Eurostat 2016) ove l’Italia, insieme a Germania e Grecia, risulta essere fanalino di coda rispetto agli altri paesi europei. Il tema è analizzato in modo puntuale ed esaustivamente in un articolo datato 11 dicembre 2018 su NEODEMUS.INFO a firma dei ricercatori del CNR Corrado Bonifazi e Angela Paparusso. E’ poi di questi giorni il rapporto ISTAT 2018 che parla esplicitamente di “recessione demografica”, che attesta intorno ai 5 milioni gli italiani, in larga parte giovani, che decidono di lasciare il Paese verso lidi che offrono maggiori garanzie di occupazione o imposizioni fiscali più basse.

Preso atto del grave fenomeno, spetta alle forze politiche mettere in campo i necessari strumenti di welfare necessari a sostenere economicamente ed attraverso opportuni servizi da una parte coloro i quali intendono procreare ma sono spaventati da un possibile arretramento della loro qualità di vita e dall’altra la popolazione anziana che, come si è detto, è in costante aumento.

Come noto, la spesa pubblica italiana (circa 830 miliardi di Euro annui) è in larga parte costituita dalle spese necessarie a sostenere il sistema sanitario nazionale, il quale risente evidentemente del progressivo invecchiamento della popolazione che vive, fortunatamente, più a lungo ma è pur sempre bisognosa di cure e di ausili medico-sanitari.

Per quanto riguarda quest’ultimo aspetto, la tecnologia ha fatto passi da gigante e offre farmaci e presidi medici di grande efficacie e funzionalità.

Tuttavia, nonostante l’enorme impegno di risorse economiche pubbliche ed il progredire della ricerca medica, al servizio sanitario nazionale si affianca necessariamente ed inevitabilmente un “sistema sussidiario” tipicamente italiano, consistente in un gravoso impegno a carico delle famiglie, le quali debbono provvedere con vari mezzi ad assistere quotidianamente (direttamente o tramite collaboratori domestici) i familiari anziani nelle loro necessità.

Tra gli strumenti a disposizione delle famiglie per avere un ausilio utile ad ottenere almeno un parziale sollievo al pressante impegno quotidiano che grava sulle famiglie italiane, interviene anche il Servizio Pubblico Radiotelevisivo che, attraverso il primo canale TV nazionale, con le sue trasmissioni mattutine e pomeridiane, intrattiene empaticamente lo spettatore anziano (pensiamo a chi è costretto a letto o comunque affetto da ridotta mobilità) durante tutto l’arco della giornata, tanto che un’eventuale e fortuita interruzione nella fruizione delle trasmissioni televisive viene vissuta (e non solo dallo spettatore anziano ma anche da suoi familiari) come un serio problema.

Il Servizio pubblico radiotelevisivo pertanto, nella sua articolazione e nelle sue varie specificità, non può non tener conto di un suo fondamentale ruolo e cioè quello di costituire per una sempre più vasta platea di spettatori anziani uno strumento indispensabile, che va ben oltre il mero proponimento di intrattenimento ma che si configura come un vero e proprio strumento di ausilio socio-sanitario.

La missione del Servizio Pubblico Radiotelevisivo in Europa, Educare, Informare, Divertire, tracciata nel 1927 da Sir Reith va dunque contestualizzata e riformulata rispetto alle origini.

Si deve considerare infatti che oggi il sistema della comunicazione mediatica è ricco di piattaforme distributive diversificate, che colgono più e meglio del passato i gusti e le preferenze dei “pubblici”.

Su queste debbono concentrarsi gli sforzi editoriali alla ricerca di nuovi linguaggi e nuove forme comunicative, perché queste piattaforme sono rivolte evidentemente ad una utenza specializzata in grado di apprezzare e di ricercare la qualità di una riproduzione audiovisiva in alta o altissima definizione disponibile sulla rete IP o proveniente dalla diffusione satellitare.

Interattività, realtà aumentata, realtà virtuale, sono aspetti specialistici dell’elaborazione dei contenuti mediatici che debbono essere sviluppati costantemente, così come è necessaria la creazione di contenuti multimediali adeguati a valorizzare queste nuove tecnologie digitali applicate alla comunicazione radiotelevisiva.

Il Servizio Pubblico Radiotelevisivo, se tale deve essere, deve dare però concreta applicazione agli obblighi derivanti dal contratto di servizio tra il Ministero dello Sviluppo Economico e la Rai radiotelevisione italiana SpA, deve porre in essere quanto descritto negli articoli 2-3-4, ove si evince bene, la missione di tutela e sostegno al pubblico anziano attraverso specifica programmazione.

In questa logica, emerge ad avviso di chi scrive, la piena titolarità ad esigere da parte statale un canone annuo di abbonamento al servizio pubblico radiotelevisivo, non fosse altro per l’esercizio del ruolo sopra descritto, quasi fosse una sorta di ticket sociosanitario minimale (0,25 Euro al giorno a famiglia!)

Ovvio che in realtà, come giusto che sia, la RAI con la sua programmazione giornaliera presente sulle varie piattaforme distributive, offre un ventaglio di prodotti editoriali in grado di raggiungere pubblici molteplici. Da questo punto di vista gli obblighi derivanti dal contratto di servizio impegnano la RAI ad uno sforzo produttivo enorme ma necessario ad assicurare puntualmente la sua offerta comunicativa; tuttavia la missione di ausilio sociosanitario a favore del pubblico anziano, se non primaria è certamente una caratteristica che connota autorevolmente il servizio pubblico radiotelevisivo rispetto all’emittenza privata.

Chi sembra aver colto bene le necessità del pubblico anziano e’ il settore della pubblicità; è infatti del tutto evidente il netto incremento di inserzioni pubblicitarie, principalmente televisive, riguardanti prodotti e servizi destinati al pubblico anziano.

Da ciò ne risulta un mercato pubblicitario in via di sviluppo, tale da costituire un capitolo importante della raccolta pubblicitaria della RAI, in relazione allo share medio ottenuto da RAI 1, in un periodo di netta flessione della raccolta pubblicitaria dovuta alla scarsa domanda di prodotti e servizi destinati ad un pubblico più giovane, peraltro con redditi inferiori alla media dei pensionati e che comunque registra la perdita di potere di acquisto a causa di una crisi congiunturale che sembra non attenuarsi.

Se, come si ipotizza da anni, la RAI dovesse attuare un piano industriale che individua una organizzazione centrata sulla produzione di contenuti editoriali suddivisi per genere, sarà essenziale creare, almeno per la prima rete televisiva, una struttura in grado di individuare quei prodotti più adatti al pubblico anziano di riferimento ed anzi stimolarne la produzione di contenuti che dovrà essere rispondente a parametri comunicativi appositamente studiati per la particolare platea di riferimento, tentando nel contempo di attrarre anche il pubblico di mezza età in vista di una progressiva fidelizzazione al canale.

In conclusione, può essere utile riferirci a Niklas Luhman quando afferma che il sistema della comunicazione nel suo complesso costituisce di per sé un sistema sociale auto poietico che evolve e si sviluppa di pari passi con tutti gli altri sistemi sociali per dire che anche la missione del servizio pubblico radiotelevisivo deve essere in sintonia con l’evolversi ed il trasformarsi della società civile.

Per lunghi anni, la programmazione della prima rete TV della RAI prevedeva un ambito di particolare programmazione denominata “ La TV dei ragazzi”.

Oggi, va preso atto che i giovani prediligono una diversa fruizione dei contenuti mediali presenti su piattaforme diverse rispetto alla televisione di flusso tradizionale, realtà questa che come già detto deve essere categoricamente presidiata e sviluppata dall’azienda di Stato sia in termini tecnologici sia in termini comunicativi.

Pertanto, non deve essere interpretato come riduttivo o peggio svilente immaginare una “TV degli anziani” che trova nella prima rete televisiva della RAI la sua naturale e più opportuna allocazione.
Non si comprende quindi la ragione editoriale ed economica che vorrebbe la stessa rete proiettata alla conquista di un pubblico giovane che in ogni caso fa scelte diverse.

Se il timore dei dirigenti della tv pubblica è quello di un possibile calo di audience sulla rete ammiraglia, stante invece il costante ampliarsi della platea “matura” rispetto a quella più giovane, forse risulterebbe più opportuno che si impegnassero sul piano editoriale nel conservare l’attuale fidelizzazione dei soggetti anziani che scelgono aprioristicamente il primo tasto del telecomando, per non indurli a fare scelte diverse qualora il loro canale di riferimento dovesse cambiare pelle alla ricerca di pubblici che difficilmente scelgono la televisione generalista per il loro intrattenimento.

Dott. Marco Cuppoletti
Sociologo

Tecniche e cautele nella Comunicazione con i Minori

Conferenza di apertura al Corso di formazione “Le basi e le tecniche della comunicazione umana” tenuto a Catania dal prof. Ragnetti per Operatori sociali delle amministrazioni pubbliche e del privato noprofit

Ogni individuo è al centro di una quantità di rapporti (genitore/figlio, marito/moglie, pubblica amministrazione/cittadino, dipendente/manager…ecc); non sempre, però è consapevole del contesto e delle dinamiche comunicative della situazione in atto.

La mancanza di questa consapevolezza rende poco efficaci ed efficienti sia le capacità relazionali, sia quelle comunicative. Questa consapevolezza è legata ad una capacità di osservare/ascoltare che è generalmente poco sviluppata. La maggior parte degli equivoci in cui l’individuo s’imbatte nella comunicazione interpersonale deriva dall’abitudine prevalente, come comunicatori, di non porsi nella posizione di ascoltatori e di non saper immaginare se gli altri riusciranno o meno a comprendere cosa stiamo per dire.

Molte forme di disagio esistenziale e di difficoltà in ambito familiare e professionale sono, anche, l’effetto di una comunicazione problematica, ambigua e contraddittoria. Da tale presupposto s’impone la necessità di individuare percorsi che consentano di apprendere i molteplici segreti della comunicazione interpersonale. Imparare a comunicare, però, non solo attraverso l’apprendimento di tecniche e strategie, ma soprattutto mediante un’attenta riflessione sul proprio modo di esserci e relazionarsi.

Ma che cosa è questa “comunicazione”?

La comunicazione non è ciò che vogliamo dire, ciò che noi pensiamo di dire, ciò che riteniamo di dover dire, ciò che abbiamo letto sui libri, ciò che abbiamo appreso, ecc. la comunicazione non è tutto questo. La comunicazione non avviene in partenza, avviene all’arrivo, cioè in colui che ascolta, nella sua testa. Bisogna sgomberare il campo da falsi preconcetti e da false credenze.

Ad esempio, molte volte sentiamo dire “Non esistono i valori”, “Non ci sono più i valori di una volta”, ecc. A voi che lavorate nel sociale molte volte vi “cadono le braccia” perchè i giovani non credono più a nulla e vi lamentate che c’è il vuoto. In realtà, si continuano a non capire le dinamiche, i meccanismi della comunicazione quando si fanno questi discorsi, perché questi giovani non è vero che non hanno più valori. Ma chi decide che cosa è un valore? La nostra cultura, i nostri genitori, il nostro sociale? Ci hanno detto che il valore è” questo e questo” e tutto ciò che non lo è, sarà soltanto un dis valore, quindi una seconda categoria, per cui i nostri ragazzi saranno, al massimo, portatori di dis-valori. E’ lì il contrasto, è lì, il parlarsi tra due unità che non hanno nessuna possibilità di capirsi. E allora?

Imposizione, repressione, autorità, che sono, ancora, la negazione all’ennesima potenza di una possibilità di relazionarsi. Allora dobbiamo subito, come partenza choc, metterci in testa che tutto ciò che fa di noi gli uomini che siamo,ha ben poco a che vedere con l’universo delle altre persone con cui interagiamo.

Tutto il nostro sforzo,quindi, di trasferire necessariamente, di imporre ai nostri figli le cose in cui crediamo non è corretto, perché dobbiamo comprendere che abbiamo a che fare con un altro essere umano, diverso da noi e che la società in cui noi siamo cresciuti è diversa da quella in cui loro stanno crescendo.

Voi che operate in situazioni problematiche dovete avere soprattutto una funzione di comprensione, di intervento, possibilmente con finalità terapeutiche, che vuol dire instaurare un dialogo per capire, per poter poi comunicare nella maniera più giusta ciò che “ scienza e coscienza” ritengono essere il comportamento ideale per quel tipo di problema, di patologia, di necessità sociale, ecc. Per gli operatori sociali, per chi si occupa di disagio, in particolare per chi lavora ed è a stretto contatto con i minori, è obbligatorio uscire fuori dai luoghi comuni, dai discorsi di salotto, dai “così fan tutti”: tutti voi dovete essere diversi, non potete essere come l’uomo della strada…

Dovete diventare innanzi tutto sociologi nel vostro lavoro, nel senso che dovete imparare a capire la società in quel momento, i cambiamenti, l’orientamento; quali sono le cose che interessano alle persone inserite in un determinato contesto, ai giovani in particolare.

Non è vero che i giovani non credono più a nulla; per esempio, credono al nulla, vi pare poco? Questi ragazzi hanno bisogno di qualcosa, ma questo può essere capito attraverso loro stessi.

Sono stato invitato a parlarvi di comunicazione e in particolare di come comunicare con i minori e a questo proposito vorrei dire che la comunicazione è una delle scienze più difficili anche se molto penalizzata. Tutti ne parlano, giornali, radio, televisione e adesso i cosidetti social, e ciò che impressiona è la pretesa di dare giudizi su una disciplina complessa, che si occupa dei rapporti tra gli esseri umani. Non esistono formule magiche nè regole fisse, perché non esistono esseri umani fissi, ragazzi uguali, programmati univocamente su cui possiamo fare ipotesi previsionali di comportamento, di reazioni costanti a determinati stimoli. Come si può pensare di circoscrivere un ragazzo in un modello! Se non sei così, se non ti comporti in un certo modo, c’è qualcosa che non va o, addirittura, “l’è tutto da rifare!”! E’ questo uno degli errori più gravi che commettono genitori ed educatori , insieme al fatto di non ascoltare più i ragazzi. A questo proposito è fondamentale sottolineare ed enfatizzare l’arte dell’ascolto, che avremo modo di approfondire come una delle premesse – base del processo comunicativo.

Ascoltare per conoscere, conoscere per capire, capire per comunicare, comunicare per agire.

Chi opera nel sociale come voi ha una grande responsabilità: capire anche la comunicazione inespressa, sentire ed ascoltare anche quello che non viene detto. Come capire se non mettendo le persone in condizione di parlare senza il terrore del giudizio? Il meccanismo di base è lavorare sull’uomo, fare assumere consapevolezza al singolo della propria personalità ,della sua miracolosa unicità, del suo essere interiore, quindi delle sue potenzialità e capacità; cioè dobbiamo restituire ai ragazzi la fiducia nei propri mezzi, dobbiamo far capire loro che possono farcela da soli, senza “aiuti” esterni (pensiamo all’uso di droghe, fumo, alcool ecc). Dovremmo capire che non solo i “bravi” sono bravi, e solo i “buoni” sono buoni: tutti noi siamo stati testimoni che non sempre i ragazzi “migliori” sono stati anche i migliori nella vita! Talvolta situazioni difficili, quasi insostenibili per un ragazzo, hanno fornito stimoli reattivi di tale forza positiva e creativa da trasformare uno sconfitto certo , un quasi emarginato messo all’angolo, in un adulto vittorioso e con tutti gli attributi a posto!

Il primo obiettivo, allora, è far assumere consapevolezza al ragazzo, ascoltare, condividere empaticamente, entrare dentro i problemi. Quando il ragazzo, la persona che ha problemi, assume consapevolezza, capisce che anche con le sue gambe può continuare a camminare. Siamo noi che dobbiamo incoraggiarli e dare forti motivazioni affinché ognuno di loro creda in se stesso, in un età che è fisiologicamente problematica e dove coesistono due spinte opposte: la voglia di diventare autonomi, staccarsi dai genitori e dal periodo della fanciullezza e rimanere, nel contempo, legati alla famiglia cercando in essa protezione, ascolto ed incoraggiamento.

Comunicare la Politica: l’Autorevolezza Personale

Dopo le considerazioni fatte sull’immagine e la comunicazione politica, ritengo opportuno proporre spunti di riflessione su una componente di primaria importanza per l’immagine stessa. Si tratta dell’autorevolezza personale.

prof Giuseppe Ragnetti

In riferimento all’autorevolezza personale impropriamente si parla di caratteristiche innate: più opportunamente si dovrebbe parlare di caratteristiche derivanti dal nostro vissuto psicosociale e da noi introiettate in maniera automatica ed inconsapevole. Tali caratteristiche vanno ricercate, capite e sviluppate. E’ come se avessimo un conto corrente “dormiente” che giace in banca del tutto inutilizzato.

Ci sono poi le caratteristiche acquisite e quelle raggiungibili con l’applicazione e l’impegno: vanno ricercate e fatte nostre in maniera seria ed approfondita.

Ogni nostro comportamento, nell’agire quotidiano, viene percepito come autorevole e quindi credibile e carismatico, oppure come privo di ogni autorevolezza e quindi con una carica sociale di basso livello. Man mano, nel rapporto interpersonale, saremo sempre meno attrattivi e magari “tollerati” solo per opportunismo o per motivi gerarchici.

Ma vediamo quali sono gli ingredienti necessari per acquisire
autorevolezza: innanzi tutto l’amore per noi stessi da cui scaturisce la nostra indispensabile autostima, e poi i nostri valori di riferimento, gli schemi mentali aperti, disponibili e creativi, la capacità intuitiva. Le nostre motivazioni, la nostra intelligenza emotiva, la costante coerenza tra le nostre parole e il nostro agire: tutto ciò contribuisce a renderci persone carismatiche.

Il leader, il dirigente, il capo deve essere in grado di motivare e responsabilizzare i collaboratori, coinvolgendoli attraverso stimoli positivi e gratificanti, attraverso l’apprezzamento, la delega e mirando sempre alla loro autorealizzazione.

Il leader influisce sulla cultura e sul clima ambientale e il suo equilibrio gli consente di mantenere il controllo della situazione anche nei momenti critici. Deve calmare le acque troppo agitate e nel contempo prendere decisioni anche ad alto rischio assumendosene la responsabilità; ci vuole coraggio. Ma anche il coraggio ci dà autorevolezza.

Il leader deve prendersi cura delle esigenze più sentite, della necessità di essere riconosciuti e considerati e delle aspirazioni dei suoi interlocutori.

E allora, si rende necessario e prioritario l’impegno per acquisire maggior autorevolezza , anche attraverso l’apprendimento dell’ “ARTE DELL’ASCOLTO” e delle “TECNICHE DELL’ASSERTIVITA’”.

Vanno ben compresi e tenuti costantemente presenti, nelle relazioni di lavoro, nelle relazioni sociali e in particolar modo in politica, e in quelle della vita in generale, i quattro passaggi consequenziali e ineludibili che mi sento di proporre come l’assioma della BUONA COMUNICAZIONE:
– Ascoltare per conoscere
– Conoscere per capire
– Capire per comunicare
– Comunicare per agire

prof Giuseppe Ragnetti

Francesco Fattorello è stato tra i fondatori dello I.A.M.C.R.

Ricordo della Conferenza di Fondazione

Nel 1957, ero presidente dell’Unione dei giornalisti a Istanbul e redattore capo del quotidiano turco, Aksam. La Commissione nazionale turca per l’UNESCO mi ha chiesto di prendere parte al primo corso del Centro internazionale per l’istruzione superiore in giornalismo che era appena stato creato a Strasburgo.

Questo corso, durato due mesi, mi ha dato l’opportunità di conoscere il direttore del centro, il professor Jacques Léauté, il direttore dell’Istituto francese di stampa, Fernand Terrou e il vice direttore dell’Istituto, Jacques Kayser, molti ricercatori nel campo delle comunicazioni e illustri giornalisti come Henri Cassirer, Roger Clausse, Pierre Denoyer, Robert Desmond, Francesco Fattorello, Jacques Godecho, Robert Hennart, Emil Dovifat, Vladimir Klimes, Ralph Nafziger, Martin Rooij, Robert Salmon, Raymond Manevy, Rolf Meyer, Pierre Schaeffer, Bernard Voyenne e molti altri …

In seguito a questo incontro, sono stato invitato dal Direttore generale aggiunto dell’UNESCO a partecipare alla conferenza costitutiva dell’Associazione internazionale per la ricerca sulle comunicazioni di massa del 18 e 19 dicembre 1957, che si è svolta nella Segreteria dell’UNESCO, in avenue Kléber, in Parigi.

Quattro dei membri fondatori della IAMCR si sono riuniti a Strasburgo per la prima sessione del Centro internazionale per l’istruzione superiore in giornalismo nell’ottobre del 1957, alla vigilia della Conferenza Costituente IAMCR a Parigi. Da sinistra a destra: Francesco Fattorello, Fernand Terrou, Khoudiakoff, che non hanno partecipato all’incontro di Parigi, Jacques Léauté e Mieczyslaw Kafel. È interessante notare che i partecipanti a questa prima sessione del Centro di Strasburgo hanno partecipato in gran numero alla Conferenza costituente.

C’erano 14 paesi, rappresentati da 57 partecipanti e 5 organizzazioni internazionali. La conferenza è stata aperta da un discorso tenuto da Tor Gjesdal, direttore del Dipartimento di informazione dell’UNESCO. Dopo aver sottolineato il ruolo della comunicazione nel mondo moderno, ha continuato concentrandosi sull’importanza del coordinamento della ricerca nel campo delle comunicazioni e ha concluso il suo intervento con le seguenti parole: “All’UNESCO, siamo d’accordo con gli organizzatori di questo incontro nell’affermare è giunto il momento di cercare di stabilire legami più stretti e una maggiore cooperazione tra gli istituti di ricerca e i singoli ricercatori di tutto il mondo su argomenti relativi ai mezzi di comunicazione.

Fernand Terrou ha sottolineato nel suo discorso l’importanza dell’indipendenza richiesta dall’Associazione, sottolineando i seguenti punti: “Ecco, credo, un esempio particolarmente caratteristico della vera missione dell’UNESCO: promuovere gli sforzi per la cooperazione internazionale in campo intellettuale, facilitare la loro espansione, mostrare chiaramente i loro benefici, e poi fare un passo indietro per ricominciare altrove “.

L’ordine del giorno della conferenza includeva lo sviluppo degli statuti dell’Associazione. Numerosi partecipanti come Terrou, Kayser, Bellanger, Kafel, Fattorello, Blin, Denoyer, Stijns e Clausse hanno espresso le loro opinioni sul piano preparato dal comitato interinale. Dopo le discussioni, gli statuti dell’Associazione sono stati approvati all’unanimità. Il consiglio e il comitato esecutivo erano formati come segue:

Presidente: Fernand Terrou
Vicepresidente: Jacques Kayser
Vicepresidenti:
– Jacques Bourquin
– Raymond Nixon
– Mieczyslaw Kafel
– Membri del Consiglio:
– Claude Bellanger
– Marcel Stijns

Membri del comitato esecutivo:
– Roger Clausse
– Francesco Fattorello
– Domenico de Gregorio
– Danton Jobim
– COME. Khurshid
– Vladimir Klimes
– Nell Morrisson
– Oscar W. Riegel
– R.J.E. Silvey
– E.B. Simpson
– Jean Tardie

Jacques Kayser, ricercatore, eminente giornalista e vice direttore dell’Institut Français de Presse, ha affrontato la conferenza con questioni molto concrete. Sottolineò che prima di tutto doveva essere compilato un elenco di istituti di ricerca internazionali nel campo dell’informazione, seguito dallo sviluppo di una bibliografia di soggetti nel campo della comunicazione e infine da indicare chiaramente e definire metodi e una terminologia da utilizzare . In conclusione, ha proposto due argomenti principali per la ricerca: l’influenza dei media sui bambini e la riservatezza professionale dei giornalisti.

Da allora questi argomenti sono diventati oggetto di ricerca nei programmi dell’UNESCO e per molti anni hanno fornito sostegno, che è stato finanziariamente modesto ma moralmente significativo, nello sviluppo di attività nello IAMCR. L’UNESCO ha quindi potuto beneficiare dei contributi dei membri dello IAMCR nello sviluppo e nella realizzazione dei programmi di ricerca dell’UNESCO nel campo della comunicazione.

Avendo trascorso 25 anni come responsabile del progetto IAMCR all’UNESCO, sono onorato di essere coinvolto nel suo 50° anniversario come uno dei membri fondatori. Poiché oggi sono uno dei rari sopravvissuti della conferenza costitutiva, vorrei richiamare alla mente tutti quei colleghi che hanno partecipato alla creazione dello IAMCR e che da allora sono morti. Persone come Tor Gjesdal, Fernand Terrou, Jacques Kayser, Jacques Bourquin, Raymond Nixon, Claude Bellanger, Raymond Manevy, Mieczyslaw Kafel, Vladimir Klimes, Francesco Fattorello, Pierre Navaux, Jacques Godechot, Martin Loeffler, Jean-Louis Hebarre, Giuliano Gaeta hanno sostenuto fermamente il IAMCR e contribuito al suo successo.

Hifzi Topuz
Presidente dell’Associazione turca per la ricerca sulla comunicazione
Ex direttore della sezione Flusso libero di informazione e comunicazione nell’UNESCO

Link al sito IAMCR

Immagine e Comunicazione Politica



Anche per un Partito o Movimento politico l’immagine è importante: essa può determinare i comportamenti delle persone nei suoi confronti.

Il modo come il partito viene percepito influenza gli atteggiamenti e la disponibilità a credere a ciò che il partito dice e a collaborare costruttivamente per il successo dello stesso.
Traguardo massimo raggiungibile attraverso un’ottima percezione: il successo del partito è il mio successo!

L’immagine non è, tuttavia, un prodotto che si possa costruire a proprio piacimento. L’immagine è, soprattutto determinata dalla prestazione: ciò che il partito fa, ciò in cui crede determina nella testa delle persone, tutte potenziali elettori, la sua immagine.

Il compito di coloro che si occupano della comunicazione sia all’interno che all’esterno del partito, consiste nell’assicurare la corretta trasmissione del “credo” e degli obbiettivi e ,soprattutto, la coerenza di tutti i segnali e messaggi trasmessi.

E allora occorre un “guardiano dell’immagine che va tenuta costantemente sotto controllo, onde evitare che si raccolga meno di quanto si è seminato, così come è recentemente avvenuto per movimenti politici velleitari ma privi di immagine (vedi Ingroia, Oscar Giannino, Sinistra critica, Leu e altri).

Se poi vogliamo considerare il partito politico come un prodotto da accreditare presso un’opinione pubblica sempre più instabile e imprevedibile, non possiamo ignorare i dettami di un corretto Marketing politico.

Un MK politico efficace deve essere capace non semplicemente di “vendere”, ma di costruire una relazione a lungo termine: prima di proporre soluzioni e priorità costruite a tavolino, bisogna ascoltare attentamente il cittadino elettore e soddisfare, per quanto possibile, bisogni e aspettative, soprattutto quando le soluzioni necessarie sono tuttora inesistenti. (Da ricordare che un cittadino “soddisfatto” può valere decine e decine di voti….passaparola tra famiglia e parenti, sui luoghi di lavoro, sui rapporti sociali di ogni tipo fino alla bocciofila e al bar dello sport… Esattamente, cioè, in tutti i contesti dove si discutono e si diffondono le opinioni fino a diventare opinioni condivise!!!)

E allora diventa importante il linguaggio dei politici in grado di innescare i processi di opinione presso i cittadini/elettori.

Certamente il linguaggio verbale e quello non verbale: linguaggio come stimolo all’apparato sensoriale di chi ci guarda e ascolta, per arrivare alla percezione e alle successive e inevitabili reti associative.

Sapendo bene che esistono reti associative negative e molto radicate (es. fascista come termine offensivo, al contrario di comunista presso il grande pubblico), il mio linguaggio- stimolo non dovrà mai evocare, riportare alla luce reti associative che magari si stavano affievolendo perchè sostituite da nuove reti figlie di stimoli positivi.

Ma il linguaggio è anche e soprattutto comportamento: un deputato che fa tentativi di aggressione in aula o in piazza, non può che evocare le peggiori reti associative presso coloro che si vorrebbe conquistare alla causa.

Di positivo potrebbe esserci l’immagine di “uomo forte”, che non si fa prendere per il naso da nessuno e, quindi, l’evocazione di “reti associative positive” che, tuttavia, sono presenti soltanto presso coloro che già danno il loro consenso a quel partito.

Ma così non si cresce!!! Riaffermando i nostri valori forti, si fa apologia della storia, si impone la nostra visione della storia; ma i contemporanei la storia la vogliono vivere, la stanno vivendo qui ed ora e si aspettano che un partito politico li capisca ora, e li rafforzi ora in quei valori in cui essi credono ora.

La politica non è scienza del passato e non può essere conservazione in una democrazia basata sul consenso popolare: fare politica significa vivere il presente e governare il futuro. Significa conoscere le istanze sociali e non aver paura di idee e proposte concrete che la società stessa ci pone.

L’accettazione e, laddove possibile, la realizzazione delle stesse, contribuirà in maniera determinante alla creazione della miglior immagine non solo presso i nostri elettori, ma anche presso tutti gli altri cittadini che potrebbero vederci sotto un’altra veste e, magari, darci il loro consenso.

Prof. Giuseppe Ragnetti



Le Nuove tendenze della Comunicazione

Il tema “ le nuove tendenze della comunicazione” può indurre a pensare in modo sostanzialmente univoco alla rivoluzione introdotta dalla rete e dai nuovi mezzi di comunicazione.

E’ necessario però definire prioritariamente cosa si intende per “comunicazione” e cosa invece per “mezzo di comunicazione”.
Certamente le Telecomunicazioni di nuova generazione con gli SMS, Watsapp, Wiber e Skipe, oppure i social media come Twitter o Facebook costituiscono grandi novità rispetto ai tradizionali supporti alla comunicazione, ai consueti mezzi ma non è detto che il dato tecnico abbia avviato fondamentali trasformazioni dei contenuti comunicativi.

Su questo punto vorrei citare Bill Gates, fondatore ed ex presidente di Microsoft quando afferma” Il computer più nuovo al mondo non può che peggiorare, grazie alla sua velocità il più annoso problema delle relazioni tra esseri umani: quello della comunicazione. Chi deve comunicare, alla fine, si troverà sempre a confrontarsi con il solito problema: cosa dire e come dirlo”.

Nel contempo è necessario anche considerare che il sistema della comunicazione, al pari di altri sistemi sociali, non è certo estraneo ai processi di innovazione culturale e sociale, anzi, ne è quasi sempre il detonatore.

Del resto Niklas Luhmann ci ricorda che “i sistemi sociali esistono e si sviluppano soltanto attraverso la continua comunicazione”. Ne consegue che non esiste sistema sociale senza comunicazione.

L’annullamento dello spazio ed il superamento degli “steccati”, ottenuto grazie alle nuove tecnologie di collegamento, hanno ampiamente modificato quei diaframmi sociali e culturali che persistevano prima del loro avvento generando profondissime ripercussioni sociologiche ancora tutte da decodificare.

Oggi basta digitare un numero di telefono per raggiungere un utente, anche mobile, nella quasi totalità del globo terrestre, una cosa impensabile fino a pochi anni fa.

La rivoluzione nel trasporto del testo scritto poi non è certo da meno. Con le E-mail possiamo inviare testi, lettere di lavoro, lettere amicali e familiari in tempo reale senza dover attendere settimane o mesi per avere riscontro.

Tuttavia, al telefono o nelle e-mail permane la centralità del messaggio, l’oggetto della comunicazione e la necessaria attenzione nel considerare il nostro interlocutore, se vogliamo che ci sia veramente scambio comunicativo.

Voglio rimarcare ancora il concetto di contenuto della comunicazione e della sua distinzione rispetto alla tecnologia.

E’ ormai noto che avvio delle trasmissioni televisive diffuse via satellite, hanno reso noto ad intere popolazioni di indigenti, relegate fino a quel punto al pressoché totale isolamento informativo della realtà sociale e del tenore di vita del cosiddetto occidente industrializzato, contribuendo probabilmente ad avviare una tendenza, mai registrata prima, alla migrazione di massa.

In questo esempio la tecnologia ha consentito di illuminare territori prima inesplorati dai media occidentali ma certamente sono stati i contenuti mediali a creare il fenomeno.

Il “cosa dire” rimane quindi basilare, come ovvio del resto, nei processi della comunicazione, mentre è indubbio è che il “come dirlo” è un processo che risente profondamente delle nuove tecnologie e su questo credo che debba essere concentrata la riflessione sulle nuove tendenze della comunicazione.

Strumenti come gli sms o come Twitter con i suoi 140 caratteri, hanno imposto necessariamente una trasformazione della semantica lessicale e frasale rispetto alla precedente tradizione linguistica, da qui lo sviluppo di nuove tendenze comunicative.

Le abbreviazioni in uso negli sms (classico il riferimento all’ormai famoso TVB ovvero l’abbreviazione di “ti voglio bene”) i neologismi di twitter entrati nell’uso comune del nostro linguaggio come gli hashtag (#sapevatelo,) fino ad arrivare ad elementi grafici a sostegno del testo, come le iconcine e gli smails, compongono decisamente un quadro di progressivo adattamento dei contenuti della comunicazione al tipo di mezzo prescelto.

Con ciò, a differenza del passato e considerando la galassia di nuovi mezzi di comunicazione oggi disponibile, si potrebbe finalmente convenire sulla validità della famosa affermazione di Marshall McLuhan “ Il mezzo è il messaggio” inteso come opportuna “messa in forma” dell’oggetto della comunicazione attraverso un opportuno adattamento, necessario ad essere correttamente veicolato sul mezzo prescelto.

Il processo di adattamento dell’oggetto della comunicazione rispetto al mezzo prescelto per veicolare il messaggio, non è nuovo ed è ampiamente contemplato nella “Tecnica sociale dell’informazione” la sola ed unica teoria italiana sulla comunicazione, formulata dal Professor Francesco Fattorello, fondatore, nel 1947, dell’Istituto Italiano di Pubblicismo e oggi applicata in tutto il mondo.

Le nuove tendenze della comunicazione si basano su tre parametri irrinunciabili: la velocità, l’autodeterminazione del palinsesto, l’interattività, l’autoeditorialità. Le ricerche condotte da enti di ricerca sociale e da varie università nazionali ed estere (terzo rapporto CENSIS sulla comunicazione in Italia, Università cattolica del Sacro Cuore di Milano, Mario Morcellini in “capire il legame Giovani e media”-atti del Convegno Internazionale Infanzia e Società Roma novembre 2005), indicano con chiarezza che i giovani in particolare hanno oggi un approccio assai diverso dal passato rispetto ai media tradizionali quali la radio, la televisione, la stampa quotidiana, media che stanno progressivamente abbandonando a favore del personal computer e degli Smart phone.

Con i social media, primo tra tutti Facebook, tutti si propongono come editori di loro stessi e tutti sperano nel più ampio consenso verso i propri contenuti di profilo e di diario.

E’ come se gli utenti di questo strumento comunicativo, oramai scalati i gradini più bassi della piramide di Maslow, possano finalmente ricercare ed ottenere la soddisfazione dei bisogni di stima e autorealizzazione tanto difficile da raggiungersi in precedenza.

Per raggiungere questa soddisfazione si è disponibili ad accettare anche rischi e pericolosi compromessi.

“Cosa stai pensando?” propone Facebook ed allora senza troppe remore, concetti come la tutela della Privacy personale e della discrezione vengono spazzati via pur di poter essere “pubblici” e di proporre il nostro stile di vita, i nostri gusti, le nostre preferenze e le nostre opinioni, sperando che, attraverso la ricerca di fattori di conformità tra altri utenti, ci sia il sostegno gratificante del “mi piace” o ancor meglio una adesione di opinione ancor più marcata attraverso il “condividi”.

Purtroppo, nonostante gli ammirevoli sforzi ideativi di molti, ottenere una ampia adesione di opinione è cosa assai difficile, lo testimonia l’esistenza in rete di miliardi di bogs personali cosiddetti a “zero comments”.

Eppure, assecondando una moda intellettuale maggioritaria e vagamente radical chic, per ottenere il consenso basterebbe seguire pedissequamente il decalogo proposto dal sempre troppo osannato Noam Chomsky, il quale sa bene, a sua detta, come manipolare il consenso perché per lui l’opinione pubblica è una merce, la nostra opinione è una merce, noi siamo una merce nel mercato del consenso.

In verità bisogna ricordare che alcuni movimenti politici che recentemente hanno ospitato Chomsky nei loro congressi e lo hanno elevato a loro ideologo nelle strategie comunicative, hanno riportato risultati elettorali disastrosi non riuscendo nemmeno a raggiungere la soglia minima di voti necessaria per entrare in parlamento.

Le nuove tendenze comunicative affondano oggi nella piena interattività, oggi possibile grazie alle nuove tecnologie in dotazione ai nuovi mezzi comunicativi, una interattività peraltro già desiderata e ipotizzata negli anni ‘20 dal commediografo Bertolt Brecht nel suo famoso discorso sulla funzione della radio.

Assistiamo quindi ad un sistema sociale della comunicazione in continuo divenire e davvero corrispondente a quel processo di sviluppo autopoietico così ben illustrato dallo studio sui sistemi sociali di Luhmann che lo ha mutuato dalla ricerca del biologo e filosofo Humberto Maturana.

Non ci resta che rimanere attenti alle trasformazioni, “Stay tuned!” oggi si usa dire, consapevoli che le nuove tendenze della comunicazione genereranno a loro volta altre nuove tendenze ma senza mai prescindere dal fatto che a concludere con esito positivo un processo comunicativo saranno pur sempre gli esseri umani sempre meno disponibili ad abbattere le proprie certezze o, meglio, l’artificio delle loro convinzioni personali.

Convegno nazionale ANS
Intervento del Dott. Marco Cuppoletti
Ordinario dell’Istituto di Comunicazione Francesco Fattorello

La campagna elettorale di Donald Trump

Tesina di Tecnica Sociale dell’Informazione. Fine Corso anno 2016. a cura di Fabio Pavani

INTRODUZIONE

In tutta onestà, devo dire che le prima volta che mi approcciai al corso di “Metodologia dell’Informazione e Tecniche della Comunicazione” del Professor Giuseppe Ragnetti, lo feci in maniera abbastanza scettica. Ricevetti l’invito da parte del presidente di AIESEC, nel quale veniva semplicemente menzionata la possibilità di frequentare un corso di comunicazione. Lo accettai con piacere, avendo un’indole curiosa ed una passione per le pubbliche relazioni in tutte le sue forme, ma continuando a pensare in cuor mio che si trattasse di un corso come tanti, come tanti se ne possono frequentare nelle più disparate sedi.

Già dal primo approccio con il Professor Ragnetti però, capii che questa volta si trattava di qualcosa di diverso, di un corso totalmente differente dagli altri, che non si basava semplicemente sulla regole della comunicazione per esprimersi al meglio, bensì affrontava la comunicazione nella sua interezza, fornendo un punto di vista del tutto alternativo.

Per la prima volta, sentii dire che la comunicazione non è fatta da chi emette il messaggio, bensì avviene nella mente di chi riceve ed elabora quello stesso messaggio. È questa una chiave di lettura nuova, che senza dubbio stravolse il mio paradigma di comunicazione.

Anche la metodologia di insegnamento era totalmente rivoluzionaria. Non si trattava di un insegnamento di tipo verticale, dall’alto in basso, bensì di tipo orizzontale, mettendo sulla stessa linea professore e studenti, facilitando quest’ultimi nel ricevere i concetti e rendendoli senza dubbio più partecipi. Nel corso delle lezioni poi, ho avuto modo di apprendere come avviene il processo della comunicazione, capirne le dinamiche e le tecniche.

A conclusione del mio percorso didattico ho voluto analizzare, alla luce della teoria fattorelliana appresa, un caso d’attualità quale la candidatura di Donald Trump alla presidenza degli Stati Uniti d’America. Questo mio lavoro è suddiviso in sei parti: nella prima parte, descrivo quella che è la teoria americana riguardante la comunicazione, teoria considerata per decenni come la verità assoluta. Nella seconda invece, porto a modello il personaggio di Donald Trump, noto magnate statunitense che, al contrario, non utilizza quelle che sono le tecniche predicate dagli studiosi suoi connazionali e, nel terzo, illustro quella che invece lui ha deciso di mettere in pratica ovvero la teoria fattorelliana. Nella quarta parte ho voluto fare un parallelismo con Silvio Berlusconi, politico e personaggio pubblico italiano che ha molti punti in comune con il magnate statunitense. La quinta parte elenca quelli che sono i risultati politici ottenuti da Trump, mentre la sesta e ultima parte svela il segreto che si cela dietro questi risultati.

Il lavoro si conclude con ulteriori osservazioni personali.


LA CAMPAGNA ELETTORALE DI DONALD TRUMP

ELEZIONI PRESIDENZIALI STATUNITENSI DEL 2016

1.1 – Una Teoria americana per la comunicazione di massa

Il primo tentativo di comprendere il funzionamento della comunicazione interpersonale in maniera sistematica, viene sviluppata negli Stati Uniti, a partire dagli anni venti del Novecento. Il risultato di questi studi è la Teoria ipodermica1. La teoria ipodermica sostiene che i messaggi penetrino senza mediazioni ed in modo identico su tutto il pubblico, proprio come fa un ago nell’epidermide, similitudine dalla quale deriva il nome.

Questa teoria considera la comunicazione tra due individui come un processo diretto tra promotore e recettore, in cui il messaggio viene ricevuto senza alcuna intermediazione. Gli individui sono considerati passivi ed inerti e gli effetti ottenuti sono identici per tutti, poiché né i fattori psicologici né le relazioni sociali sono ritenute elementi significativi di mediazione tra il messaggio e la coscienza del recettore, che si troverebbe pertanto a rispondere in modo meccanico ed isolato agli stimoli provenienti dai messaggi.

La teoria ipodermica si nutre delle suggestioni provenienti dalle teorie della società di massa, che descrivono la condizione di isolamento ed atomizzazione degli individui nelle società moderne. Non esiste un vero e proprio manifesto della teoria ipodermica, ma il suo sviluppo è dovuto all’adesione pressoché universale data dai pionieri della comunicazione di massa.

1.2 – Un americano che segue la Teoria italiana per la comunicazione: Donald Trump

C’è da premettere che gli americani, così come tutto il mondo anglosassone, hanno un approccio molto pragmatico all’esistenza. Per questo, anche la comunicazione viene percepita come un processo meccanico, paragonabile a quello tra due apparecchi elettrici, tanto da poter essere rappresentato con un modello matematico.2 Proprio nel paese che è stata la culla di queste teorizzazioni però, emerge una figura che, al contrario, utilizza una tecnica di comunicazione derivante dalla scuola italiana, opera di Francesco Fattorello. Fattorello infatti, in controtendenza rispetto ai colleghi americani, affermava che gli individui destinatari del messaggio non sono da considerare dei target3 privi di scampo, bensì dei soggetti dotati di capacità opinanti ai quali dover comunicare in maniera strategica per poter ottenere la loro adesione d’opinione. Ed è questo un concetto che stravolge completamente lo schema della comunicazione.

Tale figura, che ha peraltro deciso di concorrere per la presidenza degli Stati Uniti d’America, prende il nome di Donald Trump.

1.2.1 – Donald Trump: Biografia

Donald John Trump naque a New York il 14 giugno 1946 ed è un noto imprenditore, personaggio televisivo e politico statunitense.

È figlio di Fred Trump, un facoltoso investitore immobiliare di New York, da cui è stato fortemente influenzato nel proposito di intraprendere una carriera nel medesimo settore. Ha frequentato la “Wharton School of the University of Pennsylvania”, lavorando allo stesso tempo nell’azienda paterna, la «Elizabeth Trump & Son», di cui divenne socio dopo essersi laureato nel 1968. Tre anni più tardi rilevò in prima persona la gestione della compagnia, ribattezzandola «Trump Organization».4

Le sue strategie aggressive di brand management5, il suo stile di vita e i suoi modi diretti hanno contribuito a renderlo un personaggio celebre, status accresciuto dalla popolarità del programma televisivo “The Apprentice”6, da lui stesso prodotto e condotto dal 2004 al 2015.

Dopo aver concorso senza successo alle primarie del Partito della Riforma per le elezioni presidenziali del 2000, aderì dapprima al Partito Democratico e poi al Partito Repubblicano. Nel 2015 ha annunciato la sua candidatura alle primarie repubblicane in previsione delle elezioni presidenziali del 2016, impostando la sua campagna elettorale su posizioni populiste e conservatrici: in particolare, le sue dichiarazioni in favore del libero utilizzo delle armi da fuoco hanno suscitato aspre polemiche, così come la sua proposta di istituire una moratoria sull’ immigrazione delle persone di religione islamica.

1.3 – La tecnica sociale fattorelliana utilizzata da Trump

Trump ha adottato, in maniera consapevole o no, tutta quella che è la tecnica di comunicazione elaborata da Francesco Fattorello. La tecnica, teorizzata già a partire dal secondo dopoguerra, prevede cinque elementi:

  1. L’oggetto dell’informazione (X)

  2. Soggetto promotore (Sp)

  3. Soggetto recettore (Sr)

  4. Il mezzo con il quale viene trasmesso (M)

  5. La forma dell’oggetto dell’informazione (O)

Di seguito, la rappresentazione grafica:

x)                                     

                              SP

M                                                             O

                              SR

Fattorello fu il primo a comprendere che l’oggetto dell’informazione (x) è al di fuori dal rapporto stesso. Pur essendone il presupposto, (ma potrebbe anche non esistere o essere un falso), non coincide con il contenuto (O) del rapporto d’ informazione, poiché la forma, il contenuto è frutto della mediazione culturale del promotore, cioè scaturisce, anche in maniera inconsapevole, dalla sua acculturazione, intendendo con tale termine, tutto ciò che ha contribuito alla sua socializzazione. Nuova è anche la messa in risalto del ruolo svolto dal soggetto recettore (Sr), non più considerato mero soggetto passivo nei fenomeni dell’informazione, ma soggetto che interagisce con tutti gli elementi del rapporto7.

Fattorello quindi riscrisse le regole della comunicazione, concentrando l’attenzione sul soggetto recettore, considerato “un’entità pensante”, anziché un bersaglio inanimato privo di facoltà opinanti, come sostenuto dai suoi colleghi anglosassoni. E proprio su questo concetto, a distanza di circa settant’anni, Trump ha basato la sua campagna elettorale.

Trump inoltre ha capito che è indispensabile adeguarsi allo stesso ambito culturale del soggetto recettore. Infatti, qualora mancasse una corrispondenza culturale, il rapporto d’informazione non avrebbe l’effetto voluto: il contenuto non potrebbe essere ricevuto o capito, oppure sarebbe capito male o, comunque, con difficoltà e con distonie rilevanti. Come sostenuto da Fattorello infatti: “È norma fondamentale quella di essere edotti dei fattori di acculturazione del recettore. Solo così, il soggetto promotore potrà adeguarsi a lui. Adeguarsi, ma non rinunciare al suo scopo e a quell’iniziativa sulla quale si era proposto di ottenere una conforme adesione di opinione.8 Concetto ribadito anche da Carmelo D’Agata in un articolo pubblicato nel 1953 sulla rivista fondata da Fattorello: “conoscere esattamente ciò che il pubblico pensa e vuole dovrebbe essere la preoccupazione maggiore di ogni governante.”9

La prima azione intrapresa da Trump, pertanto, è stata quella di studiare il suo popolo, capire i suoi bisogni e le sue paure, il tutto supportato ovviamente da uno staff di professionisti specializzati. Staff che ha saputo effettuare le giuste ricerche di mercato, individuando quali fossero le richieste principali dell’elettorato americano.

Esistono inoltre altri fattori che giocano a favore di Trump e di seguito ne analizzerò alcuni: durante la sua campagna elettorale, Trump ha subito innumerevoli attacchi, anche provenienti dalla sua stessa fazione politica. Ha ricevuto critiche pesanti da esponenti politici, esperti economisti ed affermati sociologi. Trump ha potuto far leva però su un fattore conosciuto come l’opinione della maggioranza.10 L’opinione della maggioranza, più volte sperimentata, ha dimostrato che, facendo conoscere ai soggetti interessati a un dato problema l’opinione degli specialisti e l’opinione della maggioranza, quest’ultima ha un’influenza più grande nel determinare la distribuzione delle opinioni. Ciascuno infatti, si pronuncia con l’occhio rivolto al suo vicino, uniformandosi a quella che ritiene essere l’opinione dei più. L’individuo è conformista: si veste come si vestono gli altri e ci tiene a far sapere che anche egli ha aderito alla colletta che il suo quartiere ha promosso per l’infortunato del pian terreno. Così, se un esperto lo avverte che un dato tipo di calzatura non è consigliabile per ragioni igieniche ma egli sa che quel modello è di moda, difficilmente vi rinuncia. E ciò semplicemente perché così fanno gli altri.11

Un altro fattore consiste nella facilità con la quale è possibile far breccia nell’opinione dell’elettorato medio, perché quest’ultimo, per natura, è politicamente apatico. Questo avviene perché, come ci spiega Dewey nella sua opera12, l’indifferenza del cittadino per la politica viene attribuita realisticamente non solo a mancanza di volontà derivanti a due fattori principali: la complessità delle società contemporanee e la presenza di una molteplicità di interessi concorrenti con l’interesse politico. Il cittadino delle società contemporanee ha poco tempo da dedicare alle faccende politiche ed il più delle volte si trova in imbarazzo quando deve decidere su questioni pubbliche che richiederebbero una competenza tecnica. Quello che interessa all’uomo è il mondo della vita quotidiana, i suoi interessi privati, il lavoro, lo svago. Al di fuori di questa “regione di senso” l’attenzione alla vita è in generale insufficiente perché ci si possa esprimere con competenza sulle questioni di carattere pubblico.13

In questo scenario è comprensibile come sia facile elaborare promesse populiste per ottenere il consenso dell’elettorato. Quanto poi queste promesse elettorali siano realmente applicabili nella vita reale, nessun cittadino medio ha la capacità di calcolarlo… tanto meno la voglia di farlo.

1.4 – Il precedente italiano: Silvio Berlusconi

Per la prima volta nella storia contemporanea, possiamo affermare (con vanto o meno…) che noi italiani siamo stati “avanti” agli Stati Uniti, anticipando quella che è la loro tendenza odierna, e lo abbiamo fatto anche di ben venti anni! Nell’ormai lontano 1994, si presentava all’elettorato italiano un imprenditore privo di esperienza politica, al secolo, Silvio Berlusconi. Ovviamente i percorsi dei due personaggio sono differenti, condividono però molti tratti simili. Nello specifico andrò ad elencare quelli che reputo più rilevanti:

  1. Background imprenditoriale

  2. Nessuna esperienza politica precedente

  3. Riconosciuta immagine di uomini di successo, ricchi e vincenti.

  4. Ottime capacità di comunicazione e sagace utilizzo del mezzo di comunicazione di massa più “popolare”, la televisione.

  5. Coinvolgimento diretto in sport popolari. Il calcio per Berlusconi, il Wrestling per Trump.

  6. Posizioni molto conservatrici su argomenti che preoccupano e/o destabilizzano. (Es: immigrazione, unioni tra omosessuali)

  7. Bersagli di aspre critiche da parte di tutti gli oppositori, non di rado anche di critiche derivanti da personalità facenti parte della loro stessa corrente politica.

Berlusconi è stato per un ventennio una presenza rilevante nelle due camere della politica italiana14 alternando fasi di governo e di opposizione. Può vantarsi di essere il Presidente del Consiglio rimasto in carica, complessivamente, per più tempo, con ben 3.340 giorni.15

In seguito alla condanna del 2013 per frode fiscale, gli è stata irrogata la pena accessoria dell’interdizione ai pubblici uffici, non può quindi più prendere parte nella scena politica. Resta tuttavia una figura di riferimento ed un opinion leader16 per una parte dell’elettorato e per la nuova generazione politica.

1.5 – I risultati ottenuti da Trump

I risultati politici ottenuti da Trump durante le primarie del Partito Repubblicano sono stati indubbiamente straordinari. Alla vigilia nessuno, forse neanche lui stesso, avrebbe immaginato un successo di queste dimensioni. Senza dilungarci troppo con i numeri, è sufficiente evidenziare che Trump ha ottenuto la maggioranza in 40 dei 52 stati in cui si è votato, ottenendo 13,9 milioni di voti (il 44,82% del totale) mentre il primo inseguitore, Rafael Edward “Ted” Cruz, si è fermato a 7.7 milioni (25,13% del totale)17. Gli altri candidati sono stati letteralmente annientati dalla sua presenza. Ha portato persino al clamoroso ritiro di due candidati illustri: John Ellis Bush, candidato della potente famiglia Bush, dinastia che può vantare all’attivo già due presidenti ed il candidato Marco Rubio, giovane promessa del Partito Repubblicano, dato tra i favoriti in partenza e costretto al ritiro dopo il flop di risultati in Florida, suo stato di provenienza e sua presunta roccaforte di voti. In Florida, neanche a dirlo, ha stravinto Trump.

Nonostante i risultati delle primarie però, il tycoon18 newyorkese era dato stra-perdente nello scontro finale con Hillary Clinton, esponente del Partito Democratico e moglie del già due volte presidente Bill Clinton. I pronostici erano tutti in suo sfavore, basta citare un sondaggio datato 27 Ottobre, a soli dodici giorni alla conclusione delle votazioni, dove la Clinton era data in vantaggio con il 51% dei consensi, contro il 37% di Trump.19 Mai come questa volta però, i sondaggi sono stati sbagliati.

Il 9 Novembre 2016 infatti è arrivato il verdetto inoppugnabile dell’elettorato statunitense: Donald John Trump è il nuovo presidente degli Stati Uniti d’America.

I risultati parlano chiaro, con la vittoria in trenta stati, equivalenti a 306 voti al collegio elettorale (numero minimo per assumere la carica: 270), contro i ventuno stati aggiudicati dalla Clinton, equivalenti a soli 232 voti20. E questa è stata una lezione anche per tutti i mass media, che per mesi hanno riportato dati non raffiguranti la realtà del pensiero popolare (forse in buona fede o forse no) senza riuscire ad influenzarne la decisione finale.

1.6 – Il segreto della vittoria

Il segreto del raggiungimento di questo risultato è stato il lavoro della società inglese “Cambridge Analytica”, società che si occupa di elaborazione dati. L’ arma vincente è stata quella di raccogliere e registrare informazioni dai motori di ricerca di internet, dai social media e dai questionari on–line. Tali strumenti permettono di raccogliere una quantità enorme di dati che, se ben analizzati, sono stati in grado di profilare, in modo pressoché perfetto, i gusti, le tendenze, il modo di essere, le appartenenze, i desideri e, soprattutto, le aspettative delle diverse persone. Una volta che si ha ben definita l’identità dell’individuo sarà possibile formulare dei messaggi, nella forma più adatta e coerente, tali da essere accettati e condivisi dal destinatario poiché rientranti nel suo linguaggio e in sintonia con le aspettative ben presenti nel cittadino-elettore. Grazie a questo meticoloso lavoro, Trump ha potuto quindi elaborare i temi della sua campagna elettorale ed ha potuto adattare i messaggi ai nuovi mezzi di comunicazione che stanno diventando sempre più diffusi, in particolare i social media. Il risultato è stato una comunicazione semplice, diretta, immediata, incisiva, con un contenuto quasi Ad Personam21 . La Clinton, al contrario, ha utilizzato per la sua campagna uno stile obsoleto, basato principalmente su spot televisivi standardizzati, ed ha utilizzato un linguaggio complesso per l’americano medio, che risuonava in maniera quasi predicatoria.

Forse, grazie a questa campagna elettorale, abbiamo assistito finalmente al cambio di paradigma rispetto alle convinzioni del passato riguardo i meccanismi che regolano la comunicazione sociale. Francesco Fattorello lo aveva capito già settant’anni fa che le azioni di comunicazione messe in campo devono essere conseguenti allo studio approfondito del “soggetto recettore” ma solo adesso, grazie ai nuovi strumenti di interpolazione dei dati e di profilazione degli utenti di rete Web, possiamo “toccare con mano” i risultati che lo studio del recettore può dare.

La vittoria di Trump, ma più in generale l’esistenza stessa di società di raccolta dati come la “Cambridge Analytica” ed affini, è da considerarsi la consacrazione definitiva ed inequivocabile della “Tecnica Sociale dell’Informazione“ come riferimento obbligato per tutti coloro che debbono pensare ed attivare strategie di comunicazione a qualsiasi livello e per i più diversi contenuti.


1Pegaso Università Telematica – Lezione 1: Le comunicazioni di massa: teorie e modelli. (Dispense – www.unipegaso.it)

2Vedi: Modello matematico della comunicazione di Shannon-Weaver – Stati Uniti 1949

3Dall’inglese: Bersagli

4Fonte: http://www.wikipedia.com

5Tecnica di mercato che ha come scopo quello far aumentare il valore percepito da un consumatore rispetto a un prodotto.

6The Apprentice (L’Apprendista): reality game show nel quale i concorrenti vengono giudicati, affrontando varie prove pratiche, per le loro capacità manageriali e l’abilità nel guadagnare soldi. Tormentone del programma è la frase pronuncitada da Trump: “You’re Fired” (sei licenziato) con la quale sanciva l’eliminazione del concorrente dal programma. Il premio in palio per il vincitore è un contratto lavorativo del valore di $250.000,00 in una delle aziende di Donald Trump. Il format televisivo è stato ripreso in oltre venti paesi al Mondo, ne esiste anche una versione italiana, con protagosta il noto uomo d’affari italiano, Flavio Briatore.

7Fonte: http://www.istitutodipubblicismo.it

8Fattorello F. Tecnica sociale dell’informazione

9D’Agata C. – Saggi e studi di pubblicistica – anno 1953, numero 1

10Ragnetti G. – Opinioni sull’opinione

11Ibidem

12Dewey J. – The Public and its Problems

13Ibidem

14Camere depositarie del potere legislativo in Italia: Camera dei deputati e Senato della Repubblia

15Fonte: www.wikipedia.com

16 Dall’inglese: Personaggio che domina e/o guida l’opinione pubblica

17Fonte: http://www.thegreenpapers.com

18 Dall’inglese: Magnate dell’economia e dell’industria, grande proprietario o dirigente industriale. Derivazione della parola giapponese “taikun, che a sua volta è composta delle voci Ta «grande» e Chun «dominatore»

19Fonte: www.telegraph.com

20Fonte: www.cnn.com

21Locuzione latina che tradotta letteralmente significa “solo per la persona”