La Conversazione Telefonica

“Il telefono è ormai un ingrediente fondamentale della nostra vita. E’, quindi, opportuno ricordare le regole basilari della conversazione telefonica per evitare gli errori più banali della nostra comunicazione”

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Auguri per il Natale 2022 !

CON UN SINCERO AUGURIO DI BUON NATALE A TUTTI GLI AMICI DELL’ISTITUTO “FRANCESCO FATTORELLO”

Comunicare per Negoziare

In un momento storico in cui le difficoltà a trovare un punto d’accordo tra diversi Paesi sono sotto gli occhi di tutti, abbiamo recuperato un nostro PP, per ricordare i principi basilari delle tecniche di negoziazione. Contenuti comunque utili in ogni fase della vita di ciascuno di noi. Anche perché la mediazione è una costante delle relazioni sociali.


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Amore e Vita quotidiana

Riflessioni personali  e spunti (in ordine sparso) di varia provenienza che ho condiviso e riproposto, perché in linea con il tema delle mie conferenze sull’amore per FIDAPA (Federazione Italiana Donne Arti Professioni e Affari). Prof. Giuseppe Ragnetti


Così come avviene per i rapporti sociali plurivincolati (appartenenza a diversi gruppi sociali secondari) ci sentiamo liberi e legittimati ad entrare ed uscire dalle relazioni. Ma il tradimento amoroso fa particolarmente soffrire perché produce in noi una regressione allo stato della prima infanzia: papà o mamma non pensano esclusivamente a me ma si intrattengono anche con altri bambini! (Marco, 5 anni, ha un incubo perché pensa che la mamma è rimasta fuori dalla piscina con altre persone …)

(vedi “La società liquida di Bowman”)

Oggi si cerca di costruire l’identità  (BERGER parla di un IO SENZA CASA), ma nessuna identità si può formare in solitudine, perché ha bisogno dell’altro, ha bisogno di un identità altra per poter vivere la propria.

L’identità è relazionale. Ma una volta avuto l’altro, noi lo fagocitiamo.

Il bisogno dell’altro contrasta con l’affermazione del sé.

Ma DOBBIAMO ACCETTARE CHE POSSIAMO AVER BISOGNO DEGLI ALTRI. La nostra fragilità è normale, e anche la nostra dipendenza può essere bella per la costruzione della nostra identità, purché si arrivi al riconoscimento reciproco. Il rapporto è una relazione all’altro.

E allora il titolo “L’idea dell’amore e la vita quotidiana: sinonimi o contrari?  Può fornirci stimoli di riflessione per capire che proprio nella quotidianità della vita deve avvenire il riconoscimento reciproco e non solo in occasioni particolari. Nella vita di tutti giorni il rapporto si fa relazione e due identità diverse assumono pari dignità.

E cosi i diversi linguaggi, le diverse sensibilità, i diversi canoni estetici, i diversi interessi, li diverse forme di comunicazione, le diverse aspettative e i diversi sentimenti non debbono essere motivo di contrasto e di ostilità, ma piuttosto, motivo di arricchimento reciproco!

Carpe diem: =effetto Coolidge=  il Presidente americano dal 1923 al 1929, in visita a fattoria modello. Assieme alla moglie visita il pollaio dove un gallo si stava accoppiando vigorosamente con una gallina.

La signora chiese all’allevatore quante volte il gallo lo facesse durante la giornata. “Decine di volte “ fu la risposta. “Riferisca questo a mio marito” disse la first lady. L’allevatore riferì al Presidente che di rimando chiese: “Sempre con la stessa gallina?” E l’allevatore; “ Oh, no, ogni volta con una gallina diversa” E il Presidente: “Riferisca questo alla Signora!”

“Da come ci si innamora si può stabilire DA CHI SIAMO STATI AMATI”

Riflessioni: i giovani sposi di oggi e tutti quelli che hanno la “separazione facile” da chi e come e se sono stati amati? O, forse sono stati figli in un periodo storico in cui le priorità erano altre e certamente non c’era il tempo da “perdere” per star “vicino” ai figli.

Le donne di oggi, giocano a tutto campo e non hanno fatto scelte precise né, tantomeno, definitive.

Allora diventa prioritaria la domanda: “Chi sono, che cosa voglio?(e non solo la ricerca freudiana delle lontane cause dell’attuale malessere), perché solo rispondendo a questa domanda potrò orientarmi verso un partner complementare e non antagonista.

“Quali sono le mie priorità? La carriera, la casa, i figli?” Avrò così una prima mappatura della mia personalità su cui costruire un rapporto che completi ed integri l’unione.

Spunti:

La bellezza è nell’occhio di chi guarda. Oggi tutte le donne possono essere attraenti (non necessariamente belle secondo i canoni classici della bellezza).

Abiti, trucco, moda capello, palestra piscina, dieta etc.
Feste di paese. Balli in Piazza. Donne di ieri e donne di oggi.

Dal film “lezioni d’amore”: “Quando un uomo fa l’amore con una donna, si vendica di tutte le sconfitte che ha subito nella sua vita”

Il film è tratto da: “L’ animale morente” di Philip Roth.

Commento alle slide di “oggi parliamo d’amore”: Il valore dell’amore prevede l’integrazione e la comprensione nei confronti dell’altro sesso e la soddisfazione di entrambi i bisogni, non la squalifica e la svalutazione della visione altrui. Tutto va vissuto il più possibile in modo integrato, all’insegna di una CONTINUA E CHIARA COMUNICAZIONE AMOROSA.

Il lavoro è importante, ma non può escludere l’espressione delle emozioni, dei sentimenti, della sessualità e dei valori spirituali.

CREARE UN RAPPORTO DI COPPIA FELICE E’ IL COMPITO UMANO PIU’ COMPLESSO AL MONDO.

Per Seminario su Amore a Rimini:

… una che capisce che noi uomini abbiamo bisogno di approvazione, di comprensione e non certo di rimproveri (come se fossimo alunni di 3° elementare)

… qualsiasi femmina all’inizio di un rapporto accetta tutto (o quasi tutto) di un uomo e approva ogni cosa che fa.

Lei vede in noi l’uomo perfetto. Quello che ha sempre desiderato e, non appena scopre l’amara verità, inizia il lento lavoro di restauro per plasmarci e trasformarci nell’auspicato e idealizzato “principe  azzurro”

 

N.B.  La coppia ideale non è quella  tra due bisognosi ed affamati mendicanti, ma quella tra due persone che essendo ricche non hanno bisogno di ricevere, ma sentono il piacere di dare.

Luglio 2013 – Concetti per mia intervista in trasmissione TV sul tema di grande attualità “La violenza sulle donne: quali le cause scatenanti e quali possibili rimedi”.

Fenomeni di emulazione

Passare dall’io al noi: richiede un profondo cambiamento di prospettiva. Una coppia autentica è il risultato di un’evoluzione.

L’uomo si sente superiore ed è lui il più forte: con uno di pari livello non lo potrebbe fare e non lo farebbe.

In realtà sono persone deboli e spesso telecomandate dai nuovi partner.

E’ necessario accettare il limite delle differenti personalità e non pretendere di trasformare il matrimonio a proprio piacere, come un pezzo di creta da modellare.

Cronache di orrori, dove irrompe la violenza inarrestabile, omicidi e suicidi: si tratta di colpi di coda di una cultura maschile che non si arrende all’evidenza.

 

Non sempre la comunicazione disturbata all’interno della coppia è fatta di parole urlate e di continui litigi. Spesso è il silenzio che diventa più insinuante ed inesorabile delle parole.

La violenza verbale significa comunque tu ci sei, tu esisti” anche solo perché io possa infierire sino ad annullarti.

Il silenzio significa “tu sei inesistente, non sei degna neanche di un insulto” e, quindi, con il silenzio posso annullare la consapevolezza del sé, che l’altra ha faticosamente costruito fin dalla nascita.

Alcuni legami sono nutriti di sadismo e intrecciati di perversione: ciascuno deve far pagare all’altro un conto più salato possibile. E allora il più forte ha il sopravvento sull’altro fino alle estreme conseguenze.

Campanello d’allarme: non c’è più passione, complicità anche nelle piccole cose, assenza di progettazione in comune.

Il primo impegno da mettere in atto, quando si ha la sensazione che la relazione sia in difficoltà, è parlare con il partner.

Non si deve mai presumere che l’altro capisca da solo.

Comunicare è un segnale che ancora nulla è perduto: e allora “dire” perché l’altro possa sapere.

Talvolta non si parla per paura delle reazioni. Ma se l’alternativa è il silenzio, si arriva alla forma più terribile di disprezzo.

Non ci sono regole precise da seguire ma avere tatto, usare parole con valenza suggestiva positiva, andare per gradi e non pretendere che l’altro capisca tutto subito.

Non serve a nulla “togliersi i sassolini” dalla scarpa e pronunciare frasi che si sono taciute per anni: sono ferite inutili. Rispettarsi sempre anche se la relazione dovesse finire.

Un amore può finire, ma non finisce la vita. Entrambi possono e debbono trovare la forza di ricominciarla.

Spesso la separazione significa sconfitta e si ha la sensazione di aver sbagliato tutto, di aver fatto un imperdonabile errore, e tutto ciò può diventare talmente insopportabile da spingere all’eliminazione fisica del “responsabile” del nostro fallimento.

Non è tanto la perdita della persona amata a ferirci, quanto la sensazione di non aver capito, ci siamo traditi da soli, non siamo stati capaci di vedere chi era realmente la persona su cui avevamo investito. In altri termini ci ferisce la constatazione di non essere ancora cresciuti. Quindi disistima totale per una iniziale scelta sbagliata e per l’incapacità di “sistemare il rapporto” durante il percorso, spesso di anni.

 

Se si perde il rispetto per se stessi, si perde la dignità.

L’indifferenza sottile, il modo freddo a volte saccente, sarcastico, irritante di rivolgersi la parola.

Spesso nella coppia c’è solo una “comunicazione di servizio”: uno scambio freddo, anaffettivo che lascia un vuoto interiore.

Al ristorante la “comunicazione afasica”: coppie silenziose che fanno quello che fanno a casa, magari con il televisore acceso per la partita o altro. L’obiettivo è evitare di parlarsi. Parlano solo per ordinare e poi … il silenzio! E la bocca si riapre solo per mangiare.

E invece, più che mai nella coppia, la comunicazione è essenziale.

Un aperto scambio di idee e di emozioni è la linfa vitale dell’amore.

 

Non esistono persone che non si sono capite: esistono persone che non si sono parlate.

 

LA COMUNICAZIONE E’ AMORE

Enorme difficoltà perché cerco di entrare in sintonia dialettica e in uno scambio comunicativo non con una entità-persona reale, diversa da me, ma con l’immagine mentale della stessa che è totalmente mia, perché da me costruita, voluta ed idealizzata.

Non ci si può innamorare se non si idealizza la persona amata, se la fantasia non interviene a farne qualcosa di unico e fuori dal comune.

Ma l’idealizzazione è regressione infantile perché trasferisce sulla persona amata, quel senso di unicità che i bambini attribuiscono ai genitori.

IDEALIZZAZIONE =IMPOVERIMENTO, perché tutto ciò che ha valore è collocato nell’altro.

La conoscenza di sé stessi passa attraverso lo studio delle emozioni: emozioni intese come risposta del tutto soggettiva (figlia di un passato generale comune e di un passato fortemente personale) a stimoli non necessariamente originali e a me soltanto indirizzati ma quasi sempre comuni e di ordine generale.

E’ la mia risposta emozionale che è solo mia, diversa perché figlia della mia diversità!

E allora perché non accettare che l’essere amato, inevitabilmente diverso, possa esprimere liberamente la sua diversità anche emozionandosi o non emozionandosi a modo suo, anche in risposta a stimoli comuni!?

Le emozioni ci servono da specchio che ci mostra chi siamo. Ma bisogna avere la forza e il piacere di guardarci dentro!

Uno degli scopi più importanti delle emozioni dal punto di vista evolutivo, è aiutarci a decidere cosa occorre ricordare e cosa è opportuno dimenticare.

Le emozioni, recettori destinatari di stimoli  psichici attivano meccanismi biochimici in grado di fornire informazioni al sistema nervoso centrale, sui comportamenti da adottare.

L’emozione fondamentale , originaria è la paura.

Originaria perché sorge all’inizio della nostra vita, e perfino nel feto.

Fondamentale perché si insinua in ogni cuore e fa nascere e si unisce a numerose emozioni.

Da quando c’è la dualità c’è la paura.

Basta che io mi senta separato dal mio prossimo, e comincia la paura dell’altro! Il sentimento di unità non è più possibile.

I compromessi sono inevitabili.

Ci saranno momenti difficili. Se li affronteremo con consapevolezza e con rispetto reciproco, vinceremo entrambi.

Il rispetto è l’amore che non vuole soffocare, possedere, convincere, dominare.

E’ la gioia di vedere  nell’altro un diverso da sé.

E’ il sentimento di chi osserva e ama l’altro per quello che è, di chi non intende invadere il suo spazio.

(“Rispettare è un verbo che deriva dal latino respicere = guardare, e indica, quindi un atto contemplativo.”)

Molti, al contrario, confondono l’amore con la loro volontà di influenzare e di  dominare: vedono in questo sentimento la possibilità di sottomettere l’altro, di farne un altro se stesso, di piegarlo alle proprie convinzioni. (vedi anche genitori, docenti, missionari  che quasi sempre invece di educare si limitano ad inculcare le proprie convinzioni, i propri schemi mentali e la proprie visione del mondo, impedendo all’altro di essere se stesso.)

La Teoria Fattorelliana all’Università della Tuscia

Giorgia Butera (Sociologa della Comunicazione, Presidente Mete Onlus e Scrittrice) è stata invitata dal Professor Michele Zizza ad intervenire online in occasione di una lezione da lui stesso tenuta sulla “Tecnica Sociale” di Francesco Fattorello.

L’incontro è avvenuto con gli Studenti dell’Università degli Studi della TUSCIA – Dipartimento di DISUCOM (Scienze Umanistiche, della Comunicazione e del Turismo).

La Butera ha iniziato il suo intervento ringraziando il Professor Giuseppe Ragnetti (Direttore dell’Istituto) e successivamente ha illustrato la teoria fattorelliana.

Attraverso la presentazione di fatti realmente accaduti è stato spiegato quanto sia imprescindibile la conoscenza del soggetto recettore.

Gli attori del processo comunicativo sono “soggetti” entrambi dotati di facoltà opinanti e quindi di pari dignità. Non vi è più un tiratore scelto che colpisce l’uomo-bersaglio-target, ma vi sono due soggetti attivi che reagiscono ai numerosi stimoli ricevuti, sulla base delle proprie facoltà opinanti e delle personali attitudini sociali prodotte dalle diverse e determinanti acculturazioni.

Qui il link al sito personale di Giorgia Butera

Comunicare con il Cuore

Essere un abile comunicatore è la summa di tutto il nostro discorso ed è anche la chiave di tutte le abilità sociali richieste nella gestione delle risorse umane e, in generale, in tutte le relazioni sociali che competono all’individuo.

Una buona comunicazione presuppone una conoscenza ed un ascolto attivo, prima di noi stessi e poi del nostro interlocutore o collaboratore.

La maggior parte delle persone comunica quasi esclusivamente con la testa mettendo a tacere il cuore. Osservando infatti tutto il corpo, la gestualità, lo stile di comunicazione, ecc. trapelano molto spesso segnali di tensione e il prevalere della razionalità sulle emozioni, evidentemente soffocate perché ritenute scomode se non addirittura ingombranti.

Tutti concordano sull’importanza di un’efficace comunicazione come ‘condicio sine qua non’ per creare relazioni sane e reciprocamente gratificanti. Nonostante ciò, comunicare bene diventa sempre più difficile e in alcuni casi addirittura impossibile.

Basta osservare i casi di conflitto: quando ci si lascia guidare solo dalla testa e dalla razionalità, si finisce quasi sempre per ritrovarsi in una disputa senza fine in cui ognuno è ancorato rigidamente alle proprie posizioni e, senza saperlo, si gettano le basi per un finale prevedibile e abbastanza scontato, che nella migliore delle ipotesi crea una situazione di ‘muro – contro – muro’ .

Se invece si avesse maggior consapevolezza di sé e del proprio stile di comunicazione si eviterebbero tanti errori nel rapporto con gli altrui. Ma perché accade tutto ciò?

Troppo spesso accade che comunichiamo trascurando il fatto che per compiere questa attività dobbiamo fare riferimento alle competenze sociali ed emotive. Quando si comunica solo con la testa, razionalizzando sempre tutto, si arriva al confronto o alla discussione con un sé fragile, carico d’ira e carico d’ansia e questo non porta ad alcuna soluzione positiva. Quale è l’alternativa?

L’alternativa consiste nel riuscire a comunicare con il cuore per arrivare al cuore. Certo è molto difficile: non abbiamo avuto insegnanti che abbiano minimamente tentato di spiegarci questo procedimento e ne tanto meno abbiamo avuto esempi felici da questo punto di vista e, inoltre, cambiare non è facile.

Tutte queste considerazioni ci aiutano a capire e soprattutto possono spingerci ad applicare correttamente nella vita sociale professionale di tutti i giorni i suggerimenti che seguono. Essi costituiscono la premessa fondamentale di un percorso di autoapprendimento che tende a sviluppare le nostre competenze emotive.

Comunicare con il cuore:
1) convincersi che comunicare con il cuore è possibile oltre che psicologicamente gratificante. Basta volerlo e cominciare subito a farlo con la consapevolezza che solo la pratica rende “perfetti”.
2) Interessarsi agli altri. Più ci interessiamo agli altri e più gli altri si interesseranno di noi. Ognuno in cuor suo vuole sentirsi importante, apprezzato e stimato. E se è vero che il proprio mondo conta sempre di più di quello degli altri, è anche vero che cercare di capire che cosa interessa agli altri aiuta a comunicare meglio e a farsi degli amici.
3) Abbandonare l’idea di essere infallibili. Nessuno è o potrà mai essere detentore di verità assoluta; perciò chi riesce a dubitare di sé e delle proprie opinioni è più saggio di quanto pensi. La mappa non è il territorio e la mappa comprende le proprie convinzioni , idee, opinioni che sono le proprie e non quelle dell’umanità intera.
4) Imparare ad ascoltare. Saper ascoltare sembra facile o addirittura scontato e invece non è così perché saper ascoltare richiede empatia ed impegno privo di giudizio su quanto l’altro ci sta dicendo.
5) Considerare le emozioni una risorsa. Imparare a riconoscere, gestire ed esprimere i propri sentimenti e stati d’animo è una grande conquista personale, che promuove l’equilibrio interiore e predispone all’autorealizzazione.
6) Dire quello che si pensa senza temere il giudizio degli altri. Se dire quello che si pensa aiuta a sentirsi bene ed in pace con se stessi, farlo con un pizzico di tatto e diplomazia è un obbligo sociale. Per questo nel sostenere le proprie idee bisognerebbe evitare qualsiasi esagerazione o forma di arroganza.
7) Sviluppare un orientamento al dialogo. Chi vuole davvero imparare a comunicare con il cuore deve far suo il principio del ‘vincitore-vincitore’ cioè in una relazione comunicativa non ci sono perdenti.

Eufrasia D’Amato

il “Benessere Organizzativo”

Con il termine “BENESSERE ORGANIZZATIVO” possiamo intendere l’insieme dei nuclei culturali, dei processi e delle pratiche organizzative che animano la dinamica della convivenza nei contesti di lavoro, promuovendo, mantenendo e migliorando la qualità della vita e il grado di benessere fisico, psicologico e sociale delle comunità lavorative.

Le categorie alla base del “Benessere Organizzativo” sono:
– Caratteristiche dell’ambiente nel quale si svolge il lavoro
– Chiarezza degli obiettivi organizzativi e coerenza tra enunciati e pratiche organizzative
– Riconoscimento e valorizzazione delle competenze
– Comunicazione intraorganizzativa circolare
– Circolazione delle informazioni
– Prevenzione degli infortuni e dei rischi professionali
– Clima relazionale franco e collaborativo
– Scorrevolezza operativa e supporto verso gli obiettivi
– Giustizia organizzativa
– Apertura all’innovazione
– Stress
– Conflittualità

SEGNALI INDIVIDUALI DI “BENESSERE”
1) Soddisfazione per l’organizzazione
2) Voglia di impegnarsi per l’organizzazione
3) Sensazione di far parte di un team
4) Voglia di andare al lavoro
5) Elevato coinvolgimento
6) Speranza di poter cambiare le condizioni negative attuali
7) Percezione di successo dell’organizzazione
8) Rapporto tra vita lavorativa e privata
9) Relazioni interpersonali
10) Valori organizzativi
11) Immagine del management (credibilità e stima)

SEGNALI INDIVIDUALI DI “MALESSERE”
1) Insofferenza nell’andare al lavoro
2) Assenteismo
3) Disinteresse per il lavoro
4) Desiderio di cambiare lavoro
5) Alto livello di pettegolezzo
6) Covare risentimento verso l’organiz.
7) Aggressività inabituale e nervosismo
8) Disturbi psicosomatici
9) Sentimento di inutilità
10) Sentimento di irrilevanza
11) Sentimento di disconoscimento
12) Lentezza nella performance
13) Confusione organizzativa in termini di ruoli, compiti etc
14) Venir meno della propositività a livello cognitivo
15) Aderenza formale alle regole e anaffettività lavorativa.

“L’Attualità” – Così scriveva Francesco Fattorello nell’Aprile del 1975

Il giornalista, l’informatore dei fatti del giorno, dei fatti contingenti, per eccellenza, ha come oggetto delle sue attività professionali l’attualità.

Che cosa è l’attualità, che cosa sono i fatti del giorno? Scrive Guy Gauthier in un suo volume dal titolo “L’actualitè, le journal et l’èducation” (Paris; Tema editions 1975) “l’èvenèment est  un rècit de presse ». E la definizione può andar bene se si sa che cosa vuol dire “relazione giornalistica”, se si sa quali sono i vincoli dai quali è condizionata la stesura giornalistica.

Questi “rècit  de presse” suscitano in noi una certa emozione più o meno immediata. Possono esercitare anche un’emozione collettiva alla quale più o meno possono partecipare i recettori del giornale come un recettore di gruppo.

Naturalmente il “rècit de presse” non è una narrazione storica. La storia ha per oggetto i fatti trascorsi di cui conosciamo il principio, lo svolgimento e la fine. Qui ci troviamo, invece, nel bel mezzo dei fatti, ci troviamo nel mezzo degli avvenimenti ancora in via di svolgimento o appresso ai fatti di cui riteniamo di conoscere un certo svolgimento contingente.

E il rendiconto giornalistico dell’avvenimento, proprio per il suo rapporto ancor immediato col fatto, ha qualche cosa di vivo, come ha scritto Pierre Nora, qualcosa che, inserito nel contesto del giornale e per il rapporto diretto “ancora caldo” con l’avvenimento, suscita qualche effetto, emana delle “onde” che sono la sua forza sociale, quasi gli impulsi di qualche cosa ancora animata.

Ora,  mentre la storia non può incominciare se non dopo che quelle “onde” hanno cessato di farsi sentire, il giornalista proprio quelle “onde” deve percepire: in esse il senso dell’attualità.

Si aggiunga ancora che, mentre nella tradizione del giornalismo occidentale l’attualità è la realtà sociale immediata, ancora palpitante, realtà sociale contingente, non attinente a ciò che fu ma a ciò di cui l’informatore è testimone o partecipe e di cui riferisce, come altri ha detto, “al ritmo del presente”; nella tradizione del giornalismo a marxista-leninista l’attualità attiene non soltanto alla realtà sociale contingente, ma è soprattutto una valutazione di essa dal punto di vista politico e ideologico dell’editore, del giornalista e del lettore.

Non si tratta di una realtà astratta, rilevata secondo una teoria obiettivistica: perché se tale fosse non sarebbe più una realtà giornalistica.

Secondo Vladimir Hudec (di cui è apparso un saggio in “Journaliste dèmocratique”, n.2 del 1975) non si tratta di una realtà astratta. E’ il contenuto sociale con i suoi tratti politico-ideologici, il suo valore differenziato secondo interessi di classe e di partito che fa di una attualità una attualità giornalistica . L’attualità (sono sempre concetti di Hudec) non esiste da sola. Non si tratta di una presa di conoscenza, ma di una valutazione di quella attualità utilizzata nella lotta di classe per imporre le tendenze ritenute più giuste per lo sviluppo sociale.

Questa è la concezione dell’attualità in funzione giornalistica che discende dalla interpretazione politica del giornalismo marxista-leninista.

Dice ancora Hudec che, nel mondo occidentale, giornale, cinema, radio e televisione ritengono di avere come fine quello di fornire delle informazioni obiettive. Ma poiché non si possono presentare tutte le informazioni, esse sono presentate sempre secondo una scelta delle più interessanti o delle più importanti , e questa scelta è già una valutazione secondo determinati interessi e determinate ideologie.

Lo aveva già affermato uno dei maggiori maestri della propaganda politica: Lenin, quando diceva che un giornale deve avere un orientamento permanente. Un giornale senza orientamenti è una cosa assurda.

Così scriveva Francesco Fattorello nell’Aprile del 1975

Esiste un limite alla libertà di stampa ?

Il pilastro principale è senza dubbio la libertà di espressione (che nel giornalista si coniuga in diritto di cronaca nel rispetto della verità dei fatti), senza cui la stampa cesserebbe di esistere; ma questa libertà non deve mai mancare di rispetto alla reputazione altrui (in un articolo non si può diffamare un’altra persona). Per finire, la terza caratteristica principale della stampa è quella di rispettare l’interesse pubblico, senza il quale non esisterebbe la ragion d’essere del diritto di cronaca.

La “notizia di uno stupro” viene spesso trasformata in uno “stupro della notizia” in quanto è sovente che per accattivare il lettore, i giornalisti non esitino a riempire l’articolo di fatti e dettagli superflui, che non fanno altro che confondere le idee e suscitare la morbosità della gente, oltre ad alterare il valore originario della notizia.

Il limite del diritto alla libertà di espressione consiste nel rispetto dell’altrui reputazione. Risulta tuttavia possibile fare cronaca giornalistica su degli avvenimenti che riguardano un’altra persona, anche se mettono in luce la riprovevolezza della condotta, purché le informazioni siano vere e ci sia un interesse pubblico a supportare la notizia (qui ritornano i tre cardini della stampa libera e corretta).

Questa affermazione è legata alla tesi di fondo dell’articolo in quanto si può effettuare una cronaca solo nel momento in cui vi è anche un’interesse pubblico a supportarla, dove con interesse pubblico si intende il comune interesse proprio della collettività di individui che è la comunità, considerata come unità. Se questo presupposto non ci dovesse essere, allora il giornalista non è più autorizzato a scrivere e a pubblicare l’articolo.

Se Foscolo aveva stabilito come parametro di civilizzazione di un popolo la modalità con cui venivano seppelliti i defunti, a questo aggiungerei anche il livello di libertà di stampa, compreso in un più generale concetto di libertà di pensiero, che spesso viene considerata ancor più importante della libertà personale.

Infatti sin da quando è stata inventata, con i caratteri mobili di Gutenberg, la stampa è stata il mezzo preponderante con cui esprimere la propria voce e le proprie idee, e di conseguenza è presupposto e condizione di ogni altro istituto in un ordinamento democratico e tollerante.

La Costituzione italiana con l’art. 21 riconosce a tutti il diritto di esprimere liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione e il secondo comma dello stesso articolo vieta le autorizzazioni e censure sulla stampa.

Ma la libertà di stampa non coincide con il “posso dire tutto quello che voglio”, e per questo ne sono stati fissati dei limiti, non certo con l’intenzione di limitarla, quanto con quella di tutelare la libertà di tutti.

Il fulcro della libertà di stampa è innanzitutto la verità. Il giornalista deve necessariamente attenersi alla verità fattuale, senza fantasticare sull’accaduto, e secondo poi non deve ledere la reputazione altrui.

Quand’anche questi due presupposti venissero rispettati, rimane tuttavia sempre al centro il problema di quanto una notizia sia oggettiva in qualsivoglia contesto, che sia politico, sociale o giuridico. Può infatti il giornalista o lo scrittore dire e riportare fatti senza minimamente influenzare questi con la sua opinione, la sua educazione o il suo pensiero?

Possiamo essere certi che le notizie che riceviamo non siano alterate in qualche modo, considerando che tutti i mezzi di comunicazione sociale dipendono da una proprietà, da un gruppo di potere economico o ideologico che hanno come obbiettivo primario l’adesione di opinione dei ricettori?

No, questo è sicuramente impossibile, in quanto il fatto in se non potrà mai entrare in un giornale o in una televisione, ma sarà sempre soggetto all’interpretazione dell’autore e all’approvazione di un suo superiore.

Informare significa infatti “dare forma” ad un fatto, “vestirlo”: il giornalista dà forma a ciò che intende trasmettere al proprio recettore ai fini del consenso; ma in questo non si deve necessariamente vedere un lato negativo, in quanto, purché alla base via sia una verità, la libertà di stampa consiste proprio nel poter esprimere la propria visione della realtà.

Per fare un esempio, se un giornalista novizio assistesse ad un incidente in cui un’auto urta un motorino e ne sbalza fuori il conducente, senza grandi danni, ma comunque con qualche contusione, ne verrebbe fuori un’articolo in cui tutto viene reso in modo melodrammatico e terribile.

Se invece allo stesso incidente assistesse un giornalista inviato di guerra, che ha assistito alla violenza e alla brutalità degli scontri bellici, ne scriverebbe un articolo di neanche due righe.

L’informazione giornalistica non rispecchia, dunque, la realtà quanto, piuttosto, valorizza frammenti di realtà, che appaiono interessanti in base alle contestualizzazioni di natura culturale, politica, economica e sociale.

Il giornalista non è obiettivo e non perché non vuole, ma semplicemente perché non può; però ha un obiettivo: ottenere il consenso del recettore, perché senza consenso non c’è comunicazione.

L’uomo, sia esso uno scienziato, uno storico, un giornalista, non può uscire dalla propria soggettività: pertanto, coloro che credono di essere obiettivi, esprimono solo la loro verità.

Alla luce di queste considerazioni potremmo domandarci se la nostre opinioni non siano altro che il frutto di quelle altrui, che riceviamo passivamente dalla lettura del giornale o dalla visione di un telegiornale. Ma fortunatamente la risposta è no, in quanto, grazie alla pluralità dell’informazione (altro pilastro della libertà di stampa), le persone possono estrapolare, dalla grande quantità di dati che ricevono, la loro personale idea sull’argomento.

Occorre infatti assumere come principio inderogabile il carattere relativo e costruzionistico della realtà. Solo così sarà possibile “informarsi” senza l’illusione di “possedere” la verità : ovviamente dipenderà dai singoli interessi e dalle personali convinzioni socio-politiche e culturali, assumere come “propria” una determinata visione, ma partendo però dal presupposto che si legge solo una delle tante possibili ricostruzioni di un determinato evento e che sia comunque opportuno leggere diverse interpretazioni dello stesso fatto, non per ricercare una verità che appare probabilmente irraggiungibile, ma al fine di possedere delle alternative, valide o meno, di giudizio.

Ogni ricostruzione – o quasi – potrà così possedere i requisiti di veridicità, in quanto grazie all’onestà intellettuale di chi scrive, il lettore saprà a priori che il fatto è stato costruito secondo la visione più obiettiva possibile, ovvero la propria.

Ma la libertà di stampa non é purtroppo prerogativa di tutti i paesi. Nei regimi assolutistici non si riconoscono libertà all’individuo che infatti è considerato suddito e non cittadino, quindi non soggetto di diritti.

Se tutti infatti possono esprimere le proprie idee significa anche che possono essere divulgati pensieri e punti di vista diversi quelli conformi al potere politico e ciò potrebbe significare mettere in crisi e danneggiare la classe governante, che per questo motivo cerca di eliminare il problema vietando la diffusione di ideali diversi da quelli conformi attraverso la censura, ovvero rendendo necessarie autorizzazioni preventive.

E questa non è certo una novità. Sin dall’antichità, e addirittura prima di Cristo, si annoverano i primi esempi di censura, attraverso la quale si eliminavano bruciandoli i libri che erano considerati pericolosi e molto spesso condannando al rogo i loro autori.

Si potrebbero fare numerosi esempi di questi avvenimenti, ma di sicuro il più conosciuto riguarda “l’Indice dei libri proibiti” emanato dalla chiesa sotto Papa Paolo IV nel 1559, per evitare il diffondersi di eresie nei fedeli cattolici, e durato addirittura fino al 1996, dopo essere stato aggiornato almeno venti volte. Una celebre vittima dell’indice fu il teologo tedesco Martin Lutero, che dopo numerose controversie e peripezie, la spuntò da vincitore e diede vita alla chiesa protestante. Ma non tutti furono fortunati come lui, e per trovarne un esempio basta guardare la biografia dello scienziato pisano Galileo Galilei, che fu costretto ad abiurare le sue teorie in nome del cristianesimo, poiché andavano contro i dogmi della fede cattolica, nonostante la loro veridicità che fu dimostrata più tardi.

In epoca più recente si può citare la censura operata dal regime durante il ventennio fascista, che puntava a oscurare ogni contenuto ideologico alieno al fascismo o considerato disfattista dell’immagine nazionale, ed ogni altro tema culturale considerato disturbante il modello stabilito dal regime.

Infine come un ulteriore esempio che riguarda l’attualità, l’epoca del coronavirus, si può citare il controverso comportamento del governo cinese, regime totalitaristico, che sembra abbia nascosto, o perlomeno fatte trapelare in ritardo e in modo filtrato, le notizie sulla vera origine del virus e i dati del decorso dell’epidemia per diversi motivi che in qualche modo potessero nuocere all’immagine della nazione stessa. L’Europa sembra essere attualmente il continente dove maggiormente è garantita la libertà di stampa ed è più facile esercitare il mestiere di operatore dell’informazione, anche se con qualche ombra.

Tuttavia, secondo il World Press Freedom Index 2020, documento che contiene la classifica mondiale delle nazioni più virtuose dal punto di vista del diritto ad informare e ad essere informato, presentato i primi di maggio a ridosso della Giornata mondiale della libertà di stampa, si sta entrando in un decennio decisivo per il giornalismo, anche a causa della crisi del coronavirus.

L’edizione 2020 del rapporto suggerisce infatti che i prossimi dieci anni saranno fondamentali per la libertà di stampa, per via di una serie di crisi convergenti. Una crisi geopolitica, dovuta all’aggressività di regimi autoritari nei confronti dei giornalisti. Una crisi tecnologica, per cui l’assenza di una regolamentazione adeguata nell’era della comunicazione digitale ha creato il caos delle informazioni. Propaganda, pubblicità e giornalismo sono infatti in diretta concorrenza. In ultimo, una crisi economica che ha causato l’impoverimento del giornalismo di qualità.

Concause di una situazione a cui si è aggiunta l’emergenza sanitaria mondiale, e alcuni aspetti della pandemia minacciano il diritto delle persone di avere a disposizione informazioni affidabili.  Sulla gravità del problema è necessario richiamare l’attenzione di tutti gli italiani consapevoli.

La libertà della stampa è sempre cosa preziosa; ma nei periodi di sottogoverno, e di mal costume politico, è una necessità vitale e inderogabile. Nessuna sventura maggiore potrebbe cadere oggi sul nostro Paese di quella rappresentata da una stampa imbavagliata, o intimidita, o costretta al conformismo.

Fonti:

  • “Cenni di diritto dell’informazione” di Alberto Alvazzi del Frate, 1992.
  • Lifegate 20, “reporter senza frontiere”
  • “La Tecnica Sociale dell’Informazione” di Francesco Fattorello