La Comunicazione di Obama

UNIVERSITA’ DEGLI STUDI “CARLO BO” URBINO – Editoria, Media e Giornalismo – Elaborato per l’esame di Tecniche di Relazione – Prof. Giuseppe Ragnetti

“La Comunicazione di Obama”

di Lucia Elena Vuoso

Indice

  • Introduzione: L’importanza della comunicazione politica 
  • Obama, grande maestro della comunicazione Gli elementi del successo
  • La rete di Obama

Introduzione: L’importanza della Comunicazione Politica

“Comunicare non significa solo inviare informazioni all’indirizzo di un’altra persona. Significa creare negli altri un’esperienza, coinvolgerli fin nelle viscere e questa è una abilità emotiva”. Daniel Goleman

Nella società odierna, le potenzialità dei mass-media si sono sviluppate a tal punto da poter comunicare praticamente con chiunque abbattendo ogni barriera spazio/temporale.

Saper comunicare è fondamentale per gestire le nostre relazioni, che siano di ambito sociale, culturale o politico. Il modo con cui lo facciamo determina il rapporto che si crea con “l’altro”. Quindi, al giorno d’oggi, la comunicazione è uno degli strumenti più importanti per relazionarsi col mondo esterno. La politica, che governa la società, non può non saper comunicare. Esser un buon amministratore ma non essere in grado di dirlo alla gente risulta, oggi, inutile. Si è capito quanto sia fondamentale il ruolo del comunicatore, cioè di colui che si occupi di suggerire, promuovere ed elaborare l’immagine, sviluppando relazioni tra tutti i possibili centri di informazione, assicurando il flusso di rapporti con la stampa e il pubblico finale.

Un ottimo esperto, che sia in ambito politico o meno, deve saper leggere, scrivere, osservare, parlare e far parlare, mediare e intrattenere rapporti. Deve essere in contatto coi vertici della propria “azienda” ma anche con l’esterno. Negli Stati Uniti le relazioni pubbliche rappresentano la terza industria per numero di addetti e volume di capitali mosso [fonte CNN]. Quasi il 50% degli impiegati lavora in ambito politico. In un paese in costante campagna elettorale, dove la politica smuove milioni di dollari, il saper comunicare meglio con il pubblico, interagire con esso ed ottenere la maggioranza, significa poter gestire flussi di denaro ingenti, relazionarsi con le più grandi industrie e prendere decisioni a carattere mondiale. Si evince da ciò il ruolo fondamentale ricoperto, in tutti i paesi ma in particolare negli U.S.A., dalla comunicazione politica.

Barack Obama durante la campagna elettorale

 

Obama, grande maestro della comunicazione

“C’è qualcosa che accade quando gli americani che non hanno mai partecipato alla vita politica, si sentono coinvolti, bussano alle porte degli amici, telefonano e condividono con gli altri la loro visione del paese. C’è qualcosa che accade quando le persone,  non solo votano per il partito a cui appartengono, ma anche per le speranze che hanno in comune. Il cambiamento è ciò che sta accadendo ora in Amarica” Barak Obama

Barack Obama il 44° Presidente degli Stati Uniti d’America ha vinto le elezioni grazie ad una comunicazione integrata a 360° che ha tenuto conto di tutti i media tradizionali e non convenzionali e di tutte le tecniche di visibilità e di contatto alternative e innovative. La storia è una tavolozza di colori (nero, bianco, rosso, blu) che impasta la diversità, tritura il luogo comune, miscela ieri, oggi e domani. Aggiunge, toglie, rimette, ritoglie. La pelle è quasi un dettaglio, perché il primo nero alla Casa Bianca è una leggenda che non si può banalizzare con una tinta. È la sfumatura che diventa dominante.

Barack si sente il futuro. Parla al plurale: «Yes we can». Chi è? Che vuole? Che fa? Dove va? Ora non c’è un centimetro quadrato del pianeta che non sappia chi sia. Barack il seduttore della folla, l’adescatore di voti: negli ultimi 22 mesi ha detto più una sua smorfia che l’intero discorso di qualcun altro. Ha le chiavi della storia in tasca. Lui trasmette futuro, per qualcuno speranza, per altri sogni. Per qualcun altro terrore, certo. E poi ansia, incertezza, inadeguatezza. Diversità, anche.

Obama è piaciuto all’America: perché sa parlare, perché cancella una generazione che forse ha fallito troppe volte, perché lo si ascolta e gli si crede. Non si sa se ce la farà, però se non lo si mette alla prova non si scoprirà mai. Allora ispira. Affascina, colpisce, prega, piange. E’ umano. Uno che fumava, che ha provato la cocaina, che sbaglia, uno che non vuole dare l’impressione di essere perfetto.

L’hanno chiamato il Kennedy nero, con quel paragone ingombrante che deve sopportare ogni candidato democratico che non sia un Clinton. Lui ringrazia, poi però all’ultimo giro tira fuori uno spot che sembra uscito dalla campagna di Reagan, qualcosa tipo: «Ehi America, siamo nei guai. Però possiamo farcela». È l’ottimismo. È la consapevolezza delle radici di un sogno. Si ispira a Lincoln, allora. Springfield è stata la città da dove ha annunciato la corsa verso la Casa Bianca. A Springfield finì la schiavitù negli Stati Uniti d’America: il primo afroamericano presidente non è uno che trascura i dettagli. All’inizio e alla fine. Perché l’ultimo discorso arriva a Manassas, in Virginia, dove 146 anni fa i Sudisti ottennero le loro più famose vittorie nella Guerra Civile. Due battaglie che per la storia oggi sono le peggiori sconfitte per i diritti dei neri d’America. Simboli. Obama sa. Obama è un messaggio perenne, come se voglia ripetere il suo mantra: «Se io nero, vengo qui, dove i neri furono massacrati, lo faccio perché questo Paese deve superare le diversità. E può farlo». Yes we can, sempre. Comunque.

Obama è un sognatore pragmatico, cioè un ossimoro nella vita, ma non nella politica. Toglie la giacca, arrotola le maniche della camicia, non urla, non insulta, non si agita: si siede su uno sgabello e comincia. Qui c’è il romanzo dell’America che comincia dal basso e può arrivare in alto. Comincia da un immigrato del Kenya che conosce una giovane bianca del Kansas, se ne innamora e la sposa. Comincia il 4 agosto del 1961, al Queen’s Medical Center di Honolulu, Hawaii, dove la madre si trasferisce per stare con i genitori. Comincia dal nome: Barack Hussein Obama Junior. Il sogno di Obama non è sola retorica: è la storia di un Paese che accoglie, accetta, alleva i suoi figli.

Barack è andato e tornato: ha vissuto in Indonesia, a Giakarta. È rientrato per stare alle Hawaii coi nonni materni. È partito di nuovo per l’università: s’è laureato a New York, alla Columbia University. Poi Harvard, la specializzazione in legge. Il sogno americano è ancora questo: è la possibilità perenne di un riscatto o di una chance. Gli Stati Uniti l’hanno scoperto a Boston, durante la Convention del 2004. Lo staff di John Kerry scelse Barack per il discorso più importante, perché aveva bisogno di un afroamericano. Obama non era nessuno. Si presentò sul palco: «Siamo qui per il nostro futuro. Perché dobbiamo smetterla di pensare che un ragazzo nero con dei libri in mano è solo uno che imita un bianco».

Obama sa ascoltare e sa parlare. E sa anche comunicare benissimo.

E’ un volto, un sorriso, una battuta, una voce. E trasmette messaggi concreti. Speranza, possibilità, vigore, ottimismo, evoluzione, innovazione. Obama ha sfruttato il momento, la popolarità, il politicamente corretto, una campagna perfetta fatta di slogan perfetti: «Yes we can», poi «Change». Domani, domani, domani. L’audacia della speranza. Ha avuto il grande appoggio dei media internazionali e nazionali: tv e grandi giornali si sono innamorati di lui e della sua storia da vincente che ci ha sempre e comunque provato. E’ la concretizzazione dell’American dream.

Già nel giugno del 2007 si è preparato ad un cambio strategico nella sua campagna che, fino ad allora, si era concentrata in misura preponderante sulle attività grassroot: ha lanciato, infatti, i primi spot televisivi nello stato dell’Iowa che è stato il primo a votare nelle primarie 2008. Negli Stati Uniti la televisione è, ormai, il campo di battaglia principale delle elezioni presidenziali e gli spot televisivi rappresentano l’arma centrale, oltre che più costosa, a disposizione dei manager della campagna. Essendo la televisione diventata la fonte predominante di informazione politica, ecco che anche gli spot televisivi rappresentano un’importante fonte di informazione sia sul candidato che sui temi fondamentali della sua campagna.

Il primo spot, della durata di 60 secondi, era intitolato “Choices” (scelte) ed era incentrato sulla scelta che Obama fece dopo la laurea in legge ad Harvard di non accettare le vantaggiose offerte economiche da parte di studi legali per andare a Chicago ed impegnarsi come “community organizer”. Il docente di Harvard descrive la scelta di Obama come “ispiratrice”: la decisione di un individuo brillante che, invece di puntare verso Wall Street, ha scelto di “mettere il suo talento e le sue conoscenze al servizio della comunità e della qualità della vita delle persone che ne fanno parte”.

Il secondo spot, della durata di 30 secondi, si intitolava “Carry” e descriveva il lavoro legislativo svolto da Obama, nello stato dell’Illinois, per estendere l’assistenza verso i bambini e la copertura sanitaria e per tagli alla tassazione dei “working poor”; lo scopo è anche quello di evidenziare la capacità di ottenere accordi bipartisan.

La scelta di Obama ha seguito, in ordine cronologico, quella di Bill Richardson (democratico) e Mitt Romney (repubblicano) che hanno visto crescere i consensi nei sondaggi elettorali dopo la trasmissione dei loro primi spot televisivi. Quella del 2008 era annunciata, come una campagna con un investimento senza precedenti negli spot televisivi ed anche Obama ha fatto la sua parte. I due spot televisivi del candidato democratico sono stati anticipati da una intensa campagna di mailing che ha incluso anche la distribuzione di un dvd contenente la biografia di Obama.

La fortuna e il forte utilizzo degli spot televisivi sono dovuti al fatto che sono in grado di far diventare rapidamente noto un nuovo candidato, di raggiungere elettori che difficilmente seguirebbero trasmissioni di informazione politica e di tematizzare la campagna. Così anche Obama ha deciso di puntare sugli elettori che difficilmente riuscirebbe a contattare attraverso le classiche attività di campagna elettorale sul territorio. E lo ha fatto seguendo il manuale, cioè attraverso due spot di tipo “identification” che hanno la funzione di far conoscere il candidato evidenziando caratteristiche biografiche, enfatizzando alcuni momenti della storia personale o ricorrendo a testimonial famosi.

Il candidato democratico ha scelto di ricorrere a due testimonial per enfatizzare caratteristiche biografiche e della storia personale che evidenziano lati del carattere, priorità e modo di operare come esponente politico: il senatore repubblicano Kirk Dillard che ha lavorato con Obama in Illinois (e che sostiene la candidatura di John McCain) e il docente di legge dell’Università di Harvard, Laurence Tribe.

Negli ultimi giorni di campagna elettorale Barack Obama ha speso tre volte di più del suo rivale John McCain. A segnalarlo è uno studio della Università del Wisconsin, secondo il quale il senatore dell’Illinois ha speso 21,5 milioni di dollari in spot televisivi fra il 21 e il 28 ottobre, mentre il candidato repubblicano ne ha investiti solo 7,5 milioni. Obama, il cui budget pubblicitario complessivo potrebbe superare i 100 milioni di dollari battendo ogni record negli Stati Uniti, ha speso oltre il 70% del totale negli Stati dove nel 2004 vinse il presidente George W. Bush.

Ed il gran finale: “Spot a reti unificate”.

Per una volta la pubblicità non fa cambiare canale, anzi. Il megaspot da mezz’ora andato in onda il 29 ottobre su tre grandi network americani, Cbs, Nbc e Fox, ha alzato la media degli ascolti stagionali per un mercoledì sera. Il messaggio promozionale di Obama è stato seguito da 26,3 milioni di persone. Lo rivelano i primi dati sugli ascolti diffusi da Nielsen, che non tiene conto degli ascolti sui canali via cavo, Msnbc, Univision, Bet e Tv One, che pure hanno mandato in onda lo spot. Su Nbc il messaggio di Obama ha raggiunto 9,8 milioni di spettatori, su Cbs 8,6 e sulla repubblicana Fox 7,9 milioni. In media si tratta di un incremento del 13 per cento rispetto agli ascolti della normale programmazione in quella fascia oraria a metà settimana. Abc, l’unico dei network a non mandare in onda lo spot, è comunque arrivata quarta, con la fiction “Pushing Daisies”, che ha fatto 6,8 milioni di spettatori, il 16% per cento in più rispetto alla settimana precedente ma non certo il risultato sperato dall’emittente di Disney.

Obama ha sgretolato il record di ascolti di Ross Perot, il miliardario che nel 1992 si candidò come indipendente alle presidenziali. Perot acquistò spazi pubblicitari in prima serata sui grandi network e tenne una serie di 11 lezioni di economia agli americani per promuovere la sua ricetta di taglio del debito. In media raggiunse 11 milioni di americani, con un picco di 16 milioni.
Barack ha fatto meglio! E’ entrato nelle case degli americani ed ora anche nella storia, anzi nella leggenda con una campagna perfetta, con una comunicazione vincente.

Gli elementi del successo

A prescindere dalla propria visione politica non si può mettere in dubbio che l’elezione di Barack Obama a presidente degli Stati Uniti d’America sia un fatto storico non solo per le dimensioni della vittoria, ma specialmente per gli strumenti di comunicazione che hanno permesso ad un uomo quasi sconosciuto, di trionfare prima contro la donna più famosa d’America ed in seguito su uno degli uomini americani più apprezzati per le grandi imprese eroiche. Il messaggio di Obama è stato diffuso principalmente fra i vari social network e le tante community mondiali e soprattutto attraverso le e-mail con cui il neo presidente americano ha inviato comunicazioni puntuali, coinvolgenti ed empatiche dimostrando una netta e concreta volontà di cambiamento. L’e-mail marketing di Obama è stato la guida del suo successo e solo cinque sono statigli elementi che lo hanno caratterizzato. 

Contenuti: Barack Obama nelle e-mail ha utilizzato messaggi semplici veicolati non da infinite dissertazioni politiche o morali, ma da frasi brevi, puntuali, efficaci. Nei contenuti e nelle idee si è esposto personalmente ed è apparso come il compagno di viaggio di milioni di individui che affollano la rete, instaurando con loro un amichevole dialogo assai lontano dalle impostate e formali campagne elettorali.

Innovazione: non sono politica, ma anche tecnologica che ha fatto apparire il suo avversario come un cavernicolo troppo ancorato ai vecchi canali di comunicazione. Obama si è presentato come un concreto innovatore capace di interpretare le sfide tecnologiche e di valorizzare la modernità.      

Immediatezza: Per tutta la campagna elettorale Barack Obama ha inviato mensilmente a ciascun elettore una ventina di e-mail personalizzate informando gli americani su tutti gli aspetti della campagna elettorale e dimostrando trasparenza e volontà di condivisione. Esattamente tre minuti dopo l’ufficializzazione della sua vittoria, tutti gli iscritti alla newsletter hanno ricevuto un’e-mail di ringraziamento: ogni elettore si è sentito realmente protagonista dell’evento storico. L’e-mail marketing di Obama ha raggiunto immediatamente tutti, ha reso tutti protagonisti, ha valorizzato i singoli, ha reso determinanti le scelte di ciascuno. “Hai fatto la storia. Tutto questo è accaduto per merito tuo”, ha scritto Obama. 

Semplicità: mentre gli avversari hanno studiato infinite strategie e molteplici frasi ad effetto. Il neo presidente si è basato su due affermazioni semplici e significative, comprensibili da chiunque “Change” e “Yes, we can”. Affermazioni dirette e non artefatte, semplici e incisive, empatiche e coinvolgenti.

La rete di Obama

La comunicazione di Obama è già un culto, un mito, un modello da imitare e da studiare. Proprio per questo motivo in molte università italiane e sono nati nuovi corsi che hanno come perno principale le strategie di Barak Obama. A tal proposito lo scorso dicembre, a Roma, ISIMM e Università Roma Tre hanno promosso una giornata di lavoro per analizzare la comunicazione elettorale di Barack Obama nel suo rapporto con la rete e, più in generale, con i media digitali.  

Non vi è dubbio che uno dei fattori del successo di Obama è stato il suo rapporto privilegiato con la Rete, la sua cultura e le sue tecnologie sociali. Anche per questo tramite il giovane senatore afroamericano dell’Illinois, grazie alla sua immedesimazione nell’immaginario delle Reti e in virtù della sua capacità di stabilire con esse un rapporto diretto e attivo, è stato in grado di costituire e mobilitare network e comunità in modo orizzontale, partecipativo e spontaneo, e di animare intorno alla sua figura un’effervescenza e un virtuoso intreccio di comunicazioni e di relazioni che lo hanno trasformato da outsider in vincente. Attorno a questo tema hanno discusso con il presidente di ISIMM, Enrico Manca, dirigenti di imprese di comunicazione (Lorenzo Pupillo di Telecom Italia, David Bogi di Mediaset, Paolo Tacconi di Microsoft, insieme agli studenti e a un nutrito gruppo di studiosi e docenti: Alberto Abruzzese, Sebastiano Bagnara, Sara Bentivegna, Francesco Cardarelli, Gian Piero Jacobelli, Paolo Mancini, Vincenzo Susca. A fare gli onori di casa, per Roma Tre, Gianpiero Gamaleri, Edoardo Novelli, Vincenzo Zeno-Zencovich.

Non tutte le opinioni coincidevano ma l’impressione di tutti i presenti è stata quella, piuttosto piacevole, di avere tematizzato in maniera efficace le novità di Obama, andando oltre i primi commenti a caldo.  

Non c’è dubbio intanto che l’uso intelligente e consapevole delle Reti, degli “sms di massa” e delle varie forme di espressione del Web 2.0. e costituisce una forte innovazione

nell’organizzazione della politica e del consenso, ma che tuttavia non sarebbe stato sufficiente senza una proposta politica innovativa che ha trovato nella crisi economica americana e nei timori molto diffusi nella popolazione un momento di coagulo. La vecchia massima, per cui la pubblicità non funziona se il prodotto non risponde a standard di qualità largamente accettati, mantiene qui tutta la sua validità.  

Il prodotto che è stato “venduto” con successo è un candidato alle elezioni, non un mandato presidenziale. Nonostante molti precedenti parziali, Obama è sicuramente il primo candidato vincente che è espressione delle culture digitali, un candidate.com; ma è presto per dire se sarà anche un president.com. Le reti che egli ha attivato, in un intreccio peculiare tra contatti faccia a faccia tra i suoi attivisti ed elettori e le forme di mobilitazione a distanza, hanno diffuso le issues e le policies della sua campagna. Altra cosa, che non è mai stata tentata, è svolgere il mandato presidenziale mantenendo un costante flusso interattivo con un ampio strato di sostenitori attivi, prevalentemente amministrato attraverso reti digitali. Vedremo se Obama vorrà farlo, e se sarà possibile curvare su questi nuovi obiettivi la novità di queste reti intanto stabilite.  

Di reti si è parlato sempre al plurale. Non c’è solo Internet, c’è un uso straordinario degli SMS, c’è Facebook, c’è l’idea che all’attivista va fornito un kit c’è l’idea che all’attivista va fornito un kit di strumenti di intervento con cui potranno organizzarsi riunioni fra vicini, negli immensi suburbi delle città americane, rivitalizzando strumenti della comunicazione politica novecentesca e anche le catene di di Sant’Antonio, e riuscendo a raccogliere una quantità immensa di denaro non con i soliti pranzi elettorali a pagamento per Vip ma attraverso versamenti minuscoli di milioni di persone, in gran parte effettuati in rete. E poi c’è quello che Obama è riuscito a evitare: la comunicazione farraginosa di Hillary Clinton, o i tristi comizi virtuali in Second Life durante le presidenziali francesi di appena un anno fa. Ha dunque qualche senso affermare (quante volte l’abbiamo letto sui giornali) che Franklin Delano Roosevelt è stato il presidente della radio, John Kennedy della televisione e Obama di Internet, ma molti distinguo sono necessari. Kennedy si rivolgeva per televisione alla grande platea dei cittadini, invitandoli a votare per lui anche grazie al fascino personale. Obama usa le reti in modo interattivo, a due vie, e per giunta si fonda sulle loro grandi capacità di replicazione, per produrre attivismo elettorale. E’ stato notato che in qualche misura Obama ha ripercorso in linguaggio digitale vecchie forme di militanza politica (proselitismo, sottoscrizione ecc.) che la televisione, e la politica-spettacolo, sembravano aver mandato in soffitta. Forse in un futuro i cinquant’anni della tv (il duello Nixon-Kennedy era del 1960) ci appariranno un periodo in cui una politica “spettatoriale” aveva preso il posto di quella agita attraverso la partecipazione diretta. Un periodo definitivamente chiuso da nuove forme di mobilitazione mediate dalle reti.

Di seguito alcuni degli interventi più importanti e significativi per comprendere appieno la rete di Obama.

Enrico Manca

Il coinvolgimento messo in atto da Barack Obama è stato totale ed è riuscito ad abbracciare i due estremi della società americana: dalla classe creativa a quella degli emarginati. Inoltre ha saputo integrare l’utilizzo dei vecchi e dei nuovi media.I nuovi media sono sempre stati cruciali per l’elezione del presidente USA. Jefferson = Quotidiani; Roosvelt = Radio; Kennedy = Tv; Obama = Internet. Già nel 2000 Howard Dean aveva puntato su internet ma il suo caso fallimentare è l’esemplificazione del fatto che l’uso, seppure sapiente, di internet da solo non basta per arrivare alla Casa Bianca. Obama è web-compatibile perché web-generato. I social network hanno dato forma alle sue idee, hanno realizzato una rete organizzata di sostenitori e una rete forte per la raccolta fondi. Obama fa sperare in un ritorno della politica alta, della politica del consenso – attraverso una cultura di massa non massificata.

Di Chio

Nell’era della new economy la parola chiave è innovare, e la gioventù è un valore. Obama è un outsider non è un leader storico, non fa parte dell’”aristocrazia” del partito, né è stato scelto per “selezione dinastica”. Ha fondato il suo successo politico non sull’anzianità della militanza. Obama non rappresenta il partito democratico, Obama è la sua storia personale.

Se Internet nella sua prima fase aveva una funzione destruens, rispetto ai linguaggi e ai formati della vecchia comunicazione, l’internet del web 2.0 è passato alla fase construens (con l’affermazione delle social communities). Nuova modalità di comunicare la politica, nuova proposta politica, un nuovo coinvolgimento. Il messaggio della vittoria di Obama è di portata epocale e deve far riflettere la classe politica e chi si occupa di comunicazione. Stanno cambiando le logiche in politica e nel mercato. Il Web 2.0 e lo user generated content è un fenomeno che potrebbe sovvertire i vecchi assetti.

Paolo Annunziato

Due riflessioni principali:

  1. l’uso che Obama ha fatto e farà delle nuove tecnologie;
  2. la concezione che Obama ha della rete (e le implicazioni di policy).

Per dirla con McLuhan, se internet è stato il mezzo, “cambiamento” è stato il messaggio.

Obama ha saputo trasformare i suoi sostenitori da volontari passivi a empowered organizer, spingendo sul right-brain, la parte emotiva dell’elettore. Ha potuto fare questo grazie ad una field operation,  il suo sito infatti è in realtà un sito di social networking. Obama ha capitalizzato questa “fortuna” di risorse umane e ora può contare su una rete di milioni di contatti per testare le sue proposte. L’uso innovativo delle nuove tecnologie è stato a 360°, prevedendo anche lo sviluppo di apposite applicazioni dell’iPhone e dell’X-box e di tecniche di localizzazione mobile.

Paolo Tacconi

La rete e la politica hanno due cose in comune:

  1. l’impossibilità di separare il cuore e la ragione
  2. la dimensione di flusso

Internet è un insieme di dati è quindi un enorme strumento per la politica: è fondamentale per la targettizzazione del pubblico. Internet interagisce con i cambiamenti all’interno dell’opinione pubblica.

Alberto Abruzzese 

La vittoria di Obama ci fa riflettere sul futuro dell’Occidente.

Obama è la grande chimera del nuovo mondo, è il mondo occidentale che si esprime in modi diversi. Se Bush era l’espressione della hardware; Obama, dobbiamo riconoscere, è l’espressione della software. Internet ha permesso a Obama di costruire la sua innovazione, di costruire il simulacro.

E’ la terza fase dei presidenti americani. Se Kennedy rappresenta il simulacro del presidente che porta la felicità nel mondo, Reagan incarnava il modello del politico/attore, il simulacro del presidente che recita la grande scena della sovranità americana. Obama ora porta con se una nuova narrazione: il dolore incarnato dal presidente, il nero che ha sofferto. Il prossimo potrebbe essere una donna, che è l’altro esempio di corpo sofferente. Si è passati, quindi, dalle grandi astrazioni (massa), alla sofferenza di un singolo uomo (la carne). Il sorriso di Obama ricorda il sorriso del Joker, un uomo che siccome ha sofferto in passato, ora gioca il ruolo del potere.

Sebastiano Bagnara

Per il finanziamento delle campagne ha usato lo stesso metodo, teorizzato da Chris Anderson nella teoria della Coda Lunga, raccogliere anche il più piccolo obolo se il costo della raccolta è minore del guadagno che ne ricavi. Il rapporto tra Obama e la rete non è tecnico, ma antropologico.

Obama parla ai così detti nativi digitali, che hanno, tra l’altro, una diversa concezione dell’amicizia – la cosiddetta enlarged friendship – puoi sentirti parte di un processo anche se sei distante nello spazio e nel tempo, perché ti senti comunque vicino emozionalmente.

I nativi digitali ai quali lui parla sono il simbolo della peer2peer education: le conoscenze non vengono trasmesse come a scuola, ma vengono condivise con gli altri, il che porta ad una diversa costruzione dell’identità.

Nella frase “Yes we can” la dimensione del “noi” è fondamentale per la tenuta di quello slogan. Essere legato agli altri vuol dire che tutto quello che produci lo condividi, è il concetto del creative commons (forse anche per questo lo stesso slogan italianizzato nel “si può fare” non ha funzionato, usa la forma impersonale che non porta vicinanza emotiva).

Sara Bentivegna

Obama ha saputo fare un uso sapiente di sms e mail.

E’ stato tempestivo e personalizzato, come ad esempio quando ha comunicato il ticket con Joe Biden. L’apice è stato raggiunto il 5 novembre all’1.00 quando ha mandato a tutti i suoi sostenitori il messaggio via mail prima di andare a Grant Park per tenere il comizio conclusivo. Ciò denota una grandissima attenzione da parte della sua squadra nell’utilizzo di Internet fin nei minimi dettagli. C’è un’identificazione totale di Obama in Internet, a tal punto che si è parlato di una Facebook Administration. Obama ha utilizzato la rete per creare un individualismo reticolare organizzato: aveva a disposizione un database degli elettori incredibile che ha sputo utilizzare in maniera molto intelligente. Ha prima predisposto una mappatura dei militanti per il porta a porta, dopodiché ha stilato un manuale online per il porta a porta sui modelli di conversazione possibili, fino ad arrivare all’Houdini project: i militanti fuori dai seggi mandavano via sms i nomi degli elettori in fila per espungerli dalla lista e mandavano a chiamare quelli che non si erano ancora presentati (Get-out-the-vote operation).

Gianpiero Gamaleri

Obama ha utilizzato molto la forza del passaparola e dei rapporti interpersonali.

Obama dava per scontata la conoscenza del suo messaggio nelle mail che manda ai suoi sostenitori, costruisce così un rapporto confidenziale con i suoi. Da questo momento avremo non solo dei leader che usano Internet, ma che vengono selezionati da Internet, ciò darà vita a un nuovo tipo di leadership.

Gianpiero Jacobelli

La vera novità non è l’uso di internet, ma l’uso innovativo di internet, un uso a cavallo tra le diverse realtà reale/virtuale. I social network sono stati utilizzati non solo come struttura comunicativa, ma come struttura di mobilitazione. Talbot ha fatto un’inchiesta sul settore “reti” della comunicazione di Obama e sono venute fuori 3 cose:

  1. Non si parla di rete ma di reti (informatiche, telefoniche, postali…) il che da l’idea della complessità della sua azione (la campagna di Dean fu fallimentare perché puntò tutto sul fundraising senza farcirlo di passione ed emotività)
  2. Nessuna delle iniziative in rete si è lì esaurita, ma aveva sempre un prosieguo nella vita reale. Il doppio corpo della rete veniva fuori nella capacità di responsabilizzarsi nella vita reale rispetto a ciò a cui si aveva aderito online.
  3. Siamo in attesa di una verifica potenziale dei fatti, che è poi il punto critico. La rete è in grado di divulgare delle speranze, ma non è in grado di dare una risposta. Per ora non c’è stata novità nel  comportamento politico.
    Adesso aspettiamo Obama al varco, per capire se sarà in gardo di dare consistenza al fascino delle sue promesse.

Edoardo Novelli

Le funzioni che ha assunto la rete in questa campagna elettorale sono esattamente le stesse utilizzate dalla vecchia politica. I social network hanno preso il posto della vecchia militanza e hanno organizzato il porta a porta esattamente come si faceva ai tempi del Pci. E anche l’Houdini project ricordato prima dalla Bentivegna non è nient’altro che la versione moderna delle vecchie staffette organizzate dal Pci.Obama ha saputo, come nelle vecchie organizzazioni politiche, creare un’appartenenza e una struttura organizzativa gerarchica. Tutto ciò negli anni passati (dai ’60 a oggi) è stato assorbito dalla Tv, ora si è finalmente a tornati alla vecchia politica, solo con l’utilizzo di nuovi mezzi. Internet agisce sui comportamenti: ti fa uscire a fare il porta a porta, ti fa donare fisicamente del denaro.

Vincenzo Susca

William Gibson nel 1982 inventò il termine cyberspazio e la sua definizione: “un’allucinazione vissuta consensualmente”: Obama ha incarnato il principio del cyberspazio.Per dirla con De Kerkove non si parla più di tecnologia ma di tecnomagia.

Obama emette un impulso tecnomagico che porta ad una partecipazione mistica; I sensi e l’aspetto cognitivo sono attivati. E’ lo scarto comunicativo che tira fuori il massimo della partecipazione cognitiva ed emotivo-emozionale. Con le nuove tecnologie possiamo assistere ad un ritorno del totem. Nel sistema totemistico (mix tra religione, credenze e magia) c’è un forte carico estatico, nel quale però si sceglie in maniera consapevole di essere coinvolti. La comunicazione in rete è molto diversa dalla propaganda. Le Reti, infatti, non si accontentano di elaborare un programma o un messaggio. Ogni epoca storica è contraddistinta da un cuore comunicativo, il cuore dell’industria culturale oggi è nella Rete. La Rete può costruire un modello di politica che ancora non abbiamo conosciuto.

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