…dal Pettegolezzo all’Opinione

UNIVERSITA’ DEGLI STUDI “CARLO BO” – URBINO – Laurea Specialistica Editoria Media Giornalismo – TECNICHE DI RELAZIONE – Prof. Giuseppe Ragnetti

“…dal Pettegolezzo all’Opinione”

Elaborato scritto di Francesca Di Felice

INDICE

  1. Che cos’è il pettegolezzo
  2. Le funzioni del pettegolezzo
  3. Le dicerie
  4. Opinioni
  5. La Tecnica Sociale dell’Informazione
  6. Mezzi di comunicazione e pettegolezzi
  7. Bibliografia

Introduzione

Pettegolezzi, voci, chiacchere … a chi non è mai capitato di essere Oggetto o Soggetto di gossip?

Questo breve lavoro nasce con il proposito di presentare la pratica quotidiana del pettegolezzo come insita alle relazioni sociali, evidenziandone i meccanismi di costruzione paragonati a quelli in cui si formano le Opinioni all’interno di un gruppo sociale.

Grazie alla Tecnica Dell’Informazione sociale di Fattorello colui che riceve un messaggio ha pari dignità e capacità di opinione di colui che informa, e così l’autore di pettegolezzi ha l’importante ruolo di mediazione e in-formazione che spetta al giornalista.

Un breve confronto che permette di capire quanto ognuno di noi possa essere responsabile attivamente all’interno dei processi di comunicazione.


“Il pettegolezzo è la voce della verità (..)
E questa voce è magica (..)
Il pettegolezzo è leggero,
freddo e in tal modo assurge
a una sorta di obiettività:
la sua voce sembra insomma
doppiare la voce della scienza

Roland Barthes

Che cos’è il pettegolezzo

Per ‘voce’ ‘rumore’, ‘pettegolezzo’, ‘chiacchera’ si intendono cose diverse. Etimologicamente essi sono effetti: ossia suoni che hanno una intensità e durata variabili. Tuttavia voce e rumore non hanno riferimento solo all’effetto bensì anche alla causa di quell’effetto. La voce infatti rimanda ad un processo di diffusione a catena, mentre il rumore a un processo sconnesso, esitante, limitato localmente. Dal vocabolario il termine pettegolezzo viene invece definito come una “chiacchera inopportuna o indescreta e malevola” e l’origine etimologica è stata individuata nell’antico verbo veneto “petegolàr” che significava emettere piccoli peti (e forse questa espressione ha dato vita a un riferimento all’incontinenza verbale). Oggi il termine ha corrispondenza sia al contenuto che all’oggetto della comunicazione, come storie di bassa lega messe in circolo di proposito da qualcuno per calunniare qualcun altro.

Il pettegolezzo può essere considerato a tutti gli effetti una pratica culturale della vita quotidiana, analizzabile tramite le tipologie dei frames comunicativi nei gruppi ristretti, degli stereotipi, delle modalità di credenze, della sua funzione fàtica.

Gli interlocutori, per trattare il pettegolezzo come forma di comunicazione, devono avere una competenza che implichi la capacità di riconoscere attraverso particolari indicatori quando le azioni comprese intersoggettivamente sono orientate in modo da considerare la conversazione un pettegolezzo. Questa competenza può essere considerata una forma di comprensione quotidiana.

Se si osservano le forme del parlare nella vita di tutti i giorni, soprattutto quelle informali si presentano spesso come narrazioni di storie non sempre sviluppate interamente. Gli eventi sociali vengono tematizzati e raccontati in vario modo, e ogni conversazione di pettegolezzi forma un contesto in cui il significato non è altro che il risultato delle azioni dei singoli partecipanti orientati verso un obiettivo.

Oggetto del pettegolezzo

Oggetto del pettegolezzo è in genere la persona riguardo la quale si spettegola, che viene ovviamente esclusa dalla partecipazione attiva della comunicazione, la sua presenza è marcata solo come oggetto delle chiacchere. Una condizione strutturale del pettegolezzo è sicuramente la conoscenza da parte del destinatario e dell’autore della persona assente che costituisce l’oggetto del pettegolezzo. Un’altra condizione strutturale è la variabile di segretezza reciproca che in un qualche modo è richiesta. 

L’autore del pettegolezzo

È il regista che manovra le informazioni e le trasmette. Il termine inglese gossip infatti non designa solo il pettegolezzo ma anche la persona che spettegola. La posizione dell’autore è intermediaria tra la non conoscenza e la familiarità con il soggetto\oggetto del pettegolezzo. Della sua importante figura di intermediazione ne torneremo a parlare più avanti.

Il destinatario del pettegolezzo

La figura del destinatario non è affatto passiva in quanto chi riceve il pettegolezzo è un partecipante attivo che mostra la volontà di ascoltare e di interagire con l’interlocutore. È soltanto grazie al fatto che esiste un legame specifico tra l’autore e l’oggetto del pettegolezzo che la conversazione diventa infine pettegolezzo. L’oggetto deve essere un conoscente del destinatario almeno indirettamente, dato che la notizia può essere rilevante per lui solo se non riguarda un estraneo. Il rapporto tra l’autore e il destinatario è fortemente modellato dal tipo particolare di informazione che viene trasmessa nell’interazione. Questa relazione di co-informazione unisce i partecipanti in un rapporto di complicità e incide sulla loro relazione fino all’ultimo anche attraverso  lo stile e il tono di scambio che è caratterizzato dalla parità.

Le funzioni del pettegolezzo

Robert Paine nel suo studio “Gossip and Transaction” affermò che il pettegolezzo è innanzitutto un modello di comunicazione informativa che riguarda essenzialmente lo scambio di informazioni rilevanti per i partecipanti dello stesso gruppo sociale. Il pettegolezzo può essere considerato cioè un’istituzione che crea e distribuisce informazioni in base ad interessi individuali. Una forma di azione strategica insomma, il cui scopo primario sarebbe quello di attribuire una validità agli interessi delle persone che spettegolano. Quindi il pettegolezzo, per  il suo modo di trattare l’informazione, sarebbe una tecnica e una risorsa per la gestione dell’informazione dall’interno del gruppo.

Paine è responsabile anche dello studio sull’approccio strategico in prospettiva transnazionale, che spiega il fenomeno del pettegolezzo come un genere di comunicazione informale e un meccanisco per favorire e proteggere gli interessi individuali. Ciò va in contrasto con gli approcci che vedono nel pettegolezzo una forma di preservazione del gruppo (per esempio quello di Gluckman) perché per Paine, in linea con la teoria drammaturgica di Goffmann, le dicerie sono delle forme di controllo dell’informazione per scopi personali, manipolate per influenzare le impressioni che si possono formare.

Forse certe situazioni e certi contesti contribuiscono a determinare la pratica del pettegolezzo e questa prospettiva è strettamente legata al modello teorico della collettività di Turner e Killian secondo cui l’azione di massa deriva da una definizione collettiva di situazione ambigua.

Oltre ad avere una funzione strategica per l’informazione, il pettegolezzo ha funzioni di tipo:

  • Espistemologico, perché si interroga sui valori di verità, sulla veridicità della fonte e sul modo di costruire la verità partendo da informazioni incontrollabili.
  • Sociale, perché essendo implicato nell’intersoggettività mette a fuoco le relazioni sociali.
  • Etica, riguardando tutte le forme di sentimenti, trasgressioni, tradimenti che possono esservi focalizzati.
  • Fàtica, perché mantiene vivo l’interesse nell’interazione e non la fa cadere o chiudere.

Le Dicerie

Diceria e pettegolezzo testimoniano come le persone intendono dare un senso al loro mondo e accordare fiducia al carattere morale e al significato degli eventi. 

Mentre però il pettegolezzo è una forma di interazione sociale che dipende dalla gestione strategica dell’informazione, la diceria (rumor) è stata definita da Allport e Postman come una proposta di credenza trasmessa da persona a persona senza che vi siano criteri di veridicità certi. Essa collega il presente immediato al passato, del quale si serve come bacino di ricorrenza. Una sua caratteristica distintiva è la collocazione attuale e locale, tratta quell’informazione detta contigente, sia simbolicamente che geograficamente.

Knapp ha classificato le dicerie in base alle motivazioni analizzando quelle che si diffusero negli Stati Uniti durante la Seconda Guerra Mondiale e giunse a raggrupparle in 3 categorie:

le dicerie fantasma che esprimono paure e ansie, le dicerie di fantasia che esprimono il desiderio della gente di realizzare un sogno sostenendo che gli eventi siano realmente accaduti, e quelle che portano disaccordo, socialmente nocive.

Le caratteristiche testuali delle dicerie mostrano come la loro brevità sia una proprietà fondamentale della loro forma narrativa. Ciò richiama due processi insiti nella diceria: uniformare e affilare. E’ chiaro a tutti che durante la trasmissione delle dicerie gran parte dei dettagli vengono dimenticati e altri esagerati, infatti l’affilamento è da intendersi come il lavoro di percezione selettiva che avviene durante la memorizzazione di un numero limitato di dettagli.

Un ulteriore aspetto della diceria è che spesso essa è introdotta da particolari frames, cornici testuali che possono rafforzare la credibilità dell’informazione o altre volte possono essere usate per prendere le distanze dall’informazione che si sta per dire, per non assumersi certe responsabilità.

Shibutani e successivamente Allport e Postman hanno espresso la “legge fondamentale della diceria” secondo cui il numero delle dicerie varia a seconda dell’importanza dell’argomento, moltiplicata per l’ambiguità dei dati realmente a disposizione. Se l’importanza dell’evento è nulla o privo di ambiguità, non vi sarà voce. Secondo Shibutani poi, le dicerie derivano dalla rottura dei canali di comunicazione normale e sono “un’improvvisazione cooperativa di interpretazioni”.

La diceria, per il suo essere così breve, legata al contingente e in cerca dell’adesione tempestiva è quindi intrensicamente simile alla notizia giornalistica, a cui si aggiunge il fatto di non essere sempre verificabile.

Pettegolezzo, diceria e moralità

Il legame tra pettegolezzo e conservazione della moralità è stato approfondito da diversi studiosi tra cui Herskovits e West i quali sostengono che il controllo religioso della morale agisce anche attraverso la condanna dei piccoli peccati altrui e la paura.  L’intreccio fra questione morale e pettegolezzo è altresì intricato a livello tematico, non a caso gli argomenti che interessano ai pettegoli sono per lo più quelli ad alto contenuto morale, come le trasgressioni o l’infedeltà.

Per Gluckman il pettegolezzo e le dicerie nei gruppi sociali più ristretti hanno l’importante virtù di mantenere l’unità, i valori e quindi anche la moralità di quel gruppo. Inoltre permettono di controllare i gruppi sociali concorrenti e gli individui che aspirano ad entrarci.

Pettegolezzo e maldicenza sono anche fonti di piacere, ma solo quando un individuo è accettato come membro di un gruppo acquista tale diritto di spettegolare : esso è una caratteristica peculiare dell’essere parte di una comunità. Il meccanismo della maldicenza riconferma e incrementa l’identità e l’esclusività del gruppo rispetto ad altri gruppi e quindi la coesione di un reale senso di comunità.

Gli individui membri di un gruppo sociale giudicano gli altri sulla base di stereotipi, cioè le rappresentazioni fatte della realtà nel tentativo di comprenderla. Sulla base di ciò che ha affermato Lippmann nella sua teoria, anche per quanto riguarda la trasmissione di dicerie e pettegolezzi è necessario tenere presente che gli individui non possono comprendere a pieno ciò che accade nella realtà e i loro giudizi  di opinione sono sempre permeati dagli stereotipi sociali nati dalla collettività di cui fanno parte.

Opinioni

Essendo pettegolezzi e dicerie espressione di opinioni soggettive maturate all’interno di un gruppo sociale, di seguito si specificherà quali sono le teorie costituive dell’opinione.

La teoria elaborata da Joen Stoetzel afferma che “opinare significa per il soggetto porsi socialmente in rapporto con il suo gruppo e con gli altri gruppi esterni” e che quindi essa è una “manifestazione che si concreta nell’adesione a determinate formule di un’attitudine che può essere valutata su una scala obiettiva delle opinioni”. Su una data questione quindi, si possono raccogliere molteplici formule di opinione, che provengono dalle singole elaborazioni dell’uomo su un determinato evento. Ogni soggetto infatti può esprimere un suo particolare punto di vista che dà forma all’opinione, la quale potrà essere condivisa da altri soggetti che vi aderiranno.

L’individuo che fa parte di un gruppo sociale eredita da esso diverse idee, credenze, modi di vedere l’universo e il mondo che si interpongono alla sua visione delle cose, ideali e sentimenti collettivi.

Questo suo essere sociale dell’individuo influenza chiaramente il suo modo di sviluppare opinioni. Affiliarsi ad un gruppo sociale significa identificarsi con gli stereotipi adottati da quella collettività  e comportarsi quindi in armonia con essi nel momento in cui l’individuo esprimerà una opinione.

Stoetzel ha affermato che esistono due modi di sviluppo delle opinioni: in un primo caso ci abbandoniamo ad un pensiero che non è il nostro e a cui abbiamo aderito, nell’altro caso invece sviluppiamo opinioni in relazione alle nostre attitudini personali. Quest’ultime però non possono avere un’autonomia psicologica perché dipendono dalle attitudini profonde della personalità le quali rilevano l’esistenza di principi comuni che dominano i pensieri.

Il pettegolezzo e la diceria, sia considerati come elementi di coesione o controllo del gruppo sociale, sono quindi un esempio di opinioni soggettive sviluppatesi dall’adesione agli stereotipi della comunità sociale di cui si fa parte. Come per le dicerie, l’opinione è frutto di una conoscenza soggettiva di fatti contingenti, uno specifico modo personale di spiegare un fatto, è provvisoria, aleatoria e intrattiene con la realtà legami piuttosto blandi.

Dal pettegolezzo all’opinione

Non c’è alcun ambiente sociale o professione che può sfuggire alla pratica dello scambio di ‘voci’, specialmente negli ambienti politici, intellettuali e nel mondo delle informazioni. Più regna l’incertezza e l’antagonismo, maggiore è lo stato d’animo di dubbio e più il meccanismo del ‘si dice’ e i giudizi di opinione sono rapidi a mettersi in azione. Il dubbio infatti è quel particolare stato d’animo che ci avvolge quando non riusciamo a trovare una risposta ad una domanda o ad uscire da una qualsiasi ambiguità esistenziale. L’inquietudine che accompagna il dubbio provoca quindi uno sforzo di ricerca della verità che sfocia in quei giudizi particolari, non veritieri chiamati appunto giudizi di opinione. Esprimere opinioni è così uno stadio per uscire dal dubbio nei riguardi di problemi contingenti.

Ma come è possibile che si passi dal pettegolezzo alla credenza o addirittura all’opinione?

Le credenze sono quell’insieme di rappresentazioni immagazzinate come descrizioni del reale che vengono attivate ogni volta che l’occasione è appropriata, generando l’indizio comportamentale dell’asserzione e assenso. In realtà molto dipende dal contesto. Nella maggioranza dei casi per esempio, il tema della voce risulta essere molto banale, e l’ambiente in cui ha luogo molto ristretto: in queste situazioni la consistenza della chiacchera difficilmente si irrobusisterà fino a raggiungere lo stato di credenza. Per contro, esistono situazioni in cui un certo contenuto si congiunge con un particolare contesto, tale che la voce riesce a forzare qualsiasi tipo di silenzio o barriera e venga amplificata.

Ovviamente la credibilità della voce dipende dalla natura particolare della persona che la trasmette e del messaggio che comunica. Il credere consiste nel riconoscere l’alterità e costruire un contratto fiduciario . Nell’appropriazione di un’informazione, colui che aderisce a quella particolare forma di opinione, accetta di credere al messaggio del Soggetto Promotore, abbandonando una sua posizione riguardo a qualcosa per fare credito al Destinatario.

Inoltre per essere considerato credibile, si deve poter supporre che l’enunciatore della voce creda nell’informazione sostenuta, e che si ritenga obbligato nei confronti del Recettore a non tradire la sua fiducia. E’ naturale che per essere credibile non basta affermare di dire il vero ma occorre avere alle spalle le prove della propria credibilità. Ecco quindi che chi ci riferisce una voce lo fa presentandosi come molto vicino alla fonte originaria dell’informazione, e anche se dice di non aver assistito direttamente all’evento in causa in compenso afferma di conoscere chi ha visto e sa ecc.

Il lessico usato per proporre la voce, è indicatore di neutralità descrittiva che lascia così aperta la possibilità di ritrattare (‘si dice che’), o rinforzo della credibilità con l’uso di vocaboli che testimoniano una presa di posizione (‘si assicura che’).

L’accettare un’informazione come vera dipende dallo schema di riferimento che ciascuno usa per valutarla come tale. Raramente poi, una voce ci giunge nuda e cruda: è sempre una rielaborazione di chi ce la trasmette che trasforma il rumore in voce, che a sua volta passa dallo stato sconosciuto a quello di conoscenza, dal privato al pubblico, dall’immaginario al reale. È così che una voce assicura la propria continuità trasformando le disposizioni a credere in credenze e poi, se le condizioni si prestano, in convinzioni.

Rumore/Proposte di credenza   >>>   Credenza   >>>   Convinzione

(scambi informali)                   (Memoria collettiva)          (Opinione pubblica)

Viene sottolineato così il legame esistente tra voce, credenza, convinzione e le rispettive casse di risonanza pubbliche : gli scambi di tipo informale per quanto riguarda la prima, ovvero i passaggi di informazioni da bocca a bocca; per quanto concerne la seconda la memoria collettiva, acquisendo una struttura solida  e durevole, e poi la convinzione legata all’opinione pubblica in quanto si consolida attraverso la coesione delle opinioni degli individui, coerentemente alle convinzioni presenti nella società di riferimento.  Nel processo di adesione\rifiuto di un individuo rispetto ad un’opinione esistono diverse fasi, la credenza può diventare una convinzione quando si aderisce totalmente ad un’opinione, finendo per considerarla propria anche se orginariamente non lo è.

Per opinione pubblica si intende quella relativa ad una collettività, il cui soggetto è rappresentato dall’insieme di persone che hanno quell’opinione e ritengono che altri la condividano. Questo soggetto coincide con il concetto sociologico di ‘pubblico’, cioè un gruppo dalle caratteristiche speciali, difficilmente definibile.

Ecco quindi che gli scambi di voci informali possono diventare credenze se acquisiscono una struttura statica, per poi sfociare in vere e proprie convinzioni allorchè l’individuo aderisce totalmente a quelle determinate opinioni, tanto da credere di possedere la verità.

Questo dimostra come l’opinione pubblica non necessiti per forza di estrinsecarsi nelle varie forme in maniera aperta, ma essa può formarsi anche tramite il passa-parola, le voci bocca a bocca. 

La tecnica sociale dell’informazione

La trasmissione di pettegolezzi e dicerie si basa ovviamente sulla comunicazione face-to-face che prevede una interazione diretta tra chi parla e chi ascolta.

In particolare da una parte abbiamo l’Autore del pettegolezzo e dall’altra il suo Destinatario. Essendo l’oggetto della comunicazione in questo caso un’informazione, si mette in atto il rapporto che intercorre tra Soggetto Promotore e Soggetto Recettore così come intesi da Francesco Fattorello nella sua Tecnica sociale dell’informazione. Egli ha affermato che il Soggetto Promotore è colui che ha l’iniziativa dell’informazione da trasmettere al Soggetto Recettore che la riceve attraverso un Mezzo. L’Oggetto dell’informazione, è così una forma, una rappresentazione e manifestazione dell’opinione sulla quale il Destinatario mira ad ottenere l’adesione del Recettore.

L’informazione è quindi una formula di opinione quale risultante da un processo di opinione.

Il pettegolezzo o diceria che vogliamo trasmettere è infatti frutto di una visione soggettiva di un evento, scaturita dal mancato rispetto delle norme sociali presenti in una determinata collettività.

L’autore del pettegolezzo ha l’importante funzione di mediatore nel processo di comunicazione, che spetta al giornalista nell’ambito della tecnica sociale. Il tecnico dell’informazione infatti non trasmette una visione della realtà oggettiva, ma in-forma nel senso di dare forma, manipolare l’oggetto che vuole trasmettere al suo recettore.  Il mediatore-affabulatore si colloca così tra ”l’obiettività” dell’accadimento e il suo Soggetto Recettore attraverso una doppia valenza di soggettività:  quella sua personale  e quella del destinatario dotato delle sue stesse facoltà opinanti e quindi capace di interpretare a sua volta l’interpretazione offertagli.

La notizia da trasmettere è così rielaborata a seconda dell’interpretazione del giornalista e delle caratteristiche degli individui ai quali lui si rivolge. Lo stesso è per l’autore di pettegolezzi, che trasmette visioni soggettive, opinabili, di fatti che ritiene veri e che vuole trasmettere nel modo più possibile vicino al suo recettore. È chiaro così che parlare di obiettività in entrambi i casi è fuori discussione: la soggettività delle informazioni si ripete all’infinito, sia che si tratti raccontare un evento o di raccontare un pettegolezzo.

L’influenza personale

La presunta passività di colui che riceve informazioni è smentita dal fatto che entrambi i termini del rapporto informativo si condizionano a vicenda. L’autore del pettegolezzo in quanto Soggetto Promotore è condizionato dal suo Recettore perché deve adeguarsi a lui nel modo di trasmettere le informazioni per permettergli di percepirle come tali, e viceversa il Recettore apprende notizie a seconda dell’interpretazione propostagli dal soggetto Promotore.

Il potere dell’influenza personale all’interno delle relazioni intersoggettive è stato riscontrato anche dagli studi condotti da Lazarsfield, Berelson e Gauder riguardanti il flusso a due fasi della comunicazione. Secondo questo modello infatti, avrebbero maggiore effetti persuasivi le relazioni interpersonali che i mezzi di comunicazione. Le conversazioni infatti sono più flessibili dei messaggi recepiti attraverso i media, possono essere modificate rispetto all’interlocutore che abbiamo di fronte.  Si è capito così che gli individui non sono isolati socialmente come pensavano le precedenti teorie sugli effetti dei media e soprattutto che i messaggi recepiti vengono sempre mediati e influenzati dalle relazioni sociali. Gli individui più preparati e informati assumono così il ruolo di Leader d’opinione di un gruppo sociale, essendo in grado di influenzare gli altri membri della comunità grazie alla loro conoscenza diretta.

Ecco quindi che l’autore del pettegolezzo si configura come una persona informata di ciò che succede all’interno di una comunità e quindi è il leader d’opinione, ma soprattutto una persona che grazie alle dirette relazioni sociali con gli altri membri del gruppo è in grado di far aderire gli altri alla propria opinione pur non avvalendosi di nessun mezzo di comunicazione se non sé stesso. 

Mezzi di comunicazione e Pettegolezzi

Il rapporto che lega i mezzi di comunicazione con le voci e i pettegolezzi è piuttosto ambiguo.

A volte i mezzi stessi si fanno paladini della lotta contro le chiacchere, mentre a volte si fanno prendere  e confondere da esse, sottostando ai loro meccanismi contorti.

Può capitare che i giornalisti, magari mossi da motivazioni personali, esagerino nello svolgere il loro ruolo di informatori divenendo dei veri e propri trampolini di lancio per l’amplificazione e l’espansione di voci di poca consistenza che però attirano un così vasto pubblico (pensiamo alla diffusione di periodici di stampa scandalistici). In questo caso si può affermare che siano gli stessi informatori a subire una sorta di manipolazione e di pressione. 

La curiosità che alimenta la gente rispetto ai fatti altrui, sia che si tratti di personaggi famosi come per la stampa scandalistica, che di perfetti sconosciuti protagonisti di un reality show, è il cardine del profitto economico che i mezzi di comunicazione sono in grado di fare sfruttando la potenza sociale del pettegolezzo.

Bibliografia

  • Fattorello F., La teoria della Tecnica sociale dell’informazione, a cura di G., Ragnetti, QuattroVenti, Urbino, 2005
  • Marcarino A., Il “pettegolezzo” nella dinamica comunicativa dei gruppi informali, QuattroVenti, Urbino, 1997
  • Ragnetti G., Opinioni sull’Opinione, QuattroVenti, Urbino, 2006.

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