Cambia modo di pensare

Luciana Tariciotti

Cambia modo di pensare

MARCO AURELIO: LA VITA DI UN UOMO E’ CIO’ CHE I SUOI PENSIERI FANNO DI ESSA

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Il mondo di relazione in cui viviamo e a cui facciamo riferimento, è determinato sia dalle circostanze a noi esterne, dai nostri interlocutori, sia dai pensieri che abitualmente occupano la nostra mente.

Si potrebbe dire ”Dimmi quali sono i tuoi pensieri e ti dirò chi sei e che cosa fai”.

Il problema è che è tutt’altro che facile far capire all’altro i nostri pensieri, i nostri concetti, gli umori e i desideri.

E’ la difficoltà insita nei processi di comunicazione interpersonale.

I nostri pensieri sono frutto del nostro
irrinunciabile patrimonio genetico, della nostra esperienza di vita e della nostra acculturazione.

Già dalla fine del secolo scorso, l’uomo sembra vivere relazioni in cui tutti parlano ma nessuno ascolta l’altro: nasce così il senso di solitudine e di incomprensione che ci pervade; così il vuoto interiore è determinato dall’assenza di conferme significative provenienti dall’altro. Disturbi narcisistici, depressione sono i sintomi prevalenti da questa condizione.

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Il primo, comporta una crescente necessità di affermare se stessi nella ricerca di se stessi, il secondo sintomo rende l’individuo estraneo al mondo circostante. Essere ascoltati è affine con l’essere amati. Esprimere dei concetti che sono per noi importanti
e vedere che l’altro dimostra che sono altrettanto importanti per lui è un modo per comunicare affetto.

Bisognerebbe imparare dai bambini che in fatto di felicità, divertimento, serenità e spontaneità la sanno lunga ed invece noi adulti siamo sempre arrabbiati per qualcosa o per qualcuno, pessimisti, sfiduciati, insicuri e indecisi, mai soddisfatti.

Stanchezza, noia, stress diventano spesso i nemici primari della serenità fino al punto di polarizzare i nostri pensieri influenzando negativamente la nostra mente e la nostra vita.

Cosa concorre a renderci felici o infelici? a chi spetta a decisione?
Ebbene, spetta a noi! Siamo noi a deciderlo.

Se prendiamo coscienza di essere in grado di effettuare una scelta, allora dobbiamo lavorare per raggiungere la felicità.

Certo, a dirlo è più facile che a farlo ma non dobbiamo dimenticare che noi siamo unici nella nostra soggettività e pertanto non possono esserci soggetti esterni abilitati a mettere in discussione ciò che siamo senza una nostra condivisione di opinione

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Nella vita diamo troppa importanza al giudizio degli altri. Molti di noi si preoccupano talmente di quello che la gente potrebbe dire di noi che finiscono per agire non secondo i loro desideri, ma secondo le aspettative degli altri.

Un filosofo greco affermava con saggezza che non sono le cose a preoccuparci ma le nostre idee sulle cose.

Dobbiamo imparare l’arte del “ridefinire” cioè guardare in modo diverso la realtà, riuscendo a coglierne sempre gli aspetti positivi piuttosto che concentrarsi su quelli negativi, ad esempio, dopo un evento spiacevole è utile riflettere sulle risorse
personali che tale evento può aver messo in moto.

Queste considerazioni sono in grado di modificare la percezione e il vissuto delle persone, spostando l’attenzione su ciò che di positivo esiste.

Un’altra cosa che dobbiamo imparare è l’autostima.

Avere autostima significa essere coerenti delle proprie capacità, dei propri limiti e dei propri punti di forza.

E’ importante, quindi, avere una chiara e precisa consapevolezza, ci aiuta ad agire
coerentemente.

Per poter incrementare la stima di sé occorre agire su tre ambiti:

1) il rapporto con se stessi;
2) il rapporto con l’azione;
3) il rapporto con gli altri.

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Per cambiare il proprio rapporto con se stessi è necessario cambiare opinione su di sé e quindi è essenziale imparare a conoscersi, diventando consapevoli dei propri limiti, dei propri bisogni ed esigenze e anche delle proprie capacità – e in secondo luogo – pur continuando a sforzarsi nel modificare ciò che di noi può essere reso migliore –
bisogna riuscire ad accettarsi, evitando di pretendere una impossibile perfezione.

Per cambiare è indispensabile agire e quindi, modificare il proprio rapporto con l’azione.
In effetti è più funzionale al rinforzare la stima di sé, provare a raggiungere uno scopo, anche piccolo, piuttosto che continuare a procrastinare. E’ utile tener presente che tutti nella vita hanno sbagliato, sbagliano e sbaglieranno (nessuno è perfetto!) e che l’errore potrebbe essere considerato non tanto una catastrofe, quanto un ulteriore
occasione di apprendimento.

Infine, deve venirci in aiuto il linguaggio: per poter incrementare la stima di sé, infatti, è
particolarmente importante apportare modifiche migliorative anche al nostro rapporto con gli altri: occorre imparare ad esprimere bene con il linguaggio ciò che si pensa, quali sono i nostri desideri, quali sono i nostri sentimenti, cercando con ciò di non incappare in incomprensioni.

Farsi comprendere dagli altri non è né facile né scontato e occorre mettere in ballo tutta la nostra capacità di farsi accettare nel processo comunicativo dal nostro interlocutore (soggetto recettore) per sperare arrivare alla sua mente in una relazione di pensieri.

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Questo presuppone la capacità di essere empatici e di capire il punto di vista dell’altro, senza per questo trascurare il proprio. Un esempio emblematico lo possiamo trovare nella difficoltà di comunicazione che spesso si instaura tra genitore e figlio. Sin quando il figlio è piccolo il dialogo e l’ascolto sono gli elementi essenziali per la sua crescita, il suo sviluppo e la sua maturità.

Per instaurare una comunicazione efficace è importante ascoltarlo attentamente e non giudicarlo per fargli acquisire sicurezza e un buon livello di autostima.

Una fase dello sviluppo che mette a dura prova la comunicazione fra genitore e figlio è la fase adolescenziale. In questo periodo il rapporto tra genitore e bambino si deve trasformare tra adulto e adulto.

Il ragazzo ha due esigenze tra loro contrastanti: da un lato sente il bisogno di essere protetto dalla famiglia e vorrebbe restare bambino, dall’altra parte vuole differenziarsi e acquisire autonomia.

“Oggigiorno, i nostri giovani amano il lusso, hanno un pessimo atteggiamento e disprezzano l’autorità: dimostrano poco rispetto per i loro superiori e preferiscono la conversazione insulsa all’impegno: I ragazzi sono ormai i despoti e non i servi della casa; non si alzano più quando qualcuno entra; non rispettano i genitori, conversano tra di loro quando sono in compagnia di adulti, divorano il cibo e tirannizzano i propri insegnanti”.

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Queste affermazioni, che potrebbero essere attuali, risalgono a “SOCRATE” – IV secolo – A.C.. Non esiste crescita, né adolescenza, senza conflitti generazionali. L’incomprensione quindi, tra genitori e adolescenti non è quindi una novità.

E’ in questo momento che “la tecnica sociale fattorelliana” deve essere messa in pratica. Il soggetto promotore (in questo caso il genitore) deve studiare il soggetto recettore (figlio) (imparare a leggere il comportamento, la comunicazione verbale,l’atteggiamento, l’umore…….) ed infine cambiare le modalità comunicative, il soggetto promotore deve usare un metodo di comunicazione consono al figlio, (Formula di Opinione) individuare e verificare modalità alternative di comportamento così da trovare canali più
adatti e funzionali.

Si deve acquisire abilità nell’ascolto e nella riformulazione dei messaggi.
Favorire la comunicazione permette di superare i disaccordi e fa si che il ragazzo acquisisce più fiducia in se stesso, lo fa sentire capace, rispettato e considerato ed emotivamente più equilibrato e in grado di crearsi una propria identità. Avere la
consapevolezza e l’accettazione di appartenere a culture e mondi diversi favorisce la comprensione reciproca della diversa realtà dell’altro.

E’ difficile accettarlo ma la realtà è che, il genitore riesce a prevalere solo quando il ragazzo ha una scarsa personalità da non sopportare il dolore di una disarmonia con il genitore.

L’adolescenza del figlio deve essere uno stimolo per guardarci dentro, conoscerci e confrontare l’immagine che abbiamo di noi con quella che ci rimanda nostro figlio con il suo atteggiamento verso di noi.

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In conclusione, se desideriamo aiutarli a crescere dobbiamo acquisire la capacità di sostenerli a rendersi indipendenti da noi, dai nostri schemi mentali dai nostri pregiudizi per renderli liberi di crescere e vivere la propria vita.

Le favole e il vero lieto fine

Nicoletta Boriello

LE FAVOLE E IL VERO LIETO FINE

Analisi del libro “La principessa che credeva nelle favole.­ Come liberarsi del proprio principe azzurro” di M. Grad Powers, alla luce della Teoria Fattorelliana della Tecnica Sociale dell’Informazione

Indice

– Premessa
– La favola
– L’opinione che diventa convinzione
– Il sogno che si trasforma in incubo
– Il Sentiero della Verità
– Il Mare delle Emozioni come il fiume delle opinioni
– La Terra delle Illusioni come l’isola delle certezze
– La Terra di Ciò che è e la Valle della Perfezione
– Il Tempio della Verità e la pergamena sacra
– Il vero lieto fine

Premessa

Dalla lettura del libro “La principessa che credeva nelle favole ­ Come liberarsi del proprio principe azzurro” di M.G. Power, sono emersi molti punti di contatto con alcuni aspetti della teoria fattorelliana e il presente lavoro ha come obiettivo quello di metterli in luce.

Nella prima parte del lavoro verrà fatta una descrizione generale della storia e un’analisi complessiva.

Nei paragrafi successivi si andrà nello specifico e verrà ripercorsa l’intera storia della protagonista, attraverso alcune frasi estrapolate dal libro.

E’ proprio mediante le citazioni estratte dai vari capitoli che verranno messe in risalto, spiegandole di volta in volta, le analogie del pensiero espresso dall’autrice con la Teoria della Tecnica Sociale dell’Informazione di Francesco Fattorello.

La favola …

Il libro “La principessa che credeva nelle favole. ­Come liberarsi del proprio principe azzurro” ha come protagonista una principessa, di nome Victoria.

Il genere narrativo è quello di un romanzo, anche se la narrazione ha ben poco di realistico ed assume sempre più le sembianze di una favola, vedendo l’ingresso in scena di elementi fantastici, personaggi fantasiosi e situazioni irreali.

Victoria è una bambina che cresce con la convinzione che la vita risieda nel magico mondo delle favole, in cui tutti vivono per sempre felici e contenti.

Durante i suoi primi anni di vita tutte le sue aspettative risiedono nell’incontro con il principe azzurro, un ragazzo forte, coraggioso, bellissimo e affascinante, con il quale vivere il resto dei suoi giorni, felice e contenta.
Questo sogno di vita fantastica è costruita ed alimentata dai suoi genitori e dal contesto reale nel quale vive: intorno a lei tutto le fa credere che il suo sogno incantevole sia la realtà alla quale è destinata.

Victoria è anche una bambina molto allegra ed esuberante e questa sua vivacità la esprime attraverso una amica immaginaria, Vicky, un suo alter ego, che spesso la mette nei guai poiché tende a far fuoriuscire quel lato spensierato, leggero, proprio di
una qualsiasi bambina della sua età, che la famiglia reale non può tollerare.

I genitori cercano di chiudere la sua esistenza all’interno di schemi rigidi e così facendo limitano la sua persona, la quale scalpita per emergere, ed il risultato è che la principessina si sente spesso in fallo e, al contempo, in colpa per non riflettere le aspettative dei genitori e per non essere la persona che dovrebbe essere.

Il suo istinto è calpestato dalla razionalità indotta dall’ambiente familiare che la circonda e così Victoria decide di schiacciare del tutto Vicky, chiudendola in uno sgabuzzino, e di crescere seguendo le regole imposte dal Codice reale, facendo divenire esse proprie convinzioni.

E così la voglia di cantare, di danzare, l’affetto smisurato per il suo cane, le sue emozioni, la sua sensibilità, la sua fantasia, i suoi sentimenti vengono del tutto annullate.

Tutto scorre secondo copione, Victoria si diploma, si iscrive all’università, incontra il suo Principe azzurro, il dottor Sorriso, perfetto come nel suo immaginario, si laurea, si sposa ed inizia la vita comune in uno splendido palazzo.
Il suo destino sembra così realizzato e la favola sembra esser giunta alla classica conclusione “…e vissero per sempre felici e contenti”. Ma succede qualcosa.

Il Principe inizia a dubitare dell’amore di Victoria, che invece lo adora In un primo momento questi ama la sensibilità della moglie, apprezza le sue doti, e la spinge a seguire le sue aspirazioni personali; successivamente le fa pesare di essere come è e di fare ciò che fa, accusandola di pensare solo a se stessa e dubitando del suo amore e, sottoponendola a un ricatto morale piuttosto subdolo, condiziona le sue scelte.

Lo splendido dottor Sorriso diventa l’orribile signor Nascosto: in alcuni momenti, che diventano sempre più frequenti, l’adorabile Principe si trasforma in un uomo burbero, arrogante, sfrontato, irrispettoso della sua sposa, e toglie a Victoria e a se stesso tutta la serenità e la felicità che li aveva accompagnati fino a quel momento.

La Principessa è completamente succube del Principe, cerca di fare ogni cosa per farlo guarire e si sente addirittura lei la responsabile di quella situazione, convinta da un’idea del marito. E’ qui che inizia il suo percorso.

Sbigottita, turbata, incredula e colpita dal fatto che la vita non è come quella sognata da bambina, che il principe non è poi così azzurro, e che la felicità non è implicita nella favola, decide di affidarsi ad uno strano personaggio ed intraprendere un percorso
che la porta a scoprire se stessa e la verità.

Lo strano personaggio è un gufo, il dottor Henry Herbert Hoot, per gli amici Doc, il quale fornisce a Victoria numerosi spunti di riflessione e una guida da sostituire a quella reale: “Una guida per vivere sempre felici e contenti”.

La ragazza inizia a prendere in considerazione la possibilità di vivere felice e contenta anche senza esser salvata da un principe azzurro. Si convince ad intraprendere un viaggio e si incammina sul Sentiero della Verità, costituito da diverse ambientazioni in cui incontra vari personaggi, ognuno dei quali risveglierà una parte di lei, mostrandole un pezzettino di quel mosaico che la porterà alla verità.

Victoria attraversa il mare delle emozioni, la terra delle illusioni, il campeggio per viaggiatori smarriti, la terrà di ciò che è, il viale dei ricordi e la valle della perfezione, fino a raggiungere al tempio della verità.

A poco a poco comprende quali sono stati i suoi errori, e cioè l’aver trasformato le sue opinioni in convinzioni, l’essersi chiusa all’interno di schemi mentali troppo rigidi, l’aver seguito sempre e solo le mappe precostituite della sua mente, l’aver smesso di cercare, il non aver reciso il legame condizionale tra esperienza e percezione, l’aver confuso l’amore per una persona con l’amore per la storia sempre sognata, l’aver concesso un amore che era sbagliato in partenza, perchè privo dell’amore per se stessa.

Durante il percorso smonterà ad una ad una le credenze e gli stereotipi negativi da cui era stata condizionata fino a quel momento, per giungere infine al tempio della verità, dove è custodita la pergamena sacra. Una volta superati i portali del tempio, Victoria cambierà per sempre, la pergamena sacra risveglierà la sua mente e libererà il suo cuore e le farà comprendere dove è che risiede la felicità.

E solo in quel momento capirà che le favole sì, esistono e sì, si realizzano, ma in un modo diverso da come si è sempre abituati a immaginarle e che il lieto fine la sta aspettando.
 
L’opinione che diventa convinzione 

“C’era una volta una tenera principessina dai capelli dorati di nome Victoria, fermamente
convinta che le favole prima o poi si avverino, e che le principesse siano destinate a vivere per sempre felici e contente. La piccola credeva nella magia dei desideri, nel trionfo del bene sul male e nell’amore che vince ogni cosa: le sue convinzioni si basavano infatti sulla saggezza delle favole.

[…]
“Arriverà mai il mio principe?” chiese una sera alla regina, spalancando per la meraviglia e l’innocenza gli occhioni color ambra. “Sì, cara, un giorno arriverà. […] Sarà come lo sogni, e ancora più incantevole. Sarà la luce della tua vita, la tua ragione di vita, perchè così è scritto nel libro del destino.” “E vivremo sempre felici e contenti, come succede nelle favole?”
[…]“Proprio come nelle favole.” ”

Balza all’occhio l’adesione di Victoria alla formula di opinione che le propone sua madre. La forma dell’opinione è il modo in cui un soggetto manifesta il suo punto di vista su un problema determinato, problema che costituisce invece la materia dell’opinione.

Spesso colui che opina non è in grado di riflettere su un problema di opinione che gli viene posto, ma si trova di fronte a formule di opinione precostituite, innanzi alle quali si preoccupa solo di aderirvi. In questo caso Victoria, una bambina, si trova di fronte all’enigma del futuro, della vita, dell’amore e della felicità da raggiungere, e, come afferma Stoetzel, fa le prime esperienze sociali con l’ambiente che la circonda.

Il suo orizzonte è limitato, non conosce molto i misteri e gli inganni dell’ambiente in cui si troverà, e così resta ferma su di sé e non può far altro che aderire ad un’opinione già costituita, che è quella che esprime sua madre. Victoria balla nella sua camera, in presenza della cameriera, sognando il principe azzurro.

“Ma la principessa era così assorta che non badò affatto alla madre, fino a quando questa non gridò alla cameriera di andarsene. “Victoria, come hai potuto inscenare uno spettacolo così indegno? […] e come se non bastasse, davanti a un membro della servitù!”

Mortificata, la bambina si chiese com’era possibile che una cosa così bella fosse invece riprovevole.”
Victoria torna dal giardino e canta spensierata una canzone, seguita dagli uccelli che la seguono, e non sente arrivare il padre.

“Victoria” la chiamò in tono rabbioso, marciando deciso verso di lei. “Smetti subito di fare baccano! Non ne abbiamo già discusso più volte? Perchè non mi dai mai retta?

[…] Il tuo canto è rivolto agli uccelli! Ecco a chi è destinato! E il fatto che quelle infernali creature si radunino in terra e volino dentro e fuori dalle finestre del palazzo, facendo un clamore
spaventoso ogni volta che tu dai inizio alle tue esibizioni vocali, ne è la prova lampante.

[…] Fateli uscire subito! Ho il salone pieno di dignitari stranieri, e non riusciamo quasi a sentirci con questo baccano assordante che tu chiami canto!”

Soddisfatto, il re si girò e si diresse verso la porta da cui era appena uscito, ma all’improvviso apparve Timothy Vandenberg III (il cane di Victoria) che, abbaiando come un pazzo, gli tagliò la strada di corsa e per poco non lo fece cadere. “Guardie!” urlò il monarca. “Allontanate questo bastardo dal palazzo e assicuratevi che non vi faccia mai più ritorno!

[…]
Victoria riuscì a dominare la rabbia che l’agitava, e non disse nulla. Venne però tradita dall’espressione del suo viso.
“Sai che non devi comportarti così!” la rimproverò la madre, notando la sua aria cupa. “Vai subito in camera tua e ripassa il Codice reale, soprattutto i punti che parlano del comportamento degno di una signora e dell’indecente manifestazione delle proprie emozioni. E non uscire finchè non saprai sorridere di nuovo!”
[…]

Il Codice reale stabiliva il modo in cui la principessa doveva apparire, agire e parlare in qualunque momento; indicava come avrebbe dovuto pensare, e decretava con estrema precisione ciò che lei non avrebbe mai potuto provare e sentire, (e che invece lei provava e sentiva spesso). In nessun punto le spiegava però come avrebbe potuto smettere di comportarsi male, e lei non riusciva a fare a meno di chiedersi perchè mai dovesse fare la principessa.

“Sei convinta che sia tutta colpa mia come al solito, vero?” le chiese Vicky, la vocina che proveniva da un angolo profondo del suo essere.

[…] Sorridere mentre dentro di sé piangeva era una delle sue lezioni più difficili, e lei era decisa a impararla. Si costrinse quindi a esercitardi a sorridere davanti all’enorme specchio dalla cornice di ottone.

[…] “Ormai sei tropppo grande per queste cose” si fece sentire di nuovo la regina (riferendosi all’esistenza di Vicky). “E’ ora che impari la differenza tra ciò che è reale e ciò che non lo è, altrimenti la gente comincerà a spettegolare. 

“Non mi importa di quello che dice la gente. Vicky parla, ride, piange e sa cosa sono i sentimenti.  Le piace cantare, ballare, sognare e…” Il re era furioso.

[…] La piccola non sopportava l’idea di vedersi riflessa nei loro occhi, perchè quell’immagine le mostrava in continuazione tutto quello che c’era in lei di sbagliato.

[…] La regina tornò alla carica: “Le principesse devono essere forti, veri modelli di perfezione reale. Ormai dovresti saperlo: c’è un modo giusto e uno sbagliato di essere, di comportarsi e di provare le emozioni e tu devi imparare la differenza una volta per tutte, mia cara signorina!” 

Questa serie di dialoghi riportati rappresentano l’annullamento di Victoria come persona particolare e dei suoi sentimenti, operato attarverso il ricatto morale e il conseguente condizionamento. Sempre tornando a Stoetzel e alla sua analisi dello sviluppo della personalità umana, l’individuo, e in questo caso Victoria, crescendo, tende ad allargare i propri orizzonti, ad
avere degli interessi, a fare sue le norme sociali attorno a questi interessi e ad affermare le proprie intenzioni personali.

Questo è quello che sta accadendo in Victoria, la quale però viene richiamata a quei preconcetti e a quegli schemi mentali imposti dall’ambiente, dallo stato economico e dal luogo.

Victoria, furiosa, rivolta a Vicky: “Vai subito lì dentro!” le ordinò, indicandole un ripostiglio pieno di abiti posto sull’altro lato della stanza. “E non voglio più sentire i tuoi pianti e le tue lamentele!” 

Così dicendo, la fece scendere dal letto e la trascinò urlante attraverso la camera per poi spingerla nello sgabuzzino che si affrettò a richiudere. Con lo stesso tono di voce che aveva sentito usare mille volte dalla regina, le disse: “Lo faccio per il tuo bene.” Infilò la chiave d’oro nella serratura e la girò con aria decisa.

[…]La primavera seguì l’inverno, l’estate lasciò spazio all’autunno, e Victoria fiorì, trasformandosi in una deliziosa giovane donna, dolce e graziosa come ogni principessa che si rispetti. Si diplomò con onore alla Royal High Academy of Excellence, ma con ogni probabilità il risultato più grande che ottenne fu l’acquisizione della capacità di dire, fare, pensare e provare esattamente ciò che stabiliva il Codice reale.

[…] Sapeva già dov’era diretta: per prima cosa avrebbe frequentato l’Università Imperiale, in modo da acquisire un’educazione degna di una principessa e una laurea, e sarebbe poi finita in un palazzo tutto suo nel quale avrebbe vissuto per sempre felice e contenta insieme al Principe azzurro.”

Victoria, all’Università, incontra un ragazzo, un principe. “Quella visione dall’aspetto così virile, dai capelli corvini, le spalle e il petto ampi, era forse ciò che aveva aspettato per tutta la vita? Sembrava adattarsi alla perfezione ai suoi parametri: era un principe bello e affascinante, e aveva abbastanza coraggio da tentare un approccio.”

Victoria fa uscire Vicky dallo sgabuzzino e permette al principe di conoscerla. “Frequentando Vicky, il principe mostrò infatti di apprezzarla. Gli piaceva la sua sensibilità nei confronti di tutti coloro che la circondavano, condivideva i suoi sogni e amava sentirla cantare. 

[…] Nel pomeriggio di giugno in cui Victoria si laureò, il principe conquistò per sempre il suo cuore, e lei accettò di sposarlo.
Pochi giorni prima del matrimonio, la principessa tutta eccitata cominciò a impacchettare le sue cose.

[…] Sbirciò il Codice reale appeso alla parete, pensando che non era necessario prenderlo: ormai lei era diventata quel Codice!” 

E’ in questa parte della storia che Victoria trasforma le sue opinioni in vere e proprie convinzioni.

Innanzi tutto appare evidente come Victoria si omologhi a quello che è lo status di principessa. Si affilia a questa idea, adotta gli stereotipi di questo status e i suoi non sono tanto giudizi ed azioni coscienziose, quanto un modo di uniformarsi a quello che è il suo gruppo sociale, adottando un comportamento in armonia con quest’ultimo.

E’ per l’adesione a stereotipi come questi che spesso l’essere umano si sente affiliato ad un gruppo e quando esso esprime la sua opinione, questa sarà in pieno accordo con il suo gruppo sociale di appartenenza, perchè gli stereotipi di quella categoria sono
ormai permeati dentro di lui.

Victoria rappresenta l’individuo che si trova a esprimere giudizi non tanto sulle cose, quanto sulla rappresentazione di esse. L’individuo che crede di avere delle opinioni personali sulle cose del mondo mentre in realtà le opinioni che si sono formate nella sua mente e con le quali si esprime giudizi sono solamente sulla rappresentazione delle cose del mondo.

Tali stereotipi possiedono una grande forza di persuasione che non permette alla percezione della realtà fenomenologica di essere libera.

Molto spesso, e Victoria ne è una rappresentante, è più semplice accettare la rappresentazione, lo stereotipo, piuttosto che formarsi un’opinione del tutto personale. Inoltre, in questi estratti, emerge un altro aspetto importante dell’opinione, che la porta a trasformarsi in convinzione.

L’opinione è caratterizzata dalla mutevolezza, dalla contingenza, è un qualcosa di involontario che non è provocato dall’evidenza di un oggetto, bensì si forma, come già detto, sulla rappresentazione che il singolo ha di quell’oggetto.

Per questo l’adesione ad un’opinione non sarà mai totale, bensì soggetta a modifiche, a dubbi, perchè la paura di sbagliare è implicita nell’opinione stessa. Per questo motivo l’opinione si trova sempre al di sotto della certezza, caratterizzata invece da stabilità e fermezza.ì Si finisce così con l’esprimere una opinione per uscire dal dubbio e dall’irrequietezza che esso provoca. L’opinione viene quindi vista come un pronto soccorso del cervello umano a cui esso ricorre per alleviare le sofferenze rappresentate dall’inquietudine. E’ per questa funzione salvifica che la mente umana aderisce completamente ad un’opinione, confluendo in una convinzione.

L’intelletto in questo modo sente di aver raggiunto la quiete, ma in realtà si tratta di una illusione in quanto nella convinzione non si può riposare così come nella certezza. Convinzione e certezza sembrano dare lo stesso effetto di tranquillità ed è per questo che spesso si confondono. Ma la convinzione non è e mai potrà essere certezza, in quanto è un artificio strumentale, una costruzione mentale, irrazionale e del tutto soggettiva. Ed ecco che si cade in fallo, come fa Victoria, perchè ognuno di noi crede di possere la verità, ma in realtà si tratta di una verità costruita che poggia su basi molto instabili, contingenti e non necessariamente vere.

Il sogno che si trasforma in incubo.

Una compagnia teatrale sta tenendo le audizioni per lo spettacolo di Cenerentola.

“Il principe, rivolto a Victoria: “Io credo che dovresti farlo. Sei incredibilmente brava, chiaro?”

[…] La principessa si presentò all’audizione, e ottenne il ruolo da protagonista.

[…] Victoria recitò una splendida Cenerentola, e al termine ricevette un caloroso applauso dal pubblico che si alzò ad acclamarla.Victoria pensa di seguire il consiglio di un critico teatrale e di presentarsi ad un grande teatro per avere un posto. Il principe:“L’otteresti senza dubbio. […] Sarai così richiesta che non avrai più tempo per me.

[…] E il nostro matrimonio finirà. […] Non voglio che tu faccia niente del genere… ti prego.

Victoria era sbalordita e al tempo stesso delusa, ma la sua priorità era rappresentata come sempre dal marito; senza la minima esitazione decise quindi di rinunciare all’idea di tornare sul palcoscenico.”

Il principe assume dei comportamenti completamente diversi da quelli soliti, dolci, propri del dottor Sorriso. Ha degli sbalzi di personalità e diventa burbero, dice delle cose orribili allamoglie.

“Che cosa ti sta succedendo?” “Non lo so, è come se qualcuno prendesse il sopravvento su di me… non capisco proprio.” […] “Il dottor Sorriso diventa il signor Nascosto!” […] “ Deve trattarsi di un incantesimo o qualcosa del genere.” […] “Ti prego, aiutami” la implorò, afferrandole disperato le spalle. 

“Certo che ti aiuterò, tesoro mio” lo rassicurò Victoria. […] Quando c’era il signor Nascosto, lei si preoccupava e si chiedeva quanto tempo dovesse passare prima che ripartisse; se c’era il dottor Sorriso, si preoccupava lo stesso, e si domandava quanto sarebbe rimasto. E ogni volta che si ritrovava da sola, pensava con timore a chi di loro sarebbe arrivato per primo, e cercava di immaginare come fermare i tremori, lo stomaco sottosopra, il senso di soffocamento e il dolore.” […]

Il Principe rivolto a Victoria:

“Ho capito chi è stato a colpirmi con il maleficio! […] Sei stata tu”
“Io? L’unica che ha sempre cercato di aiutarti, che ti ha…” […] “Non so nemmeno come si fa una cosa del genere”

“Non importa io so che è colpa tua.” La principessa seguì il marito, implorandolo di ascoltarla, che uscì invece come una furia dalla cucina, rischiando di farla cadere e sbattendo la porta. Victoria: “Stai bene? Che cosa ti è successo?”
“Tu, mi sei successa! E’ tutta colpa tua!” […]

Victoria e Vicky parlano tra di loro.

“Vicky: “Forse… forse l’incantesimo malvagio è davvero colpa nostra. E può darsi che ogni cosa sia colpa nostra.” “Non so più cosa pensare” sospirò Victoria. “Sono stanca, troppo stanca…” […]“Forse c’è un fondo di verità in quello che dici, Vicky. Non possiamo rischiare.

Temo che dovremmo impegnarci ancora di più per non fare o dire qualcosa che potrebbe evocare il sortilegio.” “Ma come possiamo aumentare i nostri sforzi?” “Dovremo essere brave, anzi, più che brave… perfette!” “Io non ci riesco.

Avevo già provato con il re e la regina, ricordi? Non posso mostrarmi migliore di come sono.” “Temo che dovrai mettercela tutta, e questa volta devi farcela, altrimenti il principe ci lascerà.” 

Giorno dopo giorno la principessa si sforzava in tutti i modi di essere perfetta, in modo da evitare stregonerie. Nonostante ciò Vicky, ancora sofferente per non essere mai stata abbastanza brava da guadagnarsi l’amore del re e della regina, e tuttora perseguitata dagli incubi che le ricordavano il lungo periodo trascorso nello sgabuzzino , non voleva correre alcun rischio con il principe, e trascorreva ogni singolo istante cercando di essere brava, anzi, migliore per non dire perfetta, rischiando però di far impazzire Victoria.” 

Victoria si rende vittima del principe e accetta in pieno il suo ricatto. Viene condizionata dall’immagine che ha di lui e da tutto quello che è sempre stato il suo sogno.

E’ emblematico il passaggio in cui Vicky si sente inadeguata, così come da bambina era accaduto con i genitori, e si sente colpevole.

Victoria rinuncia a tutto pur di far contento il suo principe e in questo modo non ascolta se stessa bensì rinuncia anche a se stessa, non ottenendo tra l’altro alcun margine di miglioramento.

Di nuovo, si annichilisce, annulla ogni suo sentimento, ogni sua individualità e quando arriva il signor Nascosto, finisce per autoaccusarsi della situazione.

Si fa carico di ogni responsabilità, distorcendo la realtà. Si vede riflessa negli occhi dell’altro e non è libera di vedere e di guardare con i propri occhi.

Ogni suo pensiero è rivolto al principe e all’immagine che esso rappresenta. Qui ci si ricollega al tema delle mappe mentali e delle reti associative.

Ogni persona ha la sua mappa, con le sue priorità. Quando arrivano degli stimoli dall’esterno, questi sono percepiti in maniera del tutto soggettiva, il filtro percettivo che abbiamo dentro di noi permette di far entrare tutto ciò che è in sintonia con l’attività intellettuale del momento.

La percezione, che altro non è che l’elaborazione automatica, inconsapevole e condizionata degli stimoli sensoriali, è influenzata da quanto è già presente nella nostra mente. Lo stimolo viene appreso e riconosciuto attraverso la rete associativa, che ci porta
quindi a ritenere che la nostra percezione sia quella giusta.

Le reti associative sono di tipo cognitivo, quelle che permettono l’apprendimento, e di tipo emotivo, quelle che ci consentono di rivivere emozioni già provate e che si basano sul riconoscimento.

In questo modo è evidente come le reti associative siano una condanna perchè causa determinante del pregiudizio, della presunzione di essere nel vero, precludenti della conoscenza. Sono gli schemi mentali precostituti che impediscono all’individuo di avere occasioni di crecita e di fare nuove esperienze.

Bisognerebbe uscire da tali schemi ed evitare di farsi condizionare dalle percezioni preesistenti.

Il sentiero della Verità

“Principessa, le cose non sono sempre come appaiono.” in quel preciso istante un gufo discese volteggiando come una piuma sul terreno, battè le ali, raddrizzò lo stetoscopio che aveva appeso al collo, e depose con cura una valigetta nera
vicino alle zampe. […] “Sono il dottor Henry Herbert Hoot, ma gli amici mi chiamano Doc.”
[…] “Forse non soffriresti così tanto se ascoltassi più spesso la tua musica personale” le suggerì il gufo. […]“Puoi guarire il mio cuore?” “Temo di no, principessa. Solo tu puoi riuscirci.” […] “Se solo riuscissi a trovare il modo di eliminare il maleficio, sarei di nuovo felice e tornerei a cantare con gli uccellini, e a questo mondo andrebbe tutto bene.

Devi aiutarmi, Doc. Io ho provato di tutto, ma non ha funzionato niente.” “Hai ragione, non funziona niente. […] So cosa occorre: il nulla. […] Il nulla è qualcosa che non hai ancora tentato. Devi smettere di fare qualunque cosa e cominciare a non fare e non dire nulla: niente spiegazioni o difese, non sistemare la situazione, non implorare, chiedere scusa, minacciare, preoccupato o restare alzata di notte a pensare, programmare ed elaborare.

Hai capito? […] Il principe è troppo occupato a cercare di capire cosa non va in te per sforzarsi di vedere cosa non funziona in lui. Se tu non fai nulla, è probabile che si accorga che lui sta facendo qualcosa.”

Victoria: “Non posso fare a meno di cercare di aiutare il principe. Che ne sarà di lui?” “Che ne è stato di lui con tutto quello che hai detto e fatto finora? E che ne è stato di te?” […] “L’unico che può compiere una magia che riguarda il principe è il principe stesso. […] E voi siete in grado di fare qualcosa per voi stesse.”

Doc dà a Victoria un libro: “Una guida per vivere sempre felici e contenti – Per le principesse che non ne possono più di essere sempre stanche morte.” “Tieni bene a mente che leggere il libro è solo l’inizio” l’avvertì Doc.

“Affinchè le cose possano cambiare, tu stessa devi cambiare.” “Io?” ribatté lei. “Ma è il principe a dover cambiare!” “Questo deve deciderlo lui.”

[…] “Finchè continui a fare quello che hai fatto finora, continuerai a ottenere quello che hai ottenuto” le spiegò Doc. “Non devi più fare quello che non funziona. […] Devi scegliere di essere felice, e non di avere ragione.”

 “Doc: “Occorre lasciar perdere il senso di impotenza e accogliere lo spirito di accettazione. […] L’amore fa star bene. In caso contrario, si tratta di un sentimento ben diverso.

Se soffri più spesso di quando sei felice, vuol dire che non è amore, ma qualcosa di differente che ti tiene intrappolato in una sorta di prigione, e ti impedisce di vedere la posrat verso la libertà,
spalancata davanti a te.

[…] Puoi percorrere il Sentiero della Verità.” “Ho già imparato alcune cose a proposito della verità” commentò Victoria in tono pacato. “Ed è che le favole non si avverano, e la certezza di vivere per sempre felici e contenti non è altro che un sogno infantile.” “al contrario, le favole si realizzano, ma sono spesso diverse da come le si uò intendere in un
primo momento. Il tuo lieto fine ti sta aspettando lungo il sentiero.”

“Davvero?” esclamò lei, raggiante. “una favola diversa?”

La principessa non aveva mai preso in considerazione la possibilità di vivere felice e contenta anche senza essere slavata da un coraggioso e affascinante Principe azzurro, arrivato al galoppo su uno stallone bianco, che se la sarebbe portata via nella luce del tramonto. Con un sospiro aggiunse: “In passato ho creduto che la felicità mi stesse aspettando, e guarda invece dove sono finita…”

Victoria, sotto consiglio di Doc, decide di partire, di percorrere il Sentiero della Verità, che le permetterà di conoscere se stessa.

“Ricordati di seguire il sentiero, qualunque cosa accada, e di cercare la verità che ti aspetta in fondo a esso. Non permettere a niente e nessuno di distoglierti dalla ricerca della verità che può guarirti. Quando si percorre il sentiero, la verità diventa sempre pi chiara. Seguila fedelmente, e alla fine raggiungerai il Tempio della Verità, dov’è custodita la pergamena sacra.

[…] La pergamena sacra risveglierà la tua mente e libererà il tuo cuore; troverai pace e serenità, e conoscerai il segreto del vero amore, quello che hai sognato per tutta la vita. E sarai a buon punto anche per ciò che riguarda la realizzazione della tua favola.”

Il passo successivo consiste nell’acquisire la consapevolezza che la percezione è influenzata dagli schemi precostituiti e dall’esperienza. E il punto è proprio quello di riuscire a vedere questo legame condizionale che l’uomo pone a se stesso come limite di crescita e di conoscenza.

Si tratta infatti di un circolo chiuso del sistema percettivo dell’individuo, circolo in cui la percezione alimenta l’esperienza, la quale, a sua volta, condiziona la percezione.

Bisogna operare un taglio, e slegare il legame condizionale tra esperienza e percezione. E’ quello che fa Victoria e che emerge chiaramente dagli estratti illustrati.

A questo punto, dopo aver compreso quanto spiegato precedentemente, bisogna ritornare sull’opinione, sui pregiudizi e capire quale è il percorso per liberarsi del tutto da questi e dai condizionamenti e per allegerire il cuore.

Victoria lo fa attraverso il cammino sul sentiero della verità, imbattendosi in una serie di luoghi e di personaggi che le mostreranno la realtà delle cose.

Il Mare delle Emozioni come il fiume delle opinioni

“ Terrorizzata e senza fiato, la principessa venne così scagliata nel Mare delle Emozioni. Pietre aguzze e rami rotti le turbinavano intorno nell’acqua ghiacciata mentre lottava disperatamente per rimanere a galla.

Una forte corrente sotterranea pareva tirarla per i piedi, e le gocce di pioggia le cadevano implacabili sul viso e sulla testa.  “Annegheremo di sicuro!” gemette Vicky, tr un sorso e l’altro di acqua salata. […] Si sentì risucchiare sul fondo del mare, e a un tratto le parve di scorgere qualcosa in lontananza.

[…] Era una semplice barca a remi, molto più piccola di quanto le fosse sembrato, e non c’era sopra nessuno. […] Non appena le fu accanto, si aggrappò a un fianco e cercò con tutte le sue forze di issarsi a bordo.

[…] Si inerpicò e cadde all’interno. […] Esausta, rimase immobile, sdraiata sul fondo della barca tarballante, sopra a due vecchi remi di legno. […] Il fondo della barca cominciò a riempirsi d’acqua.

[…] Victoria continuò a remare in silenzio e al mattino era così debole che non riusciva a muovere le braccia. L’imbarcazione si abbassava sempre più.” In quel momento appare un delfino, Dolly, al quale Victoria chiede di portarla in salvo. “Nessuno può salvarti, mia cara, né io né un principe o chiunque altro.

E’ un fatto che spesso sfugge anche a chi è bravo a capire le cose.” “Vorresti dire che mi lascerai annegare?” strillò la principessa, sbalordita. “No, voglio dire che tu ti lascerai annegare, adesso o la prossima volta, a meno che non impari a nuotare… tutto qui.

Anche se adesso ti carico sulla mia schiena e ti porto via dalla tempesta, depositandosi sana e salva sulla terrafer,a, sarebbe solo una questione di tempo prima che si scateni un’altra tempesta e tu ti trovi di nuovo in pericolo.

[…] L’unico modo per non annegare consiste nell’imparare e nuotare.” […] “Allora trascorrerai l’intera esistenza cercando di non annegare, così come stai facendo adesso, stando di vedetta e aspettando che la tua scialuppa di salvataggio ideale venga a salvarti una volta per tutte.” 

[…] “Non sei forse rimasta disperatamente aggrappata a qualcosa che minaccia di affondare e trascinarti con sé?” […] “Ti sei imbarcata in questo viaggio per evitare di andare a fondo con una imbarcazione che stava affondando.” 

[…] “A volte bisogna smettere di restare aggrappati, e occorre cominciare a muoversi.” […] “L’unica sicurezza durevole è quella che ci consente di sapere che siamo in grado di prenderci cura di noi stessi. Capite adesso per quale motivo dovete imparare a nuotare?” 

[…] Dopo innumerevoli tentativi,e grazie anche alle continue rassicurazioni di Dolly, la principessa riuscì finalmente a galleggiare sulla superficie dell’acqua. Pur essendo stanca e delusa, la principessa non aveva alcuna intenzione di darsi per vinta. “Non dobbiamo mai arrenderci ma solo accogliere.”

Nell’attimo stesso in cui la piccola accettò, la tensione abbandonò il corpo della principessa, che alzò lentamente un braccio e poi l’altro, con gesti colmi di grazia. La principessa divenne un tutt’uno con il mare sotto di lei, liscio come il vetro. […] E proprio allora apparve un lembo di terra. Victoria era sbalordita. “Ma da dove è uscita? Prima non c’era!” 

“C’era, c’era…” “Allora per quale motivo non riuscivo a vederla?” “Perchè la paura e il dubbio ci impediscono di vedere ciò che è ovvio” “

Vuoi dire che c’è sempre stata, ma io non la vedevo perchè ero troppo spaventata?” “Sì: hai dubitato della risposta del tuo cuore.” […] 

Lo sguardo della principessa corse sull’acqua sfavillante e si colmò di gioia: Victoria sapeva che
sarebbe riuscita a raggiungere la terraferma da sola.

Senti nascere in sé un improvviso senso di potenza, e una grande pace l’avvolse mentre le onde gentili le accarezzavano la schiena.”

Il mare delle emozioni, così descritto, riporta all’immagine del fiume delle opinioni, una metafora incotrata durante le lezioni sulla opinione della Tecnica Sociale dell’Informazione. E’ il primo step del percorso che porta l’individuo alla conoscenza, alla verità. Per spiegarlo si deve partire dal principio, e considerare tutta quella serie di stimoli esterni che colpiscono l’uomo. L’uomo, in base alla sua natura razionale e alla capacità di elaborazione, inizierà a riflettere sul problema. Si troverà cioè in mezzo al fiume delle opinioni, dal quale verrà trasportato, rischiando in taluni casi anche di annegare a causa delle forti correnti e dei numerosi pericoli che può incontrare. L’angoscia del dubbio, della paura, spingeranno l’uomo a cercare un riparo per metter fine all’afflizione, e per sentirsi al sicuro, per non continuare a soffrire. Il riparo è il pronto soccorso visto in precedenza, e qui è costituito dalla terra ferma, l’isola delle certezze.

 La Terra delle Illusioni come l’isola delle certezze

“Svegliatasi, la principessa sentì la sabbia calda sotto di sé, e tale sensazione non le era mai sembrata cos piacevole. Fece scivolare i granelli fra le dita, afferrandone una manciata: era tutto vero e reale, e questo voleva dire che era arrivata sana e salva a riva. 

[…] Il mattino dopo la principessa si rimise in marcia, e ben presto si trovò davnti un sentiero che si divideva in sue. Si fermò e sbirciò a sinistra: il viottolo, lungo e stretto, si inerpicava pigramente sul lato di una montagna che si scorgeva in lontananza. Non male, pensò. Guardò poi la via a destra, irta e stretta, tortuosa e disseminata di pietre, buchi, arbusti e alberi troppo cresciuti.

[…] Decise di non correre rischi inutili, prese dalla borsa la mappa della famiglia reale. “Andremo a sinistra” annunciò.

[…] Subito dopo aver imboccato il sentiero, la principessa si accorse che, sebbene il terreno sembrasse pianeggiante, lei aveva la netta sensazione di camminare in discesa. Ancora più strano era il fatto che quando raggiunse il punto in cui aveva intravisto una fonte a cui avrebbe voluto abbeverarsi, scoprì che non c’era alcune sorgente. 

[…] All’improvviso andrò a sbattere contro un masso enorme, posto proprio in mezzo alla via. Avrebbe giurato che non ci fosse finchè non vi inciampò…. […] Victoria:“Questo sentiero non è affatto come sembra. Io potevo vedere alcune cose che non c’erano, e non riuscivo a vederne altre che invece c’erano. Ho fatto una gran confusione.” 

[…] Doc: “Nella Terra delle Illusioni si vedono di rado le come sono.[…] Sappi che è il luogo dove tu hai trascorso gran parte della tua esistenza. […] Nella Terra delel Illusioni tutti si aggirano nella nebbia, che non è però l’elemento più importante: anche se dovesse splendere il sole, nessun riuscirebbe infatti a vedere cosa ha davanti al proprio viso.” 

[…] “Il viaggi è diverso per ognuno: un sentiero può essere giusto per una persona e sbagliato per un’altra. Solo il cuore di ogni singolo essere umano conosce la via. […] Quando ti sei trovata davanti il bivio, per capire come comportarti hai fatto affidamento sulle convinzioni di qualcun altro… ed è proprio così che una persona si perde.” […] 

Victoria giunge al Campeggio per viaggiatori smarriti dove incontra un uomo, Willie, il responsabile del campeggio.

“Willie:“Molta gente si perde seguendo la mappa di qualcun altro. E la maggior parte di loro finisce qui. […] La Terra delle Illusioni è un luogo piuttosto seducente, dove la gente vede solo quello che sceglie di vedere.

[…] Qui la gente ha il cervello ha un po’ annebbiato, e continua a macerarsi su quello che è o non è. Naturalmente non fanno altro che perdere temp, perchè nella Terra delle Illusioni nessuno può mai avere la ceretzza di ciò che è vero.” […] “La gente rimane per diversissimi motivi, soprattutto perchè è abituata a stare qui. In un certo strano modo, si sentono a proprio agio ocn la follia, con il fatto di non saper distinguere ciò che è o meno reale, con la capacità di vedere solo quello che vogliono e di sopportare la sofferenza.

Se dovessero andare da qualche altra parte non sparebbero cosa aspettarsi; preferisocno quindi evitare di correre rischi.” “Io so come scegliere i lsentiero giusto” dichiarò Victoria, convinta.

[…] “Io non voglio rimanere la stessa” esclamò Victoria, pensando a tutte le cose su cui doveva ancora scoprire la verità.

[…] Più pensava a tutte le cose che doveva ancora scoprire, più diventava ansiosa di raggiungere la Terra di Ciò che è.”

E così lascia il campeggio e si rimette in viaggio. La terra ferma è in realtà un’isola, con i contorni molto limitati, sulla quale non esistono certezze, bensì opinioni trasformate in convinzioni. Come già visto, le convinzioni hanno la consistenza delle certezze, ma non sono tali; per questo diventano illusioni.

Emerge anche un altro aspetto importante che è quello dell’affidarsi alle mappe altrui, allontanandosi da se stessi e diventando incapaci di ascoltare il proprio cuore. Ogni essere umano ha un suo percorso, ha delle sue caratteristiche, è un pezzo unico. Ed è importante capirlo.

Si può vivere tutta la vita sull’isola delle certezze, in un mondo in cui si vede solo quello che si vuol vedere, oppure si può scegliere di abbandonare l’isola, ributtandosi nel fiume delle opinioni, cercando un attracco che sia fermo sul serio e che rappresenti la certezza e la verità.

La Terra di Ciò che è e la Valle della Perfezione

“Poi avanzò decisa e si trovò di fronte a un cartello che diceva: “Terra di Ciò che è ­ sempre dritto”

Victoria, rivolgendosi a Vicky: “Io voglio amarti come sei. Perchè un melo deve produrre le mele e le tartarguhe devono avere il guscio, perchè un bruco dentro di sé è una farfalla, e le canzoni di tutti gli uccellini sono splendide.”

Victoria incontra una donna, il mago di Ciò che è, la quale la porta lungo il Viale dei Ricordi e le fa rivivere il passato, mostrandoglielo per quello che è.
Mago di Ciò che è: “Molti hanno dei preconcetti in merito a come devono essere le cose, a come sono state o saranno. Tali concetti impediscono loro di vedere le cose come stanno. A volte si tratta di una condizione decisamente grave.”

[…] “Non si può imparare la verità da un altro: bisogna scoprirla da soli.”

[…] “Quando permetti ai giudizi degli altri di diventare più importanti dei tuoi, finisci per cedereil tuo potere.”

[…] “Gli anni sono passati, al pari dei pericoli, adesso non corri più alcun rischio a essere così come sei.”

[…]La guidò in cima a una collina. “Ti presento uno dei panorami più spettacolari sulla facia della terra… la Valle della Perfezione” 

“Questo significa che laggiù tutto è perfetto?” “Sì!” 

Scendono giù nella valle. Nel frattempo la principessa continuava a guardarsi intorno, e più guardava, più si accorgeva
che niente era perfetto come le era sembrato in lontananza, e la sua delusione continuava a crescere.

“E’ senz’altro un bel posto, ma osservando da vicino ti accorgi che i cespigli non sono poi così verdi, gli laberi sono mediocri, il laghetto non è molto limpido… questa fragola è acida! Non c’è proprio nullal di perfetto qui!” “La perfezione, come la bellezza, è negli occhi di chi la guarda. Ogni cosa è come dev’essere” la rassicurò il mago. “E’ questa la perfezione: e il tuo modo do percepirla ad essere difettoso.”

[…] “Quando accetti il miracolo di chi sei e ami te stessa senza condizioni, cambiare le cose che devono essere modificate ti risulta molto più facile. Alcuni aspetti che hai sempre pensato di dover cambiare perchè li giudicavi tue mancanze, veri e propri nemici, in realtà sono stati tuoi fedeli servitori. E’ grazie a loro che sei chi sei, una creatura unica e perfetta, diversa da
chiunque altro venga prima o dopo di te.”

[…] All’improvviso ogni cosa nella valle le sembrò diversa.

[…] All’improvviso si sentì avvolta da un grande senso di amore.

[…] Con il cuore finalmente leggero, Victoria si mise in cammino e attraversò la valle, diretta verso il Tempio della Verità.”

Victoria comprende quanto sia importante essere ciò che si è. Comprende che non era perfetta la favola in cui credeva, perchè lei si rispecchiava in essa, anziché concentrarsi sulla bellezza di quello che lei rappresenta, con le sue debolezze e fragilità e con la sua sensibilità.

Ogni persona è unica e non bisogna uniformarsi ad altro per sentirsi perfetti. Soltando accettandosi per come si è, amdandosi, si è in grado di amare ciò che ci circonda, senza condizioni.

In questo modo si procede alla scalata della verità, in cima alla quale si raggiunge la conoscenza.

Il Tempio della Verità e la pergamena sacra
“Victoria inspirò a fondo e attraversò il patio, calpestando gli enormi gradini di granito a forma di cuore, mentre sulla sua testa volteggiavano soffici nubi bianche trasportate da una brezza gentile.

[…] “Questo è l’uccellino della felicità?” esclamo la principessa. “La felicità non la portano gli uccellini. […] Sorge invece dal profondo di qualunque essere umano giunga a conoscere la verità.” “Vuoi dire che l’uccellino blu non porta la felicità?”
“Al pari del Principe azzurro, arriva per aiutare a festeggiare la felicità di una persona, ma non la porta affatto.” 

Si procede successivamente alla cerimonia di consegna della pergamena sacra a Victoria.

“Siamo qui riuniti, principessa, per rendere il giusto omaggio alla forza, il coraggio e la determinazione che hai mostrato nella una ricerca della verità.

[…] Ti sei fatta strada nel mare in tempesta, nella sabbia profonda, inerpicandoti sui ripidi pendii delle montagne e attraversando la nebbia più fitta.

Sei scivolata e slittata, hai inciampato e sei caduta, rialzandoti e riprendendo ogni volta il cammino. Hai sopportato tutto ciò, e anche altro, pur di raggiungere la verità che ti avrebbe fatta guarire, portandoti la pace e l’amore che desideri disperatamente.”

Consegna della pergamena sacra.

Victoria dichiarò: “Questo è il mio nuovo Codice reale!”

[…] Victoria si specchiò, e nell’immagine riflessa dei suoi enormi occhi color ambra apparve una scintilla molto più brillante di qualunque altra avesse mai visto in vita sua, persino quella che illuminava un tempo lo sguardo del suo principe.

[…] Victoria si chiese per quale motivo avesse sempre desiderato un principe, convincendosi di essere una nullità senza di lui: per poter essere felice e sentirsi splendida, speciale e degna di essere amata aveva avuto bisogno dell’amore del suo sposo e della scintilla che gli illuminava lo sguardo. Ricordando tutto ciò che aveva imparato sui principi, i salvataggi e l’amore, pensò che le sue vicende personali dimostrassero com’era facile sbagliarsi. Adesso sapeva che pur desiderando un principe all’interno della sua esistenza, non avrebbe mai dovuto permettergli di diventare la sua vita: amava se stessa abbastanza da poter vivere felice, con o senza di lui.

Doc:“Adesso devi imparare a utilizzare a livello pratico la conoscenza che hai appena acquisito. Per apprendere la verità occorre infatti realizzarla nella vita quotidiana.” Con un sorriso sulle labbra, una nuova elasticità nel passo e una canzone nel cuore, la principessa si avviò nello splendido tramonto rischiarato da una sinfonia di colori.”

Victoria impara a camminare da sola, con le proprie gambe. Impara che il vero amore significa libertà e crescita, e non senso di possesso e restrizioni; vuol dire pace e non agitazione; sicurezza e non paura. Ma una sicurezza che non scaturisce da un’illusione bensì dall’accettazione dei proprio limiti e della propria persona.
Il vero lieto fine

Le favole esistono, i sogni possono essere realizzati, purchè si tengano a mente gli insegnamenti qui appresi. Si può sognare, ma bisogna saperlo fare perchè il sogno può diventare una gabbia d’oro se per realizzarlo si accettano così tanti compromessi da perdere di vista la felicità.

Bisogna abbattere l’artificio della convinzioni, vedere ciò che è, uscire dagli stereotipi e fare largo allo spirito di accettazione.

Bisogna accettare i limite delle proprie opinioni.

Bisogna accettare che ognuno è perfetto nella sua imperfezione.

Bisogna accettare che ognuno è il protagonista di una favola che si può avverare, ma che è una favola diversa da quella di chiunque altro, che bisogna costruirla con le proprie forze e il proprio coraggio; è una favola che potrebbe essere diversa anche da quella che abbiamo sempre immaginato, ma è una favola che esiste in cui il lieto fine ci attende.

Zelig – Woody Allen allievo del Fattorello

Claudia Longarini

ZELIG – WOODY ALLEN ALLIEVO DEL FATTORELLO

Introduzione

La caratteristica che distingue l’homo sapiens dagli altri animali è la capacità di comunicare attraverso dei segnali semplici e comprensibili da tutti – denominati segnali analogici -, e attraverso segnali astratti, simbolici – definiti segnali digitali, i quali hanno bisogno di un ragionamento complesso per essere decifrati. Dato che ognuno di essi è una costruzione della mente umana, il loro significato è appreso e “letto” attraverso l’esperienza che inizia da bambini.

I segnali analogici sono quelli attinenti il linguaggio del corpo e accompagnano sempre i segnali digitali, cioè le parole. Così
ogni gesto analogico informa sul significato effettivo del segnale digitale. Capiamo il senso di una certa frase, in digitale, solo se decifriamo il simbolo analogico ossia l’espressione corporea che l’accompagna.

Perché la comunicazione abbia efficacia è importante che ci sia congruenza tra i due tipi di messaggi, ma, quando ciò non
accade, l’ascoltatore percepisce una disarmonia e non crede a quanto afferma il promotore: la discrepanza è sintomo di falsità ed è vissuta come tale da chi la coglie.

Tutto ciò avviene inconsapevolmente, nessuno di noi è in grado di mandare i segnali digitali senza quelli analogici, ma siamo educati a capire solo le parole e non i segnali del corpo, gli unici in grado di esprimere la verità. Imparare a leggere questi gesti aiuta a capire a fondo l’altra persona e a farci agire di conseguenza: posso interrompere o modificare la discussione se i gesti dell’altro mostrano la sua alterazione, chiusura o noia. Posso capire la gioia vera negli occhi dell’altro, anche se sono pieni di lacrime.

Ma perché tanta complessità? Non sarebbe tutto più facile se non ci fosse questa difformità? A cosa serve comunicare e soprattutto farlo in maniera congrua? Il motivo delle discordanze tra le due tipologie di segnali comunicativi sta nel fatto che l’uomo viene a trovarsi in un gruppo di riferimento e di questo deve rispettare le regole per evitare di esserne scacciato. Ognuno di noi viene a trovarsi in ambiente sociale che lo condizionerà nelle scelte di qualsiasi tipo: nel modo di vestire, camminare, parlare, mangiare, pensare, credere.

Essere riconosciuto come membro di un gruppo sociale legittimo, comporta il rispetto delle regole che lo definiscono, pure se urtano con il proprio essere. Anche se rispettare le regole limita i comportamenti e gli istinti umani, ognuno di noi è pronto a pagare questo scotto per essere riconosciuto: solo instaurando una relazione con gli altri potremo confrontare i nostri concetti.

L’apertura del gruppo sociale di riferimento sarà decretata dal modo in cui presenteremo la nostra opinione.

CAPITOLO 1

X): Il film Zelig

Il film parla dell’insicurezza di Leonard Zelig che, per sopravvivere e farsi accettare dalla società, sviluppa un metodo di adattamento che gli permette di trasformarsi in un soggetto di questo o quel gruppo di riferimento. È un irlandese il giorno si san Patrizio, con i relativi capelli rossi; è un ebreo con tanto di barba lunga, se si trova nella sinagoga.

Le metamorfosi avvengono all’istante, dimostrando una capacità di adattamento straordinaria, grazie alla quale può diventare uno del gruppo, accettato, benvoluto e protetto.

Lui ha capito come farsi gradire: prima di tutto ascolta e capisce chi ha di fronte, limitandosi a considerare i tratti esteriori, gli stereotipi. Zelig si immedesima a tal punto nella parte, da assumere una personalità sempre diversa, sentendosi veramente ebreo, o irlandese.

Attraverso tutte le personalità da lui interpretate, il protagonista vive interi periodi della sua vita durante i quali agisce e
compie delle scelte anche importanti che coinvolgono il prossimo, come sposarsi e mettere al mondo dei figli.

L’incontro con la dottoressa Fletcher lo porta a ritrovare la propria personalità, dopo un brutto periodo che Zelig passa a fare il fenomeno da baraccone per volere di sua sorella. L’incontro con la dottoressa gli farà scoprire l’amore, ma la sua vita sarà di nuovo turbata dai conti che gli presenteranno le scelte compiute nel passato dalle sue molte personalità e ricomincerà a fare il camaleonte.

La fine del film sarà felice con i due innamorati ancora insieme.

CAPITOLO 2

SP: Zelig

Leonard Zelig nasce figlio di ebrei e dopo la morte della madre, il padre si risposa con una donna manesca e brutale. La vita del ragazzo è segnata dalle violenze e dalla mancanza dell’affetto familiare: è costretto a vivere nel degrado e nell’indifferenza dei
suoi genitori e dell’ambiente circostante che non lo riconosce. Il padre di Zelig era un attore dalle qualità artistiche mediocri, poco apprezzato nel suo ambiente e nel suo gruppo sociale di riferimento di ebrei piccolo borghesi.

Non visse mai i vantaggi di appartenente a quel gruppo, e probabilmente passò la vita con grande senso di inferiorità che si rispecchiò poi nell’incapacità di educare i figli con amore e di trasmettere loro quei valori a cui faceva riferimento. Il fratello e la sorella di Zelig si rivelarono meschini, costruendo le loro vite sullo sfruttamento del prossimo. Zelig sembra non avere tendenze particolari fino a che comincia a mostrare dei cambiamenti insoliti e mai visti prima in un essere umano.

La sua necessità è quella di farsi accettare socialmente, di avere un posto nel mondo: nelle sue condizioni di disperato non può prendere la strada della crescita intellettuale o professionale, con la conseguente fatica della preparazione e dello studio che richiedono anni di impegno.

Il bisogno di sentirsi vivo e considerato, lo porta a sviluppare un sistema di difesa che lo faccia emergere e liberare da quella condizione di emarginato dalla società, al limite dell’espulsione, costretto ad ammirare da lontano tutti gli altri che vivono un ruolo ben preciso e per quello sono accettati. Da bravissimo attore riesce a interpretare il ruolo scelto, ma non è mai stato in grado di capire la differenza tra la scena e la vita vera.

La sua maschera lo mette al riparo dagli attacchi del mondo esterno, ma il teatro non è mai troppo lungo: la sua natura, la sua acculturazione, certe scelte del passato, ben presto riemergono, evidenziando le dissonanze tra ciò che racconta e ciò che
effettivamente è.

Zelig fa proprie le caratteristiche più facili da assimilare, quelle contingenti, che possono essere apprese con una’attenta occhiata, mentre quel che riguarda le informazioni non contingenti, come la preparazione tramite lo studio e
l’apprendimento di eventuali tecniche, non sono mai prese in esame dal protagonista.

La vita per lui si ferma all’aspetto esteriore, alla superficie. Ogni identità assunta viene dimenticata non appena ne apprende un’altra, ma di quelle vite vissute verranno a galla i misfatti compiuti e i figli concepiti. La sua salvezza sarà l’incontro con la
psichiatra, la dottoressa Fletcher, che si appassionerà talmente tanto al suo caso, da portarlo a casa sua per curarlo e proteggerlo.

In una seduta ipnotica Leonard Zelig confesserà di essere innamorato della dottoressa. La conclusione del film vedrà
sbocciare l’amore.

CAPITOLO 3

SR: Gruppi con cui interagisce

I gruppi sociali con cui Zelig si viene a trovare sono terre da conquistare: ogni volta il suo scopo è quello di farsi riconoscere e accettare per non rischiare l’emarginazione.

Apprende le caratteristiche esteriori fondamentali e vi si adatta velocemente. Zelig è sempre vissuto considerandosi un niente, ma scopre che vestendo gli abiti di un certo gruppo sociale può essere ascoltato e vivere anche lui alla pari degli altri: cioè può
avere un ruolo nel mondo. Riesce talmente bene a impersonare la parte che, come un camaleonte, i suoi tratti somatici si modificano e le persone intorno a lui lo apprezzano e lo riconoscono come uno di loro.

Qualsiasi gruppo può diventare il suo riferimento e non sceglie in base alla convenienza economica o di potere o di religione, perché quello che vuole ottenere è l’adesione pura e semplice, il riconoscimento di se stesso come essere vivente. Zelig è flessibile e in ogni veste si adegua alle opinioni più consone al momento, anche se la volta precedente ha aderito ai pensieri opposti.

CAPITOLO 4

O: Formula d’opinione

In ogni occasione della sua vita il nostro Leonard si adatta alle situazioni in cui viene a trovarsi: da grandissimo osservatore, percepisce gli stereotipi di appartenenza a un dato ambiente e li fa suoi, nell’aspetto fisico e, soprattutto, nella mente. In questo modo Zelig riesce a vendersi, inventando la confezione più adatta all’acquirente che ha di fronte, senza mai sbagliare un colpo.

Per sopravvivenza, Leonard Zelig inventa questo metodo che gli permette di essere riconosciuto nel mondo: il giorno di San
Patrizio, in un pub irlandese, Leonard assume gli elementi distintivi di quel gruppo etnico con tanto di capigliatura e barba rossa e riesce così a non farsi picchiare.

Durante un concerto di un gruppo musicale jazz composto da neri, lui assume la colorazione della pelle dei musicisti e comincia a suonare la tromba. In questo caso la sua parte di attore viene smascherata dalla sua impreparazione a suonare lo strumento.

Vive un lasso di tempo nel quartiere cinese, in cui i suoi tratti somatici si trasformano da caucasici a orientali, e al momento del suo ritrovamento da parte della polizia, impreca in una lingua giudicata da tutti molto vicina a quella cinese.

Passa un altro periodo della vita nelle vesti di un medico: frequenta l’università e l’ambiente ospedaliero, arrivando addirittura a operare di appendicectomia un malcapitato paziente; quando la dottoressa Fletcher, la sua psichiatra, lo prende in cura, Zelig si manifesta come un suo collega e con lei discute di studi e convegni.

E’ un ebreo osservante e, con tanto di barba tipica degli ortodossi, discute nella sinagoga; assume le sembianze e i colori di un indiano d’America, con lunghi capelli lisci raccolti in una treccia, quando si trova in compagnia di uno di questi. Se interagisce con persone obese, anche il suo corpo si adatta a quello degli interlocutori e diventa grasso.

Riesce così in ogni occasione ad aprire uno spiraglio nel muro di protezione dell’altro, che gli offre la possibilità di essere ascoltato: il fine di tutto è sempre comunicare per dimostrare di esistere.

La sua formula d’opinione è sempre ben congegnata, ma molte volte il suo trucco viene scoperto perché l’opinione non è
supportata da conoscenze profonde e da certezze radicate in lui, non nata dalle esperienze di vita o dallo studio di determinati argomenti.

CAPITOLO 5

M: Il mezzo

Mimica, abbigliamento e valori

Zelig è un tipo minuto, ingobbito e sempre con l’aria di quello che ha paura di essere scovato: ha timore del prossimo. L’infanzia trascorsa a combattere per la sopravvivenza non gli ha permesso di rinforzare la sua personalità, di affiliarsi a un credo, ma solo di escogitare un sistema per sfuggire a quella continua sofferenza.

Da adulto Zelig ha come riferimento quei gruppi sociali in cui vede la soluzione ai suoi problemi, non tanto per i valori a cui fanno riferimento, quanto per la capacità che questi gruppi hanno di far fronte unico e compatto contro il mondo. Leonard Zelig non ha valori propri, non li ha mai coltivati e quindi si uniforma a quelli già precostituiti che si trova intorno di volta in volta.

Non ha remore a trasformarsi in gangster, pronto a uccidere un uomo, così come impersona un medico che cura e salva la vita ai pazienti. Lui non deve adattare le sue opinioni, semplicemente perché non ne ha. Vive delle opinioni altrui, solamente per passare un po’ della sua vita in un porto sicuro. Grazie alla dottoressa Fletcher, acquista la sua personalità e si scopre un Leonard Zelig di buon cuore, generoso con la sua donna e portato al rispetto delle persone, delle loro opinioni.

CAPITOLO 6

Conculusioni
FORMULA FATTORELLIANA
x) M
Sp Sr
O

Il protagonista del film incarna perfettamente la teoria fattorelliana: per Zelig è vitale arrivare a comunicare col suo prossimo, dato che solo così si sente vivo. Lui è il soggetto promotore che usa se stesso come mezzo per presentare il fatto (sempre se
stesso) al soggetto recettore di turno.

Applica alla perfezione la teoria tanto da diventare “Mezzo” che esprime l’opinione perfetta per il recettore che ha di fronte, dopo averlo studiato a fondo. Si adatta a questo o quello stereotipo, modificando addirittura il suo corpo, e riuscendo così a essere accettato. Zelig dimostra che lo studio del suo prossimo e l’adattamento allo stereotipo che di volta in volta si trova di fronte, gli permettono di raggiungere lo scopo, non incute timore o sospetto, arriva all’altro, e dunque esiste.

Zelig è perfetto in tutto, tranne che nel credere profondamente alla parte che recita, senza capire dove finisce l’interpretazione e dove inizia la sua vera vita.

Per comunicare veramente è fondamentale l’ascolto e lo studio, quindi la conoscenza del nostro interlocutore: lui ci darà la chiave per aprire la sua porta e ottenere la tanto desiderata adesione di opinione. Lo scopo di tutta la procedura che mettiamo in moto è arrivare all’altro, entrare in contatto con lui.

Se sbagliamo procedimento otterremo la chiusura dell’altra parte e il fallimento: non arriviamo, non comunichiamo, quindi
non diamo segni della nostra esistenza.

Bibliografia
Allen W., Zelig, film USA 1983.
Fattorello F., Teoria della tecnica sociale dell’informazione, 2005 ed. QuattroVenti, Urbino.
Ragnetti G., Opinioni sull’opinione, 2006, ed. QuattroVenti, Urbino.
Morris D., L’uomo e i suoi gesti, 2005 ed. Mondadori.
Birknbihl F. V., Segnali del corpo, 2008 Franco Angeli, Milano.

Se il chicco di grano…

Francesco Ricci

SE IL CHICCO DI GRANO CADUTO IN TERRA NON MUORE, RIMANE SOLO; SE INVECE MUORE PRODUCE MOLTO FRUTTO. (Gv 12,24)

Indice

Premessa
1. La natura ci insegna.
2. L’apostolo Giovanni precursore della Teoria Fattorelliana.
3. L’ascolto: prima espressione dell’amore e base della comunicazione.
4. La formula fattorelliana nelle diverse realtà.
5. Conclusione.
Bibliografia.

Premessa

A conclusione del corso superiore di metodologia dell’informazione e tecniche della comunicazione presso l’Istituto Francesco Fattorello, ci è stato chiesto di redigere una tesi conclusiva su un argomento a nostra scelta che contenga e spieghi ciò che dal corso è emerso, vale a dire la Teoria Fattorelliana.

L’argomento che tratterò prende spunto da un passo del Vangelo di Giovanni, precisamente:“ Se il chicco di grano caduto in terra non muore rimane solo; se invece muore, produce molto frutto”. Gv (12,24)

Un giorno leggendo una lettera che un parroco inviava alla sua comunità in occasione della Santa Pasqua, ispirata a questo passo del Vangelo, mi è venuta spontanea una riflessione che mi ha richiamato l’esperienza vissuta nel corso al Fattorello.

Ho provato successivamente a trovare argomenti per trattare la tesi finale, ma mi ritornava sempre in mente quella lettera, la riflessione e il collegamento all’esperienza Fattorelliana.

Ho deciso allora di abbandonare qualsiasi altra idea e seguire quella traccia, iniziando il mio lavoro e tentando di portare nell’avventura della vita di ciascuno l’esperienza del chicco di grano, che guidato dai cicli naturali, esprime quello che succede nella vita di tutti i giorni ad ognuno di noi, il nostro nascere, crescere, vivere e morire, con le diverse relazioni che ogni giorno siamo tenuti a vivere, tra cui la comunicazione.

Dalla nascita che rappresenta l’avvio di una bella esperienza alla morte quale raggiungimento di un traguardo, che potrà essere diverso secondo il vissuto di ognuno. All’interno di questi due poli si sviluppa la vita quotidiana di ognuno di noi che ci porta ogni giorno a conoscere e vivere esperienze diverse, ad incontrare persone diverse con le quali non sempre è facile comunicare.

CAPITOLO 1

La natura ci insegna

Tutti formiamo un felice anello nella catena della vita. Tutto ha un valore nella vita.

Se la primavera ha così tanto valore è perché glielo ha affidato l’inverno.

Se l’infanzia ha tanto e così meraviglioso valore umano, è perché i genitori ed i nonni hanno trasmesso il meglio di se stessi.

Se una parola entra con il suo valore in un’altra persona e lascia un segno è perché qualcuno ha saputo parlare e ha dato il meglio di sé.

Se la vita ha un valore così grande, è perché qualcuno ha donato tutto il suo essere per potenziarla.

Ciò che accade nella natura, accade nelle persone. La primavera è forse la più desiderata delle quattro stagioni del ciclo annuale.

La primavera è un’esplosione di vita, la primavera è sorpresa, è il risveglio felice a tutto ciò che è nuovo, la primavera è saper ripartire, è saper inventarsi di nuovo dopo uno sbaglio, è sapersi amare e donare, la primavera siamo noi, noi esseri umani.

È quando ad ogni tramonto siamo capaci di pensare al mattino, è quando nelle nostre parole non pensiamo a noi stessi ma all’altro, è quando, calzando le scarpe, desideriamo avanzare nella vita verso un obiettivo, è quando oltre alle rughe conserviamo la lucidità mentale, è quando nella stanchezza prendiamo il riposo con pazienza, è quando nel silenzio prepariamo una nuova azione e un nuovo sorriso.

È quando la natura decide se il chicco di grano muore e germoglia per iniziare un viaggio, o se sparirà senza alcuna traccia.

La comunicazione è la primavera, è l’avvio felice alla scoperta e alla conquista di qualcuno, è lo strumento che ci permetterà di incontrarlo in modi diversi e con risultati diversi solo se sapremo esprimere il meglio di noi, non per noi stessi ma per l’altro e tanto più saremo stati capaci di rendere protagonista il nostro interlocutore, tanto più avranno avuto successo le nostre parole.

Allora siamo primavera, per noi stessi, per essere stati capaci di intraprendere una comunicazione e per l’altro, per essere riusciti a creargli una novità.

In ogni cosa esiste un percorso che permette di raggiungere un obiettivo e tanti fattori interferiscono nella riuscita.

Nella storia del chicco di grano c’è un percorso da seguire, il tipo di terreno che dovrà accogliere il seme, la mano del seminatore; l’inverno che in silenzio e lentamente pianta le radici; la primavera che fa esplodere, crescere e manifestare; poi l’estate che con il suo sole che matura dà il raccolto, che potrà essere di tanti se abbondante, o di pochi se sarà stato scarso; poi ritorna l’autunno tempo di riflessione e di programmazione. L’azzeramento per poi ripartire lo spogliarsi della vecchia veste
per rigenerarsi in un nuovo progetto.

CAPITOLO 2

L’Apostolo Giovanni precursore della teoria Fattorelliana.

Comunicare non significa appagamento personale, ma spogliarsi delle proprie convinzioni e ascoltare l’altro per sapergli dire ciò che lui vuole sentirsi dire da noi.

La comunicazione non avviene in partenza ma all’arrivo nella testa di colui che ascolta del nostro soggetto recettore.

Dobbiamo capire cosa è importante per il nostro soggetto recettore, saper ascoltare cosa lui vuole da noi e solo così possiamo stabilire un dialogo autentico.

Gesù in più occasioni ha mostrato di parlare in modi diversi secondo i suoi interlocutori pur esponendoli gli stessi principi. Ha saputo rendere il suo discorso accessibile a tutti.

Più volte ci ha insegnato che le incomprensioni, la rigidità e la pochezza dei rapporti nascono quando non siamo capaci di abbandonare il nostro punto di vista, il nostro orgoglio il nostro io, quando ad ogni costo, dobbiamo far prevalere le nostre assolutamente giuste convinzioni, che appannano il nostro orizzonte impedendoci di vedere chiaro, di non scorgere chi abbiamo davanti e soprattutto impedendoci di arrivare.

Abbandonare se stessi per accogliere l’altro in ogni azione della nostra vita e carità.

La carità è ciò che l’Apostolo Giovanni in questo passo ci insegna raccontandoci di Gesù, ricordandoci che dove c’è carità c’è amore per se stessi e per gli altri.

Anche nel semplice gesto del dialogo si può omettere la carità, quando non si è capaci di ascoltare il nostro interlocutore, quando non ci accorgiamo che le nostre frasi sono solo per noi stessi, quando cadiamo nella vanità delle parole e dei sentimenti, modi molto frequenti in questa società del desiderio, delle esperienze felici che ignorano l’umana fragilità e l’umana esigenza.

A questo punto si colloca bene l’esempio del seminatore che getta un seme destinato a morire, quasi segno delle nostre fatiche, del nostro patire quotidiano, delle nostre superficialità e dei nostri luoghi comuni; poi l’immagine del mietitore, che raccoglie il frutto della spiga germogliata e maturata da quella morte, da quel chicco di grano che ha saputo rinunciare a se stesso per dare vita ad altri, “ Se il chicco di grano caduto in terra non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto”.

Dalla rinuncia di ciascuno a se stesso, al proprio egoismo e alle proprie rigide idee si incontrano gli altri e soprattutto con la comunicazione si lascia un segno negli altri.

CAPITOLO 3

L’ascolto prima espressione d’amore e base della comunicazione.

Il primo servizio che si deve alla persona, è l’ascolto; l’inizio dell’amore e dell’interesse di una persona sta nell’imparare ad ascoltarla; l’ascolto può guarire una persona, mentre la mancanza di ascolto può causare ferite molto profonde e può far fallire una comunicazione.

Oggi prevale la cultura del non ascolto: non sappiamo più fare silenzio, stare con noi stessi e con gli altri; non abbiamo né tempo, né voglia di ascoltare.

Non si canta più, si urla, si grida; una vita senza silenzio, senza ascolto, senza dialogo, senza gioia, perché questa viene da molto lontano, dall’interiorità!

Anche la parola di Dio più volte ci ricorda che l’ascolto è la sorgente della vita, il senso di tutta la vita.

Noi siamo chiamati ad ascoltare e a prestare attenzione a chi si ascolta, a ciò che si ascolta, a come si ascolta.

Ascoltare vuol dire: accettare incondizionatamente l’altro, anche nelle differenze che arricchiscono e non dividono.
Condividere i sentimenti dell’altro. Essere positivi, e non lasciarsi andare al pessimismo e soprattutto non trasmetterlo.
Ogni comunicazione ha una sua grammatica, l’emittente, il messaggio, il codice, il mezzo, il contesto e l’intenzionalità, il ricevente ed il feedback.

La comunicazione può avere dei disturbi: da parte del soggetto promotore, la superficialità, la distrazione, la mancanza di consapevolezza e di chiarezza, l’affanno; da parte del ricevente: la precompressione, fretta, superficialità, sordità, affanno, incapacità di ascolto, pregiudizio.

La comunicazione funziona quando il soggetto recettore ha compreso in modo corretto quanto ha voluto comunicare il soggetto promotore.

La comunicazione avviene all’arrivo non alla partenza. Si può concludere che l’ascolto profondo richiede alcune attenzioni: un vuoto di sé, un vuoto di pregiudizi, e un pieno di pazienza.

In ogni incontro ha valore decisivo non quello che dici né i contenuti che esponi né le soluzioni che dai, ma, anzitutto, la relazione che sai creare attraverso un clima di autentico ascolto.

CAPITOLO 4

La formula Fattorelliana nelle diverse realtà.

La formula fattorelliana:
M
X)
Sp Sr
O
X = Il fatto
SP = Soggetto promotore
SR = Soggetto recettore
M = Mezzo
O = Formula d’opinione

Il soggetto promotore, attraverso lo studio della forma di opinione più adatta e al mezzo più consono, deve riuscire ad entrare nel soggetto recettore ed ottenere il suo consenso, allora la comunicazione potrà ritenersi avvenuta ed il fatto accolto.

La formula nella natura:
X = La semina
SP = Il seminatore
SR = La terra
M = Il chicco
O = Il raccolto

La formula può essere rapportata al raccolto: il seminatore con la sua esperienza, conoscenza e bravura, utilizza il chicco come mezzo, lo semina, osservando il terreno e cogliendo il momento migliore.

La terra accoglierà il chicco, permettendogli di germogliare e dare il frutto. Frutto che potrà essere abbondante se il seminatore avrà svolto bene il suo lavoro, o scarso, o inesistente se l’opera condotta dal soggetto promotore non avrà funzionato.

La formula nel Vangelo:
X = L’esperienza di fede
SP = Io
SR = L’ altro
M = Ascolto
O = Carità

Nella formula evangelica io stesso (SP) potrò mettere in pratica l’esperienza di fede (X) con la rinuncia di me attraverso la carità incondizionata (O) del mio prossimo (SR), utilizzando l’ascolto (M) quale mezzo semplice, autentico e naturale.

Se l’altro sarà riuscito a sentirsi protagonista il soggetto promotore (io stesso) potrà considerarsi soddisfatto di aver svolto un semplice ma significativo gesto d’amore.

CONCLUSIONE

Concludo questo lavoro, nella speranza di essere riuscito a cogliere ciò che la teoria Fattorelliana ci insegna.

Se il successo della teoria Fattorelliana è il consenso di opinione del soggetto recettore, nel ciclo della natura il risultato è il bilancio della terra, mentre nell’esperienza del Vangelo è l’amore, quale autentico gesto di accoglienza dell’altro reso protagonista.

In ogni situazione, possiamo concludere che nessuno è terminale ma è sempre promotore, da ogni traguardo raggiunto o successo ottenuto c’è sempre un domani, in cui saremo prossimi di quanti ci passano accanto, di quanti dialogheranno con noi nella vita di tutti i giorni, pronti a farci uno con loro, e soprattutto di quanti saremo stati capaci di rendere protagonisti, di quanti ci avranno dato il loro consenso nell’ accogliere le nostre parole.

Parole che lasciano un segno e ci permettono di comunicare nel mondo e con il mondo, come la spiga matura che giunta al raccolto sarà ancora nutrimento e vita.

Bibliografia
Gv 12,24 Vangelo, Sacra Bibbia.
Fattorello F., Teoria della tecnica sociale dell’informazione, 2005 ed. QuattroVenti, Urbino.
Ragnetti G., Opinioni sull’opinione, 2006 ed.QuattroVenti, Urbino.
Appunti del corso anno 2008.
Lettera parrocchiale, Santa Pasqua anno 2008.