Se Cleopatra sapesse comunicare…

di SARA ANGELUCCI

Cleopatra è il nome della mia gattina, ed ogni volta che esco di casa la saluto dicendole “ciao topolino mio”!! Ma se Cleopatra sapesse che, il vezzeggiativo con il quale mi rivolgo a lei, è il nome che il nostro linguaggio assegna a quegli animaletti ai quali dà la caccia con tanta foga, cosa direbbe?

Probabilmente, la sua reazione non sarebbe affettuosa come, viceversa, si dimostra. Tra gli uomini la comunicazione, per essere tale, deve avvenire con modalità diverse e chi ha letto il numero precedente del nostro bollettino ha certamente compreso la rivoluzione operata dalla fattorelliana “Scuola di Roma”.

Considerare sullo stesso piano sia il soggetto promotore che il soggetto recettore, entrambi soggetti opinanti di pari dignità, significa che per comunicare bisogna avere chiaro chi è il destinatario del nostro messaggio. Quando parliamo non possiamo rovesciare sull’altro il nostro pensiero, bensì dobbiamo costruirlo tenendo conto anche della sua idea.

E’ evidente come nella maggior parte dei casi questo non avvenga: si parla ma non si comunica, e ciò è visibile nella conflittualità che si registra negli ambienti politici, professionali e familiari. Ciò che sembra scontato (chi ammette di parlare senza conoscere chi si ha davanti?!), manda in corto circuito il processo comunicativo e la lite (verbale, ma non sempre) invalida lo scambio.

I politici, d’altro canto, rappresentano un caso esemplificativo di come, sullo stesso concetto, si possono costruire significati contrapposti, pur tuttavia validi, perché indirizzati a pubblici differenti. Solo chi fuori dagli schieramenti di partito vuole trovare un’univoca soluzione, si renderà conto che in realtà questa non esiste e sono proposte visioni diverse, che non costituiscono una risoluzione concreta.

Ci può essere un sistema migliore? Ci sono parole ed espressioni che abbiamo timore di pronunciare a noi stessi e che avrebbero invece un gran effetto benefico sul nostro essere e sul modo di relazionarci all’altro. Allora, forse, è il caso di avere più comprensione per noi stessi, dobbiamo esercitarci a pronunciare ad alta voce quelle parole che germogliando dentro di noi, ci predispongono all’accoglienza verso chi abbiamo di fronte.

Il perchè di un lavoro sull’opinione

di GIUSEPPE RAGNETTI

Gli studi accademici, in Italia, non si sono occupati frequentemente dell’opinione: da una parte gli studiosi non le dedicano molta attenzione, dall’altra i cosiddetti “esperti” e quelli “neanche-esperti” ne parlano e straparlano in ogni occasione e in ogni contesto senza conoscerne minimamente la struttura e i meccanismi evolutivi.

E allora sentiamo, (ancora!), parlare di informazione obiettiva, condizionamento, persuasione occulta, messaggi subliminali, strapotere dei mezzi di comunicazione, di par condicio e di altre amenità che quotidianamente ci vengono somministrate senza un minimo humus scientifico che renda il tutto appena credibile.

E’, tuttavia, quello dell’opinione un argomento affascinante che ci coinvolge tutti i momenti, tutti i giorni, tutta la vita. L’uomo non può esimersi dall’esprimere opinioni su tutto ciò di cui viene a conoscenza, su tutto ciò che lo riguarda direttamente o che semplicemente lo sfiora, ma non conosce i mille limiti dell’opinione.

Opinare è quasi un’esigenza fisiologica al pari del respirare o del parlare: e, forse, è proprio questo innato, naturale meccanismo mentale, ad affievolire l’interesse per lo studio e l’approfondimento del fenomeno.

Giungiamo fino al paradosso che non esistono insegnamenti di “scienze dell’opinione” nelle scuole che preparano i tecnici dell’informazione, i giornalisti cioè, per i quali, invece, l’opinione rappresenta la materia prima, componente di base insostituibile di tutto il loro lavoro.

Questa non conoscenza, questa sciatta trascuratezza didattico-formativa consente ancora oggi a direttori di importanti quotidiani nazionali di affermare: “il nostro giornale, come sempre ha fatto, terrà separati i fatti dalle opinioni”. E, arrivando alla stazione di Roma Termini, non può non colpirci la pubblicità di un giornale della capitale che recita, ancora una volta, “I fatti e le opinioni”.

L’uomo non può esimersi dall’esprimere opinioni su tutto ciò di cui viene a conoscenza, su tutto ciò che lo riguarda direttamente o che semplicemente lo sfiora, ma non conosce i mille limiti dell’opinione

Ed ecco perché, con grande modestia e con piena consapevolezza dei limiti del nostro contributo, ci siamo lasciati convincere a mettere nero su bianco quello che andiamo raccontando, ahimé da molti anni, nei nostri Corsi nei contesti più diversi. Il libro è semplicemente una raccolta dei contenuti di tante mie lezioni: non c’è nulla di inedito e non ha pretese di originalità.

La bibliografia è modesta per il semplice fatto che tutto quello che ho detto nelle lezioni l’ho appreso da altri ma, spesso, non ricordo né mi interessa la fonte. Se ho dato la mia adesione alle opinioni da altri proposte, significa che le stesse mi hanno interessato, che le ho valutate e condivise e, quindi, fatte mie!

Per i giornalisti l’opinione rappresenta la materia prima, componente di base insostituibile di tutto il loro lavoro

Ho avuto sempre pudore a scrivere qualcosa per non voler essere identificato come uno dei tanti replicanti: tutto ciò che c’era da dire è stato già detto in maniera migliore, in altre epoche, dai grandi del passato. Ho capito che tutti i miei pensieri, le mie idee, non erano mie.

Ho capito che tutti i miei pensieri, le mie idee, non erano mie

E allora, ho accettato gli incoraggiamenti che mi venivano da più parti: ora, voglio scrivere per restituire tutto ciò che mi era stato dato in prestito. Nel transito della vita mi è stata concessa la “servitù di passaggio”, ma la proprietà rimane ad altri.